Le condizioni per l'accertamento integrativo

Con recente ordinanza la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di accertamento integrativo. Nel caso in questione, la controversia è approdata in Cassazione per effetto del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria contro la sentenza della CTR Campania che ha annullato la ripresa a tassazione di canoni di locazione indebitamente detratti in relazione all’attività di avvocato. Esaminiamo gli sviluppi della vicenda…

accertamento integrativoCon l’ordinanza n. 18094 del 10 luglio 2018, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di accertamento integrativo.

Nel caso in questione, la controversia è approdata in Cassazione per effetto del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria contro la sentenza della CTR Campania che, in riforma della pronunzia di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento emesso per l’anno 2008 e relativo alla ripresa a tassazione di canoni di locazione indebitamente detratti in relazione all’attività di avvocato.

Secondo la CTR l’Ufficio, che aveva in precedenza emesso a carico del medesimo contribuente un altro avviso di accertamento relativo alla ripresa di contributi unificati, era già a conoscenza, all’atto dell’emissione del primo accertamento, degli elementi sui quali si era fondato il secondo, così violando l’art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/73.

Davanti ai massimi giudici, le Entrate deducono la violazione dell’art. 41 bis del D.P.R. n. 600/73 (la CTR non avrebbe considerato che il primo accertamento aveva natura di verifica parziale, risultando ivi espressamente indicato che l’Ufficio avrebbe potuto integrare l’accertamento sulla base di altri elementi).

Con il secondo motivo le Entrate rilevano che la CTR aveva tralasciato di considerare che il secondo accertamento si era fondato su documentazione acquisita in epoca successiva al primo accertamento, richiesta nell’ambito di autonomi inviti a produrre documentazione.

 

NdR: Potrebbe interessarti anche: Un caso di accertamento integrativo

 

Motivi di ricorso

Secondo gli Ermellini, il primo motivo di ricorso è inammissibile, “non riguardando questione oggetto di esame da parte del giudice di appello. La CTR, infatti, non ha in alcun modo preso in considerazione la natura parziale del primo accertamento, né tale questione risulta essere stata posta all’attenzione del giudice di merito da parte dell’ufficio che, sul punto, non ha nemmeno dedotto tale circostanza”.

Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile. “La ricorrente, nel censurare l’operato del giudice di merito, muove dall’affermazione che l’accertamento oggetto di contestazione sarebbe stato emesso sulla base di documentazione acquisita dall’ufficio in epoca successiva al primo accertamento. Ma siffatta prospettazione si scontra con l’accertamento di fatto, compiuto dalla CTR ed insindacabile in questa sede, in ordine al fatto che il secondo accertamento era stato emesso ‘in assenza dell’acquisizione di elementi sopravvenuti, anzi sulla base di elementi non solo conoscibili ma di cui l’ufficio era certamente già a conoscenza e che avrebbe dovuto e potuto valutare al momento dell’emissione del primo accertamento’.

Accertamento che rende immune da vizi la pronunzia del giudice di merito, se si considera che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il presupposto per l’integrazione o modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, è costituito, ex art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, sicché gli accertamenti integrativi non possono essere fondati sugli stessi elementi di fatto del precedente o dei precedenti accertamenti, e la conoscenza dei nuovi elementi deve essere avvenuta in epoca successiva a quella in cui l’accertamento originario è stato notificato – cfr. Cass. n. 26279/2016”.

Brevi note

La questione posta davanti alla Corte di Cassazione investe sostanzialmente le condizioni per procedere all’accertamento integrativo, di cui all’art.43, comma 3, del D.P.R. n. 600/73, e l’intreccio – spesso non attenzionato dai giudici di merito – con l’art.41-bis, del D.P.R. n. 600/73.

Andiamo con ordine.

Entro gli stessi termini previsti per l’esercizio ordinario dell’attività di controllo l’ufficio può notificare ulteriori avvisi, integrativi o modificativi dei precedenti, ove sussistano i presupposti fissati dalla legge.

Il presupposto per l’esercizio del potere di integrazione e modificazione è dato dalla “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

La norma, in forza di quanto prescritto dagli art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/73 e 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/72, ammette la riemissione di un nuovo avviso di accertamento, subordinandolo ad un ampliamento della conoscenza sulla situazione di fatto, attraverso elementi – nuovi e sopravvenuti – che se conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa valutazione reddituale.

Tale formula, sinteticamente, esprime in maniera chiara che l’ufficio accertatore non può addivenire ad un nuovo atto sulla base di una semplice riconsiderazione di quanto era già noto al momento dell’emanazione del primo avviso.

