Accesso e verifica fiscale: si torna indietro?

torniamo sull’annosa questione della durata delle verifiche: le previsioni dello Statuto del contribuente sembrano essere continuamente disattese dal Fisco…

La questione dell’accesso dell’Amministrazione fiscale presso i locali destinati all’esercizio delle attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali, ha sempre rappresentato un momento di “crisi” nei rapporti tra contribuenti e fisco.

Non a caso, con lo statuto del contribuente1, il legislatore di un decennio fa ha ritenuto opportuno dedicare spazio e puntuale regolamentazione di diritti e garanzie dei contribuenti sottoposti a verifica fiscale, garanzie che se non rese punti fermi del rapporto duale fisco-contribuente avrebbero continuato a minare lo stesso rapporto.

Per un decennio, quindi, le operazioni di accesso, ispezione e verifica, grazie al combinato disposto tra norme di potere a garanzia del fisco contenute nel DPR 600 del 1973 e nel DPR 633 del 1972, e quanto previsto dall’art. 12 dello statuto del contribuente, hanno avuto come comun denominatore le regole di comportamento sia dei verificatori sia del verificato, comportamenti votati al rispetto delle parti ed alla messa in campo di bivalente educazione.

Un punto cruciale tra le due esigenze quali, da un lato la necessità del fisco di reperire in loco materiale probatorio di una condotta evasiva o elusiva del contribuente, e dall’altro lato la necessità del contribuente di non essere “turbato2” nella condotta imprenditoriale, è stato quello di individuare la tempistica delle operazioni:

  • Orizzontale, le operazioni di verifica anno un inizio ed una fine misurata in giorni;

  • Verticale, le operazioni di controllo sul luogo vanno effettuate, salvo eccezioni eccezionali ed urgenti da motivare, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività.

Queste regole di permanenza, tuttavia, hanno comportato non pochi problemi agli addetti ai lavori dovuti, problematiche per lo più sorte dal tentativo delle due parti in causa di rendere ora estensivo (il fisco) ora restrittivo (il contribuente) il termine orizzontale; Compito non reso, tuttavia, facile dalle contrapposte visioni giurisprudenziali e dottrinale sia sulla questione se il termine orizzontale sia flessibile e se i giorni lavorativi da computare dovessero essere considerati continuativi e/o effettivi, ovvero se i potenziali 60 giorni (30 più 30) di permanenza dentro le attività fossero una previsione rispondente a tutte le tipologie di contribuenti.

Il legislatore fiscale è intervenuto sulla questione mettendo mano all’art. 12 dello statuto del contribuente tramite il cd. Decreto sviluppo3, ed in particolare, intervenendo:

  • Sulla questione della estensività dei giorni di permanenza dei verificatori presso il contribuente;

  • Sulla questione della rispondenza dell’ordinario termine di permanenza inizialmente previsto dei 30 giorni.

Elemento rafforzativo dell’intero impianto delle norme riguardanti le verifiche fiscali contenute nel DL 70/2011, è la previsione che quanto prescritto va adottato da tutti i soggetti legittimati a varcare la soglia delle attività imprenditoriali e professionali:

  • Agenzie fiscali;

  • Guardia di Finanza;

  • Monopoli;

  • Enti previdenziali e assistenziali;

 

La clessidra è in mano al fisco

Ai fini del computo dei giorni lavorativi devono essere considerati i giorni di effettiva presenza4 dei verificatori presso la sede del contribuente. Il legislatore taglia corto sulla questione e quasi con una interpretazione di autenticità, cercando di venirte incontro ai due interessi di parte, garantendo una dinamicità di fatto alla tempistica orizzontale che per gli ispettori del fisco si traduce in un maggior tempo di organizzazione delle operazioni ma per il contribuente? La previsione dell’effettiva presenza garantisce la possibilità a quest’ultimo di monitorare con esattezza la durata della verifica in azienda e se non conclusa entro i termini previsti, la possibilità di percorrere la via dell’autotutela potendo far intervenire anche il Garante del contribuente ovvero, in sede contenziosa, chiedere l’annullamento dell’accertamento basato su elementi irritualmente conseguiti.

Come premesso, prima dell’intervento perpetrato con il decreto sviluppo gli orientamenti, anche sull’utilizzabilità dei dati fiscali raccolti dopo lo spirare del termine dei 30 giorni, non sono stati unanimi5 ma l’aver indicato l’effettiva presenza dei verificatori, sostanziata dai verbali delle operazioni giornaliere redatti dai verificatore, ha cercato di dare un ulteriore punto fermo alla questione senonché, due recentissime e ravvicinatissime pronunce della Cassazione, sono intervenute “ a gamba tesa” sulla problematica in commento.

La prima delle sentenze, la n. 19338 del 22 settembre c.a., ha chiarito che il mancato rispetto del termine dei 30 giorni previsto dall’art. 12 dello statuto del contribuente non ha effetto ne sull’irritualità delle prove raccolte dopo tale termine ne sull’efficacia dell’accertamento che da tale verifica ne scaturisce.

