Compensi degli amministratori e presunzione di comportamenti antieconomici

Continuiamo il nostro approfondimento sulla sindacabilità, da parte del Fisco, dei comportamenti antieconomici soffermandoci su: la congruità dei compensi attribuiti agli amministratori di società; la presunzione di percezione del compenso da parte dell’amministratore.

In precedenti articoli, abbiamo affrontato la questione della contestazione, da parte del Fisco, di comportamenti antieconomici soffermandoci sul principio di inerenza. Chi lo desidera può iniziare la lettura da qui >>

Affrontiamo adesso la questione dei compensi degli amministratori.

 

La congruità dei compensi agli amministratori di società

sentenza corte di cassazioneLa Corte di cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite n. 21933 del 29 agosto 20081, ha affermato che i compensi degli amministratori delle società di capitali devono essere stabiliti con una specifica delibera societaria, non essendo, al riguardo, sufficiente quella di approvazione del bilancio nel quale sono iscritti i detti compensi.

In assenza della detta specifica delibera e della indicazione del compenso nell’atto di nomina degli amministratori è da considerarsi nullo qualsiasi diverso atto che intervenga in merito alla fissazione dell’ammontare dei compensi stessi.

Tali importanti affermazioni assumono rilievo ai fini non soltanto dei rapporti civilistici tra gli amministratori e la società ma anche della controversa questione della possibilità per l’amministrazione finanziaria di presumere la percezione del compenso da parte dell’amministratore anche in presenza di un mandato apparentemente gratuito, dando luogo, tale situazione, ad un comportamento “antieconomico”.

La Corte di cassazione, nell’affrontare tale questione, ha riaffermato la possibilità per l’amministrazione finanziaria di sindacare, ai fini dell’imposizione sui redditi, la congruità dei compensi attribuiti agli amministratori.

Tale principio ha formato oggetto di contrastanti interventi della giurisprudenza della stessa Corte di cassazione, che hanno riguardato sia l’ammontare dei compensi deducibili in sede di determinazione del reddito della società sia, come detto, l’importo del reddito tassabile in capo all’amministratore.

La questione della possibilità per gli uffici dell’amministrazione finanziaria di sindacare la congruità dei compensi attribuiti agli amministratori di società è stata a lungo dibattuta nell’ambito della giurisprudenza della Corte di cassazione ed è connessa alla più ampia problematica, già illustrata, concernente la possibilità per l’amministrazione finanziaria di contestare la congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni, anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi degli atti posti in essere.

 

La deducibilità dei compensi da parte della società

compensi degli amministratoriIn alcune sentenze2 la Suprema Corte ha riconosciuto all’amministrazione finanziaria il potere di contestare l’ammontare dei compensi attribuiti dalla società agli amministratori e dedotti in sede di determinazione del reddito d’impresa della stessa.

La sentenza più recente3 riguarda, in realtà, le somme attribuite agli associati in partecipazione in misura ritenuta sproporzionata rispetto alle dimensioni della società e ai compiti svolti dagli associati, ma la questione si pone in termini sostanzialmente analoghi con riguardo ai compensi degli amministratori.

In tali pronunce si afferma che se i comportamenti dei contribuenti non rispondono “ai canoni dell’economia” gli uffici possono legittimamente disconoscere la deducibilità dei costi nonostante l’annotazione delle delibere nei libri sociali, la registrazione dei contratti e le risultanze dei bilanci regolarmente approvati.

Ciò in quanto rientrerebbe nei poteri degli uffici la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nei bilanci e nelle dichiarazioni, senza che risulti necessario l’accertamento della nullità, totale o parziale, dei negozi giuridici attraverso i quali i fatti di gestione si sono realizzati.

In altre sentenze4 la Corte di cassazione ha, invece, negato la sindacabilità dell’ammontare del compenso attribuito dalle società agli amministratori. In particolare, nella sentenza n. 6599 del 2002 è stato rilevato che, mentre l’art. 59 del DPR n. 597 del 1973 stabiliva che i compensi degli amministratori erano deducibili nel limite delle misure correnti per gli amministratori non soci, un’analoga previsione non è stata più inserita nelle analoghe norme introdotte successivamente (fino a giungere all’attuale comma 5 dell’art. 95 del TUIR).

La Suprema Corte rileva che il detto art. 59,

“sapientemente tendeva ad evitare le possibili manovre elusive che attraverso la maggiorazione dei compensi agli amministratori-soci possono senz’altro essere poste in essere per non pagare nella misura dovuta l’imposta che fa capo alla società di persone.