La reiterazione è possibile, infatti, solo nell’ipotesi in cui si sia verificato un ampliamento della conoscenza sulla situazione di fatto, attraverso elementi che, se conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa e maggiore valutazione dell’imponibile.

La norma esige tanto la presenza di elementi non apprezzati nel precedente avviso quanto l’acquisizione della loro conoscenza in un momento successivo [1].

 

La circolare 7/1496 del 1977

Le stesse indicazioni fornite con la C.M. n. 7/1496 del 30.4.1977 affermano che, al verificarsi di tali fatti – sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi –, “l’Ufficio deve notificare un altro avviso nel quale deve specificare, a pena di nullità, i fatti in questione ed il modo in cui ne è venuto a conoscenza, curando in modo particolare di porre in rilievo che trattasi di fatti che erano sconosciuti all’Ufficio ( e tali debbono effettivamente essere) alla data del primo accertamento o dei precedenti accertamenti integrativi. Gli elementi nuovi debbono pur sempre riguardare fatti rientranti nel periodo d’imposta in considerazione e perciò necessariamente anteriori al primo avviso di accertamento, di modo che, nella realtà, novità e sopravvenienza sono tutt’uno e concernenti la conoscenza, da parte dell’Ufficio, di fatti storicamente vecchi“.

Le istruzioni allora diramate – che pur se datate sono da ritenere tuttora valide – proseguono affermando che i fatti sono nuovi “perché venuti a conoscenza dell’Ufficio – e, quindi, non direttamente rilevabili dagli elementi contenuti nella dichiarazione o negli atti o fatti che hanno dato luogo all’accertamento d’ufficio – solo successivamente alla data dell’accertamento di cui sono integrativi, pur riguardando epoca anteriore e, precisamente, circostanze e accadimenti verificatasi nel periodo di imposta cui l’accertamento si riferisce”.

Il nuovo avviso, deve indicare, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio.

Dal punto di vista formale, l’accertamento integrativo, deve avere un contenuto completo e, quindi, deve sottostare anche alle prescrizioni dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 56 del D.P.R. n. 633/72 (indicazione degli elementi o dei cespiti che sono alla base del nuovo accertamento, del nuovo imponibile, dell’aliquota applicata e dell’imposta derivata).

Le indicazioni specificatamente previste per gli accertamenti integrativi debbono risultare dalla motivazione dell’atto, che è lo strumento attraverso il quale si descrive l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’ufficio al fine di rendere edotto il contribuente delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando il destinatario dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario.

Come abbiamo anticipato, la problematica degli accertamenti integrativi è, comunque, strutturalmente legata ad un precedente accertamento ordinario, a carattere generale; diversamente, se si è in presenza di un accertamento parziale non sussiste la necessità di valutare la sopravvenuta conoscenza dei nuovi elementi[2].

 

Gli accertamenti parziali

Infatti, gli accertamenti parziali, previsti dagli artt. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, sono emessi dagli uffici senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice, in quanto privi di una valutazione complessiva della posizione del contribuente e basati su informazioni precise e certe accolte presso soggetti terzi.

Tale disposizione costituisce ormai una normale modalità procedurale cui si applicano le stesse regole previste per gli accertamenti ordinari (cfr. Cass. nn. 5977/07, 2761/2009, 25335/2010, 27323/2014, 25989/2014).

Se l’ufficio utilizza l’accertamento parziale, non ha la necessità della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, per notificare ulteriori atti, non essendo soggetti ai limiti di cui all’art.43.

Infatti, l’ampiezza della attuale formulazione normativa, in genere, fa venir meno le problematiche legate all’accertamento integrativo e/o modificativo, al di là di quanto espressamente previsto in ordine alla possibilità di riemissione di un nuovo avviso di accertamento a seguito dell’ampliamento della conoscenza sulla situazione di fatto, attraverso elementi – nuovi e sopravvenuti – che se conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa valutazione reddituale.

 

[1] Tali elementi, pur preesistendo storicamente sono qualificabili come sopravvenuti in quanto non avrebbero potuto essere colti dall’Ufficio nella loro attitudine a palesare un maggior reddito, perché non immessi nella sfera percettiva dell’Amministrazione, pur preesistendo storicamente; di fatto la novità attiene alla possibilità di conoscenza sopravvenuta.

[2] Sia consentito il rinvio ad ANTICO, Accertamenti parziali “allargati”, in “il fisco” n. 43/2014, pag. 4222.

 

Gianfranco Antico

19 ottobre 2018