La seconda delle sentenze, la n. 19692 del 26 settembre c.a., conferma quanto specificato dal D.L. 78/2011, ritenendo l’orizzontabilità temporale delle operazioni presso la sede del contribuente quale periodo di “permanenza” dei verificatori.

Stando così le cose, o per lo meno come esemplificate dalla Cassazione, potrebbe ritenersi che alla fine se è l’Amministrazione finanziaria a decidere quando attivare l’accesso e potendo decidere la stessa, ordinariamente, la sospensione e la ripresa dell’attività esterna, parrebbe che dopo l’intervento legislativo in commento nulla sia immutato rispetto a prima e che, anzi, il contribuente possa essere soggetto a lungaggini, non mitigati neanche dalla previsione del rispetto del limite di una visita ispettiva per semestre.

Vi è da ritenere, comunque, che le predette pronunce della Cassazione si riferiscono ad eventi avvenuti nel passato e che, probabilmente, abbiano trovato esito a ridosso dell’entrata in vigore della legge di conversione n.106 del 12 luglio 2011; qualora confermata questa personalissima ipotesi e adottando una tesi di rigidità della tempistica entro cui eseguire le operazioni di verifica, accompagnato il tutto dalla previsione della responsabilità disciplinare in capo ai verificatori per il mancato rispetto delle nuove prescrizioni, i nuovi limiti di garanzia troveranno riscontro e produrranno l’effetto sperato del cambiamento di rotta.

 

La permanenza la dettano i ricavi

In origine, la permanenza presso la sede dei contribuenti è stata prevista nei 30 giorni ordinari, prorogabili, previa giustificazione, di altri 30. Da sempre tale tempistica non è parsa in grado di essere rispondente a tutte le esigenze del caso, tanto per l’Amministrazione finanziaria quanto per i contribuenti. Si pensi alla necessità di effettuare una verifica generale su una società che opera a livello planetario, i 30 giorni potranno non bastare ma si pensi pure alle piccole realtà produttive, o anche marginali, dove la previsione dei 30 giorni ha rappresentato, sia positivamente che negativamente, un lasso di tempo troppo lungo.

Il Decreto Sviluppo introducendo un periodo nel comma 5 dell’art.12, dello statuto del contribuente, venendo proprio incontro alle esigenze dei piccoli e medi contribuenti, disponendo che la permanenza presso la sede del contribuente, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi.

L’individuazione, quindi, in campo fiscale dei soggetti da consideransi piccoli-medi e grandi ai fini del controllo, è demandata alla tipologia di contabilità adottata. Se si adotta una contabilità semplificata si viene considerati un soggetto “semplice” da controllare quindi, 15 giorni possono bastare, se si è in ordinaria, con un contabilità più complessa da analizzare, 30 giorni rappresentano l’ordinario termine di presenza effettiva da rispettare.

I limiti dimensionali al fine di individuare se un soggetto possa adottare la contabilità semplificata e quindi ottenere il dimezzamento dei tempi di accesso, è rinvenibile nel nuovo6 art.18, co.1, del DPR n.600/73, ove le parole “lire 600 milioni” e “lire un miliardo” sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: “400.000 euro” e “700.000 euro” e quindi, sono ammessi alla contabilità semplificata i soggetti i cui ricavi non devono superare euro 400.000 se aventi per oggetto dell’attività la prestazione di servizi ovvero euro 700.000 per le altre attività.

L’aver introdotto una diversa tempistica di accesso tra soggetti in contabilità ordinaria e semplificata può creare, comunque, problematiche inerenti alla conoscibilità ante accesso e in prosecuzione, della contabilità adottata o adottabile dal contribuente.

La problematica nasce dalla previsione dell’adozione e della relativa rilevanza, in ambito fiscale, del c.d. comportamento concludente7; in pratica, potendo il contribuente cambiare regime contabile durante il periodo di imposta nel quale cambiano i presupposti se adottare una contabilità ordinaria o semplificata e la previsione secondo cui la modifica va comunicata con la prima dichiarazione ai fini IVA (quadro VO) utile per la comunicazione dell’adozione o della revoca, attese tutte le problematiche concernenti la presentazione delle dichiarazioni (tardività, omissioni, errori formali di compilazioni, ecc.), sicuramente sia per i verificatori che per il contribuente potrà nascere un ipotesi di discordanza.

 

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17 novembre 2011

Giuseppe Bennici*

*Articolo redatto a titolo personale

 

1 Cfr. legge 27 luglio 2000, n. 212.

2 Cfr circolare della GdF n. 98000 del 2002.

3Cfr. art. 7 DL n. 70/2011.

4 Secondo lo stesso orientamento risulta essere la circolare della GdF n. 250400 del 2000 e la circolare della GdF n. 1/2008.

5 Cfr. Cassazione n. 8344 del 2001 (pro utilizzo) e Cassazione 26689 del 2009 (anti utilizzo).

6 Cfr. co.2, dell’art.7, del D.L. Sviluppo, lett. m).

7 Cfr. art. 1, comma 1 del DPR 442 del 1997, Circolare 80/E del 2001 e C.M. 209/E del 1998.