L'accertamento integrativo è legato alla sopravvenienza di nuovi elementi

Partendo da una sentenza della Cassazione, rivediamo quali sono i principi che permettono al Fisco di utilizzare il cd. “accertamento integrativo”.

I requisiti di legittimità dell’accertamento integrativo

accertamento fiscale integrativo quando è legittimoAi fini IVA, requisito di legittimità per l’esercizio del potere integrativo o modificativo dell’accertamento già notificato al contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria, sotto pena di nullità, è la conoscenza sopravvenuta di nuovi elementi di fatto, rispetto a quelli posti a fondamento del primo avviso, che devono essere espressamente indicati.

E’ questa la massima della sentenza della Corte di Cassazione n. 11231 del 20 maggio 2011 (ud. del 9 febbraio 2011).

Il processo

A seguito di verifica da parte della Polizia Tributaria di Lecco, l’Ufficio di Como emetteva nei confronti della L. s.r.l. un avviso di rettifica della dichiarazione IVA per l’anno 1990 con il quale si contestava l’indebita detrazione nella dichiarazione annuale dell’importo di L. 383.616.000, relativo ad Iva risultante versata in occasione di operazioni ritenute fittizie intercorse tra le società L. s.r.l. L. s.p.a. ed altri soggetti.

L’atto impositivo, che faceva seguito ad altri due accertamenti per lo stesso anno d’imposta già in precedenza notificati alla società e puntualmente impugnati dalla stessa, veniva a sua volta contestato dalla contribuente con ricorso alla C.T.P. di Como che annullava l’avviso di rettifica.

Avverso tale sentenza l’Ufficio proponeva gravame e la C.T.R. della Lombardia con sentenza n. 93/11/05 depositata il 12.10.2005, accoglieva l’appello e rigettava il ricorso introduttivo della società.

Il fatto in questione

L’atto impugnato nel presente giudizio scaturisce da una complessa attività di verifica posta in essere da diversi Nuclei della G.d.F. nei confronti della L. s.r.l. e di altre società ritenute ad essa collegate e complici di un articolato giro di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.

Una prima verifica si è svolta dal 2/7 al 29/9/1993, concludendosi con un p.v.c. della G.d.F. della Compagnia di Lecco dal quale scaturivano nei confronti della stessa società due successivi avvisi di rettifica per l’anno d’imposta 1990, impugnati dalla contribuente ed annullati dalla C.T.P. di Como con sentenze del marzo 1995 e del marzo 1997, confermate in appello.

Nelle more di quei processi, sulla base di presunte irregolarità contestate ad altra società del preteso gruppo, la F. s.r.l., il Nucleo di Polizia Tributaria di Verona redigeva in data 5.1.1995 un nuovo p.v.c. nei confronti della L. s.r.l..

Parallelamente una diversa attività di verifica, iniziata il 2.7.1992 e conclusasi il 29.9.1995 ad opera della G.d.F. di Lecco si è svolta nei confronti della L. s.p.a. in ordine alla partecipazione agli stessi fatti.

Da ultimo, ulteriore attività di verifica parziale era stata svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Lecco nei confronti della L., culminando nel p.v.c. del 21.11.1995, al quale aveva fatto seguito l’ulteriore avviso di rettifica della dichiarazione IVA per l’anno 1990.

I motivi addotti

Ricostruito il fatto, viene eccepita l’insussistenza di “elementi nuovi” rispetto a quelli preesistenti ai primi due avvisi di rettifica emessi nei confronti della società, che valessero a legittimare l’adozione di un terzo avviso di rettifica. Più in particolare assume la ricorrente che

“… le contestazioni contenute nel terzo avviso di accertamento, pur essendo, come ovvio, relative a diverse operazioni commerciali poste in essere nel corso del medesimo periodo di imposta, tuttavia si inserivano nello stesso meccanismo di frode che era stato preso in considerazione nei precedenti atti impositivi”.

