Lo Statuto dei Diritti del Contribuente: la valenza in sede di accertamento | Parte 2

La seconda parte dell’intervento al nostro convegno relativo alla valenza dello Statuto del Contribuente. Il rapporto tra Statuto del contribuente e motivazione delle cartelle esattoriali, argomento su cui il confronto col Fisco è sempre serrato.

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L’obbligo di motivazione della cartella di pagamento nella giurisprudenza di legittimità

cartelle esattoriali agenzia entrate riscossioneUn cenno lo merita anche la motivazione delle cartelle di pagamento, argomento sul quale il confronto con l’Amministrazione finanziaria è sempre serrato.

La Corte di Cassazione con una recente sentenza (Sent. n. 26330 del 16 dicembre 2009 ud. del 21 ottobre 2009, Pres. Papa, Rel. Marinucci) è tornata ad occuparsi della materia ed ha ribadito che gli atti impositivi devono contenere una motivazione congrua, sufficiente ed intellegibile a rendere edotto il contribuente destinatario dell’an e del quantum della pretesa tributaria al fine di esercitare con pienezza di facoltà il diritto alla difesa.

Conformemente all’orientamento della Corte Costituzionale (cfr. sentenza 229/99 e ordinanza 117/00), la Cassazione ha precisato che l’obbligo di una congrua, sufficiente ed intelligibile motivazione non può essere riservato ai soli avvisi di accertamento, atteso che alla cartella di pagamento devono ritenersi comunque applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, (poi recepiti, per la materia tributaria, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7), ponendosi, una diversa interpretazione, in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., tanto più quando tale cartella non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento (ex plurimis, Cass. n. 15638/04).

Alla cartella di pagamento risultano quindi applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990 e dall’art. 7 dello Statuto dei Diritti del Contribuente: una diversa interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto con la Costituzione, in riferimento agli artt. 3 (sotto il profilo della disparità di trattamento, rispetto agli altri atti della pubblica amministrazione, e del difetto di ragionevolezza) e 24 (sotto il profilo della ingiustificata lesione del diritto di difesa del contribuente): ciò a maggior ragione allorché la cartella di pagamento non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento.

Tali principi, sanciti dalla Suprema Corte originariamente in tema di Tarsu (sentenza n. 15638/04), sono stati ribaditi in tema di liquidazione delle dichiarazioni ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73 e 54 bis del D.P.R. 633/72.

Nella recente sentenza n. 26330 del 16 dicembre 2009, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso che trova sovente riscontro nella ordinaria attività di controllo delle dichiarazioni: una cartella priva di alcuna motivazione circa la pretesa erariale, che si limita a riportare dei dati numerici, dai quali risulterebbe una riduzione del credito d’imposta formatosi a seguito delle eccedenze degli anni precedenti, senza, però, che vi sia traccia delle ragioni per cui sarebbe stata operata tale riduzione.

Tale omissione – in genere riportata con la criptica locuzione ecc. non detr. ovvero eccedenza non detraibile – è stata contestata dalla parte contribuente, eccependo la nullità della cartella di pagamento per palese violazione dell’obbligo di motivazione sancito dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, e riaffermato dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione agli atti tributari anche riscossivi; eccepivano i ricorrenti anche la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 28 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, c. 2, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., cc. 1, n. 3.

L’Ufficio finanziario, in sede d’appello, sosteneva che sarebbe rientrata nei propri poteri la possibilità di non riconoscere un credito non spettante sia nell’esercizio in cui questo scaturirebbe, sia in quello successivo, quando verrebbe riportato in dichiarazione quale eccedenza d’imposta derivante dall’anno precedente: tale tesi poggerebbe sull’interpretazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, c. 2.

In realtà, la possibilità di correzioni dei dati esposti nelle dichiarazioni dei redditi, riconosciuta all’Ufficio finanziario dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, è rigorosamente circoscritta alla correzione di errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili a seguito di riscontro cartolare.