L’eliminazione (in sede di redazione del TUIR) del riferimento del limite delle ‘misure correnti per gli amministratori non soci’ ha senza dubbio natura innovativa poiché ha tolto all’Amministrazione (verosimilmente in maniera immotivata e senza che ve ne fossero ragioni convincenti e condivisibili) il potere di ricondurre ai prezzi di mercato previsti per gli amministratori non soci (prezzi facilmente individuabili nel concreto) i compensi sproporzionati. La nuova disciplina ha, quindi, totalmente liberalizzato il concetto di spettanza ai fini della deducibilità”.

 

Quindi, poichè la norma non fa riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti ai fini della determinazione dei limiti massimi di spesa oltre i quali i compensi agli amministratori non sono deducibili, la Cassazione afferma, di conseguenza, che

“nel sistema la spettanza e la deducibilità dei compensi agli amministratori è determinata dal consenso che si forma o tra le parti o nell’ambito dell’ente sul punto, senza che all’Amministrazione sia riconosciuto un potere specifico di valutazione di congruità”.

 

Pertanto la Corte ha ritenuto non contestabile da parte dell’amministrazione finanziaria la congruità dei compensi attribuiti agli amministratori, pur senza porre in discussione il principio di carattere generale della sindacabilità dei costi esposti in bilancio in presenza di comportamenti “antieconomici”.

Tale orientamento è stato, peraltro, disatteso, come già evidenziato, nella successiva sentenza n. 20748 del 2006, relativa ai compensi attribuiti agli associati in partecipazione.

Si ricorda, infine, che l’Amministrazione finanziaria, nella risoluzione n. 8/166 del 17 marzo 1977 ha affermato la deducibilità dei compensi attribuiti agli amministratori della società controllata che rivestono un’analoga qualifica anche presso la società controllante e che sono riversati a quest’ultima5.

In senso conforme si è espressa anche la Commissione tributaria provinciale di Lucca6, che ha anche affermato che l’approvazione del bilancio è condizione sufficiente a dimostrare la certezza del costo sostenuto dalla società in relazione ai compensi degli amministratori.

 

La presunzione di percezione del compenso da parte dell’amministratore

La Corte di cassazione, nella sentenza n. 1915 del 29 gennaio 2008, ha affermato, con riguardo al caso di un contribuente che aveva ricoperto la carica di amministratore di una srl e di due condomini senza percepire apparentemente alcun compenso, che va considerato legittimo l’accertamento dell’ufficio che ha assoggettato a tassazione i compensi presumendone la percezione, in quanto si tratterebbe di un comportamento manifestamente antieconomico.

Ciò in base alla considerazione che

“a buon diritto l’amministrazione, anche in considerazione del disposto dell’art. 2389 c.c., che prevede come oneroso il mandato di amministratore della società, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per fare ricorso all’accertamento induttivo, stante la manifesta irragionevolezza e/o comunque la eccezionalità dell’espletamento gratuito di attività complesse, impegnative e di responsabilità e, quindi, la relativa antieconomicità”.

Nella motivazione della stessa sentenza la Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale

“ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che fra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità”7

ed ha affermato che appare “assolutamente ragionevole” presumere che l’attività dell’amministratore sia stata retribuita, anche perché

“il contribuente non ha offerto prova della gratuità dei mandati né di altri elementi idonei ad escludere la realizzazione, dall’attività svolta, di reddito fiscalmente rilevante”.

E’ stato, in particolare, precisato che l’autodichiarazione con la quale l’amministratore aveva attestato che dalle scritture contabili e dagli atti societari non risultava che gli fossero stati erogati corrispettivi avrebbe dovuto essere supportata, ad esempio, da

“stralci in copia autentica del bilancio consuntivo approvato a fine esercizio, oltre che del verbale assembleare di approvazione, relativi alle risultanze dei competenti capitoli – voce di spesa compensi e/o compensi per cariche istituzionali e/o amministratori – disposizioni statutarie e/o delibera assemblea società o consiglio amministrazione attestante gratuità prestazioni ecc.”

Al riguardo è stato osservato8, in modo condivisibile, che, poiché l’art. 2389 c.c. subordina la fissazione del compenso degli amministratori ad un’apposita deliberazione assembleare (all’atto della nomina o successiva) e l’art. 2364 c.c. conferma che è l’assemblea ordinaria dei soci a determinare il detto compenso se non è stabilito dallo statuto,

“la spettanza o meno del compenso per l’amministratore di una società di capitali non può essere una circostanza oggetto di presunzione, ma un semplice fatto da accertare; se esiste una delibera assembleare in tal senso ovvero se lo statuto sociale prevede l’importo da attribuire agli amministratori , a questi può essere erogato il compenso, in caso inverso no”.