La decisione della Cassazione

La Corte, innanzitutto, premette che l’avviso di rettifica in contestazione non può che essere considerato come “integrativo” dei precedenti emessi nei confronti della stessa società D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 57, c. 3.

Come più volte affermato dalla Suprema Corte

“non vi è dubbio che in tema di I.V.A., requisito di legittimità per l’esercizio del potere integrativo o modificativo dell’accertamento già notificato al contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria è la conoscenza sopravvenuta di altri elementi di fatto, nuovi rispetto a quelli posti a fondamento del primo avviso, come implicitamente emerge dalla considerazione che la stessa norma richiede, a pena di nullità, che l’atto integrativo indichi i nuovi elementi di fatto e gli atti e i fatti attraverso i quali l’Ufficio ne ha avuto conoscenza, adempimento che, evidentemente, assolve anche alla funzione di consentire un controllo sulla posteriorità dei fatti sui quali l’Ufficio fonda una nuova pretesa (Cass. 4.8.2010, n. 18065; 17.3.2010, n. 6459; 21.11.2002 n. 16391)”.

L’atto impositivo oggetto del presente giudizio scaturisce da elementi nuovi perchè, pur riguardando sempre l’annualità 1990, “riguarda altri soggetti ed altri importi” rispetto a quelli già oggetto di accertamento coi primi avvisi di rettifica.

“Sulla questione relativa alla pretesa assenza di novità degli elementi posti a fondamento dell’atto impugnato, piuttosto, e con riferimento a questo punto anche all’altro vizio dedotto per violazione di legge, non può non rilevarsi la genericità della censura, per essersi la ricorrente limitata a esporre in ricorso soltanto una propria sintesi dei contenuti dei p.v.c. richiamati, e in particolare di quelli del 27.9.1993 e del 21.11.1995, omettendo di riprodurne i contenuti, quanto meno in maniera significativa, ed impedendo in tal modo di vagliare la rilevanza della doglianza articolata sotto il profilo dell’adozione del terzo accertamento integrativo in presenza di elementi già noti all’Ufficio.

La qual cosa non può non assumere particolare e decisivo rilievo se anche si considera che nella prospettazione della ricorrente, in presenza di articolati e complessi rapporti commerciali tra una pluralità di soggetti, la unicità dei fatti contestati alla L.I. dovrebbe desumersi dalla evidenziazione già in occasione delle precedenti verifiche della partecipazione al giro di operazioni inesistenti delle ditte F.M. e L.G. s.p.a. posto che il p.v.c. del 5.1.1995 sarebbe scaturito proprio dalla segnalazione al Nucleo di P.T. di Verona delle irregolarità accertate nei confronti della F.M. in accordo con la L.I., mentre gli stessi fatti avrebbero costituito altresì oggetto di contestazione nei p.v.c. emesso dalla G.d.F., della Compagnia di Lecco nei confronti della L.G. s.p.a. il 29.9.1995.

Ciò però senza minimamente considerare che i due atti da ultimo richiamati…, con riferimento ai quali anche si lamenta la denuncia di elementi di conoscenza poi riproposti nel p.v.c. del 21.11.1995 emesso nei confronti della L.I., e provenienti da Nuclei di G.d.F. diversi, in nessun modo risulta accertato essere pervenuti all’Ufficio di Como antecedentemente all’adozione dei primi due avvisi di rettifica, circostanza quest’ultima da escludere con assoluta certezza per il primo avviso di rettifica, risalente addirittura al 1994”.

È infatti di tutta evidenza che la novità degli elementi di conoscenza in possesso dell’Ufficio di Como al momento dell’avviso di rettifica impugnato nel presente giudizio, deve essere verificata con riferimento al diverso momento di adozione dei precedenti due avvisi di rettifica (che la contribuente ha indicato solo genericamente con la specificazione degli anni di adozione: 1994 e 1995), e non ai contenuti di p.v.c. intervenuti nei confronti delle società verificate successivamente alla notifica di quegli atti impositivi.