Nel caso di specie, però, non si trattava di una mera correzione di calcolo dell’importo delle eccedenze, bensì di una rettifica dell’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi 1991 da L. 54.530.000 a L. 44.958.000, senza che venisse chiarita la ragione di tale rettifica.

Pertanto, l’Ufficio finanziario aveva rettificato le eccedenze indicate dai ricorrenti non in base ad un errore materiale o di calcolo commesso dalla parte contribuente e direttamente desumibile dalla dichiarazione presentata, bensì rettificando surrettiziamente ed immotivatamente l’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi 1991.

L’eccepita carenza di motivazione – ha rilevato la Suprema Corte – veniva confermata dal fatto che solo in grado di appello l’Amministrazione Finanziaria ha precisato le ragioni dell’iscrizione a ruolo.

Come accennato, anche nella cartella di pagamento l’ente impositore ha l’obbligo di chiarire, sia pure succintamente, le ragioni intese come indicazione sia della mera causale che della motivazione vera e propria, dell’iscrizione nel ruolo dell’importo dovuto, in modo tale da consentire al contribuente un non eccessivamente difficoltoso esercizio del diritto di difesa.

Né è consentito all’Amministrazione esimersi da questo obbligo affermando che non è necessario riportare nella cartella criteri che siano noti per essere stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale (così Cassazione Sent. n. 11251 del 18 aprile 2007 dep. il 16 maggio 2007).

Le superiori indicazioni, troppo spesso, risultano disattese dall’Amministrazione finanziaria nelle cartelle di pagamento, anche nei casi della contestazione degli omessi versamenti: basti rilevare la ricorrente circostanza nella quale la motivazione è del tenore omesso/carente/tardivo versamento, fattispecie tutte diverse che richiederebbero, invece, una dettagliata spiegazione.

E’ ben diversa infatti la circostanza dell’omesso versamento (che comporta la debenza dell’intera imposta, con relative sanzioni e interessi dalla data di scadenza del singolo pagamento) da quella del carente versamento (che richiederebbe di sapere l’entità del versamento originariamente dovuto da raffrontarsi con quello effettivamente eseguito, con la conseguente quantificazione di interessi e sanzioni da calcolarsi sul residuo dovuto) ovvero da quella del tardivo versamento (che impone un raffronto tra data di scadenza e quella di effettivo pagamento, con consequenziali sanzioni e interessi).

Anche in tali circostanze l’obbligo di motivazione andrebbe assolto nel rispetto dei presupposti di legge, così come ribaditi anche dalla giurisprudenza di legittimità.

 

Conclusioni

La valenza dello Statuto dei Diritti del Contribuente in tema di motivazione degli atti, siano essi avvisi di accertamento che cartelle di pagamento, è sicuramente pregnante e risponde all’esigenza di far comprendere al cittadino-contribuente le ragioni di una pretesa tributaria, anche all’uomo comune sprovvisto di conoscenze tecniche.

Lo Statuto ha sicuramente contribuito a fare dei grossi passi avanti, costringendo l’Amministrazione Finanziaria – sotto i colpi delle sentenze di legittimità – a porre maggiore attenzione all’obbligo motivazionale.

Tale circostanza trova ancora resistenze di carattere “strutturale” per la generale tendenza ad utilizzare automatismi accertativi, presunzioni di vario genere e ricostruzioni induttive del reddito, con le quali vengono emessi atti di imposizione senza un vero intervento del funzionario tributario che illustri le ragioni per le quali gli elementi statistici utilizzati si possono applicare al caso specifico (e penso a quel richiamo agli “studi dell’Amministrazione” ed alle “aziende similari del settore che operano in condizioni di normalità”) ovvero le ragioni per le quali da una premessa di carattere generale si arrivi ad un maggior reddito accertato nel caso affrontato.

Sotto questo punto di vista c’è ancora da lavorare.

 

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Rimini, 14 maggio 2010

Massimo Conigliaro