Inoltre l’ordinamento tributario consente solo in via eccezionale la presunzione dell’avvenuto incasso del reddito (ad esempio in caso di capitali dati a mutuo, per i quali l’art. 45, comma 2, del TUIR prevede espressamente tale presunzione).

E’ stato, altresì, rilevato9 che

“la determinazione del reddito fiscalmente rilevante non può avvenire secondo modelli di corrispondenza ai dati della normalità economica, bensì attraverso schemi che consentano di intercettare l’effettivo arricchimento del soggetto passivo. In concreto, non in astratto.

Ciò che può apparire ‘normale’ per la massa potrebbe non esserlo per il singolo”.

Va, peraltro, ricordato che lo stesso art. 95, comma 5, del TUIR stabilisce che i compensi spettanti agli amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui sono effettivamente corrisposti.

Come ricordato all’inizio, la Corte di cassazione, risolvendo i contrasti giurisprudenziali insorti in precedenza10, ha affermato, a sezioni unite, nella sentenza n. 21933 del 29 agosto 2008 (20 maggio 2008), che è necessaria una specifica delibera dell’assemblea dei soci per riconoscere la spettanza del compenso agli amministratori delle società di capitali e che è nulla l’attribuzione del compenso in assenza di tale delibera.

E’ stato, in tal modo, chiarito che gli amministratori non possono determinare autonomamente il proprio compenso e ottenere successivamente la ratifica dei soci in occasione dell’approvazione del bilancio nel quale è stata inserita l’apposita voce di spesa.

L’approvazione da parte dell’assemblea dell’attribuzione del detto compenso può avvenire contestualmente all’approvazione del bilancio esclusivamente se è provato che

“l’assemblea convocata soltanto per l’esame e l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, abbia anche espressamente discusso e approvato una specifica proposta di determinazione dei compensi degli amministratori”.

La disposizione contenuta nell’art. 2389 c.c. è stata, quindi, ritenuta imperativa e inderogabile dalla Corte, tenuto anche conto del fatto che l’ormai abrogato art. 2630, comma 2, c.c. sanzionava penalmente l’ipotesi della percezione, da parte degli amministratori, di compensi non preventivamente deliberati dall’assemblea e la successiva depenalizzazione della fattispecie non permette di ritenere che il medesimo comportamento, a suo tempo punito come delitto, possa oggi ritenersi consentito, esautorando l’assemblea dei soci della competenza attribuita dall’art. 2389 c.c., la cui disciplina risulterebbe, in tal modo, inutile e superflua.

Alla luce della menzionata interpretazione formulata dalla sezioni unite della Corte di cassazione si pone la questione se gli orientamenti della stessa Corte in ordine alla presunzione di percezione del compenso da parte dell’amministratore siano da ritenere ancora pienamente validi o meno.

Si è già evidenziato che nella sentenza n. 1915 del 2008 la Suprema corte aveva affermato che il contribuente avrebbe potuto fornire la prova della gratuità del mandato sulla base di elementi quali il bilancio e il verbale assembleare di approvazione dello stesso ovvero l’esistenza di una “clausola derogatoria” all’onerosità del mandato stesso nello statuto.

Adesso, però, nella sentenza n. 21933 la Cassazione ha asserito che l’attribuzione del compenso va considerata nulla in mancanza di una specifica delibera assembleare che la preveda.

Non appare, pertanto, possibile attribuire all’amministratore l’onere di provare la gratuità del proprio mandato sulla base di elementi oggettivi diversi dalla semplice evidenziazione dell’assenza della detta specifica delibera.

Dovrebbe, quindi, spettare all’amministrazione finanziaria l’onere di provare (mediante il controllo della contabilità ed, eventualmente, delle risultanze dei conti bancari) che, nonostante la mancanza di tale delibera, sia stato erogato, di fatto, un compenso all’amministratore.

Si pone, inoltre, la questione se il compenso sia deducibile da parte della società nel periodo d’imposta in cui avviene l’erogazione anche qualora manchi la detta specifica delibera assembleare di attribuzione del compenso stesso.

Al riguardo dovrebbe senz’altro ritenersi superata l’affermazione della Commissione tributaria provinciale di Lucca11 secondo la quale l’approvazione del bilancio sarebbe condizione sufficiente a dimostrare la certezza del costo sostenuto dalla società in relazione ai compensi degli amministratori, essendo, invece, necessaria la presenza della specifica delibera.