In proposito, tra l’altro, rileva ancora la Corte, come la genericità della contestazione emerga altresì sotto altro profilo,

“vale a dire avuto riguardo all’assenza di qualsiasi indicazione idonea quanto meno a prospettare che gli elementi accertati dal Nucleo di P.T. della Guardia di finanza di Verona nel p.v.c. del 5.1.1995, e dalla Compagnia della G.d.F. di Lecco nel p.v.c. del 29.9.1995, fossero effettivamente pervenuti all’Ufficio delle Entrate di Como prima dell’adozione dei due avvisi di rettifica del 1994 (per il quale l’ipotesi è addirittura impossibile) e del 1995”.

Ed invero è conforme a giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo il quale:

“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza legittima l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, anche i dati conosciuti da un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’avviso di accertamento al momento dell’adozione di esso”. (v. Cass. 12.5.2006, n. 11057; 9.9.2005, n. 18014).

Risulta, altresì, erronea la tesi della ricorrente

“secondo la quale ai fini della legittimità dell’avviso di rettifica dovrebbe tenersi conto non solo degli elementi conosciuti ma anche di quelli conoscibili da parte dell’Ufficio. In proposito non pertinente è il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte contenuto in ricorso essendosi le sentenze citate (Cass. nn. 451/2002, 4164/1995) limitate ad affermare, del tutto condivisibilmente, e senza nessun riferimento a ulteriori profili di “mera conoscibilità” di circostanze invece non venute espressamente in evidenza, che il presupposto per l’integrazione o modificazione del precedente avviso, costituito dalla sopravvenienza di notizia di nuovi fatti, va riscontrato con riferimento alla data dell’avviso medesimo, cioè al giorno della notificazione dell’accertamento in rettifica, non alla data anteriore in cui sia stato confezionato e sottoscritto il documento poi estrinsecatosi, con tale notificazione, in atto di rettifica”.

Naturalmente,

“quello che qui si contesta è che possano ritenersi non idonei a legittimare il potere di rettifica dell’A.F. elementi nuovi emersi successivamente al precedente accertamento (come ne caso di nuove operazioni inesistenti, accertate magari, ma non necessariamente, nei rapporti con altri e diversi soggetti), e non che il presupposto legittimante il potere dell’Ufficio non ricorra invece in presenza di diversa, o più approfondita, valutazione del “materiale probatorio” già acquisito dall’ufficio, dovendosi ritenere che con l’emissione dell’avviso di rettifica l’amministrazione effettivamente consuma il proprio potere di accertamento in relazione agli elementi posti a sua disposizione (v. Cass. 8.5.2006, n. 10526)”.

Elemento nuovo che legittima il potere di rettifica dell’accertamento in materia di IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, c. 3,

“è qualsiasi elemento che, nei termini di legge, venga a conoscenza dell’Ufficio successivamente alla notifica del precedente avviso di accertamento, e che risulti idoneo a giustificare la pretesa di una maggiore imposta, indipendentemente da ogni suo collegamento con altri fatti in precedenza accertati”.

Ma – chiude la Corte –

“nella fattispecie in esame la doglianza della ricorrente risulta inequivocabilmente formulata in maniera tale da non consentire affatto di valutare se effettivamente gli elementi di conoscenza posti a fondamento dell’atto impugnato, fossero o meno nuovi rispetto a quelli emergenti dai due precedenti avvisi di rettifica, così come dal giudice di merito accertato con motivazione adeguata e solo genericamente contestato”.

Per approfondire:
L’accertamento integrativo o modificativo in aumento
Le condizioni per l’accertamento integrativo
Avvisi di accertamento integrativi: insussistenza delle condizioni legittimanti la loro emissione

21 giugno 2011

Francesco Buetto