In assenza di tale delibera si potrebbe sostenere che non possano derivare effetti fiscali da un’attribuzione di compensi da considerare nulla ai fini civilistici e che, pertanto, le relative somme vadano considerate dei semplici crediti vantati dalla società nei riguardi degli amministratori12.

Non va, infine, dimenticato che in passato la deduzione dei compensi “incongrui” (in quanto eccessivamente elevati) veniva effettuata al fine di “trasformare” l’utile della società, da assoggettare all’ILOR, in compensi deducibili nella determinazione del reddito d’impresa e assoggettabili soltanto all’IRPEF dai soci-amministratori.

Tale finalità è, evidentemente, venuta meno ma il sindacato della congruità dei costi dovrebbe trovare pur sempre fondamento nella possibilità di effettuare un arbitraggio ai fini fiscali13, che potrebbe oggi consistere nella convenienza per il socio amministratore a percepire gli utili sotto forma di compensi, per evitare di subire la parziale duplicazione impositiva che grava sugli utili stessi.

Si ritiene, inoltre, che in caso di disconoscimento della deducibilità di parte del compenso corrisposto dalla società, quest’ultimo non dovrebbe essere assoggettato, nella stessa misura, ad imposizione in capo all’amministratore.

 

Leggi anche:

L’inerenza degli interessi passivi delle spese di rappresentanza e la presunzione di comportamenti antieconomici

– SRL: rapporto di lavoro subordinato per componenti CdA e delibera consiliare per attribuzione deleghe

 

 

14 maggio 2010

Gianfranco Ferranti

 

 

NOTE

1 Si vedano, al riguardo, G. Negri, “Delibera ad hoc per i compensi agli amministratori”, in Il Sole 24 Ore dell’8 settembre 2008; F. Cornaggia e N. Villa, “Spa, il compenso vuole la delibera”, in Italia Oggi del 6 ottobre 2008, pag. 28; S. Defrancesco e G.G. Reina, “Compensi degli amministratori: delibera “ad hoc”, in Guida alla contabilità e bilancio n. 19/2008, pag. 5.

2 Si vedano le sentenze della Corte di cassazione del 27 settembre 2000, n. 12813, del 30 ottobre 2001, n. 13478, del 12 giugno 2006, n. 20748 (relativa alle somme attribuite agli associati in partecipazione).

3 La sentenza n. 20748 del 2006.

4 Si vedano le sentenze della Corte di cassazione del 9 maggio 2002, n. 6599, del 31 ottobre 2005, n. 21155, e del 2 dicembre 2008, n. 28595.

5 Si veda, al riguardo, F. e L. Dezzani, “Compensi amministratori della controllata riversati alla controllante. Deducibilità fiscale. La sindacabilità o meno del quantum”, in il Fisco n. 43/2006, pag. 6614.

6 Nella sentenza n. 64 del 14 luglio 2006.

7 Cosi le sentenze della Corte di cassazione n. 26081 del 2005, n. 23079 del 2005, n. 2700 del 1997 e n. 3302 del 1996.

8 Da C. Pino, “E’ ‘comportamento antieconomico’ l’attività di amministratore svolta senza percepire compensi?”, in Corr. Trib. n. 12/2008, pag. 958.

9 Da M. Beghin, “Il commento”, in Corr. Trib. n. 12/2008, pag. 962.

10 A favore della tesi della validità della ratifica in sede di approvazione del bilancio dell’autonoma attribuzione dei compensi da parte degli amministratori si erano espresse, tra le altre, le sentenze della Corte di cassazione n. 6935 del 1983, n. 2832 del 2001, n. 28243 del 2005 e n. 11490 del 2007. In senso conforme a quanto affermato dalle Sezioni unite della stessa Corte si erano, invece, pronunciate le sentenze n. 2672 del 1968, n. 3774 del 1995, n. 1319 del 1995, n. 10895 del 2004 e n. 21130 del 2007.

11 Contenuta nella sentenza n. 64 del 14 luglio 2006.

12 Cfr., al riguardo, F. Cornaggia e N. Villa, “Data in causa ai fini della deducibilità”, in Italia Oggi del 6 ottobre 2008, pag. 29.

13 Si veda, in tal senso, D. Stevanato, “Compensi corrisposti agli associati in partecipazione e sindacato di congruità del costo”, in Corr. Trib. n. 45/2006, pagg. 35-69.

Scarica il documento