Cessione di ramo d’azienda: i confini giuridici della tutela dei lavoratori

La sentenza della Corte di Cassazione in questione, riportata in calce al presente saggio, offre lo spunto per analizzare l’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c. alla luce delle modifiche intervenute con il Dlgs n. 276/2003. A cura di Massimo Giuliano.

La fattispecie in esame

trasferimento d'azienda e ripercussioni sui lavoratoriAlcuni lavoratori si erano rivolti al Pretore di Genova affinché dichiarasse l’illegittimità del trasferimento d’azienda attuato senza il loro consenso, in considerazione del fatto che nel caso di specie non era configurabile la fattispecie di cessione di ramo d’azienda ma, semplicemente una cessione di c.d. servizi generali rappresentanti attività di puro costo, senza alcun legame tra loro.

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso mentre la Corte d’Appello di Genova dichiarava la nullità della cessione del contratto di lavoro negando la ricorrenza del trasferimento di ramo d’azienda, e quindi, la conseguente necessità del consenso del contraente ceduto.

Giunta la vicenda a piazza Cavour i giudici della Suprema Corte respingevano il ricorso proposto dalla società asserendo che nel caso di specie è esclusa la configurabilità di un trasferimento aziendale, e, quindi, l’applicabilità dell’articolo 2112 del Codice civile, poichè la cessione non aveva ad oggetto un complesso di beni organizzati, ma, bensì, un gruppo di lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata dall’estrema eterogeneità delle funzioni  degli  addetti.

Ad avviso della Corte il diritto positivo richiede per l’applicazione dell’articolo 2112 c.c. che sia ceduto un complesso di beni, che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi.

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La nozione di trasferimento d’azienda

Il trasferimento di azienda è disciplinato dall’art. 2112 c.c., norma che negli ultimi anni ha subito rilevanti modifiche ad opera del legislatore nazionale dapprima con il D.lgs. 2 febbraio 2001 n. 18, legge che ha anche provveduto a modificare il testo dell’art. 47 L. 29.12.1990, n. 428, legge comunitaria per il 1990, sostituendone i primi quattro commi1 e recentemente del D.Lgs 276 del 2001 di attuazione della legge delega 14 febbraio 2003 n. 30.

Prima delle anzidette novelle non esisteva nel nostro ordinamento una nozione di trasferimento d’azienda, poiché la norma in questione si limitava a stabilire al primo comma che in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continuava con l’acquirente ed il lavoratore conservava tutti i diritti che ne derivavano; al secondo comma veniva stabilita la responsabilità solidale delle parti contraenti per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento e nell’ultimo comma infine si precisava che le predette disposizioni si applicavano anche in caso di usufrutto o di affitto dell’azienda.

Neanche l’art. 47 della l. 29.12.1990, n. 428, che, novellando parzialmente l’art. 2112, e introducendo la procedura di consultazione sindacale, aveva introdotto importanti novità in materia. Per la definizione di trasferimento d’azienda occorreva pertanto fare riferimento alla giurisprudenza e la dottrina che concordemente ritenevano che il trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. ricorresse ogniqualvolta, ferma restando l’organizzazione del complesso dei beni destinatati all’esercizio dell’impresa e quindi immutati il suo soggetto e la sua attività obiettiva, vi fosse soltanto sostituzione del suo titolare, qualunque fosse stato il mezzo tecnico-giuridico utilizzato per ottenere tale sostituzione, non essendo peraltro essenziali per la configurabilità della fattispecie suddetta, ma rilevanti solo come elementi sussidiari, il mantenimento della medesima impostazione del lavoro ed il trapasso al nuovo titolare dei rapporti con i fornitori e la clientela del precedente titolare2.

Vi è da dire che anche prima dell’intervento del D.Lgs n. 18 del 2001 l’applicazione dell’art. 2112 veniva esteso anche ai casi di trasferimento parziale atteso che – come può desumersi anche dall’art. 2573 c. c., che prevede espressamente il trasferimento di un ramo particolare dell’azienda come presupposto per il trasferimento del diritto all’uso del marchio registrato – è possibile che l’azienda sia suddivisibile in più complessi organizzati di beni, ciascuno dei quali, in caso di acquisto di autonomia rispetto all’originaria struttura unitaria, integri gli estremi dell’azienda.3

 

Dal trasferimento d’azienda al trasferimento d’impresa

Con il decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 184, il legislatore ha aggiunto un quinto comma all’articolo 2112 c.c. ed ha confermato e rafforzato alcune garanzie a favore del prestatore di lavoro, quali la regola della continuità dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, nonché il principio dell’assoluta ininfluenza del mutamento soggettivo nella persona del datore di lavoro rispetto alla conservazione del posto di lavoro, prevedendo altresì maggior tutela per i crediti di lavoro.

Ha eliminato il requisito del fine di lucro per il perfezionamento della fattispecie traslativa, ampliando con ciò la sfera di applicazione dell’art. 2112 c.c. anche per i datori di lavoro non imprenditori ed ha introdotto una definizione normativa di ramo di azienda.

Il testo del nuovo 5° comma dell’art. 2112 risultava il seguente:

“Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compreso l’usufrutto o l’affitto di azienda.

Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”.

 

Con la predetta modifica il legislatore ha sostanzialmente ampliato l’oggetto del trasferimento che non si identifica più nell’art. 2555 c.c.5 bensì con l’attività imprenditoriale ex art. 2082 c.c.6. La novella legislativa ha infatti sostituito alla nozione di azienda quella di “attività economica organizzata” ed a quella di ramo di azienda l’altra di “articolazione funzionalmente autonoma”.

Nel testo  precedente alle citate modifiche l’orientamento dottrinale aveva aderito alla dottrina commercialistica in base alla quale si affermava la possibilità di azienda senza impresa, nel senso di azienda non ancora esercitata o incompleta, con l’esclusione di poter ravvisare una nozione lavoristica di azienda7.

Tali argomentazioni portavano ad ammettere il trasferimento di azienda anche nel caos di negozi traslativi del complesso aziendale, costituito esclusivamente da beni in senso stretto (e non anche da rapporti giuridici), senza necessità dell’esercizio dell’attività d’impresa8.

Successivamente seguendo la linea interpretativa della Corte di giustizia si era giunti con la legge di attuazione della direttiva comunitaria n. 98/50/CE9 “alla frattura con l’art. 2555 c.c., o quanto meno con l’interpretazione più tradizionale della disposizione, secondo la quale i mezzi altro non sono se non delle entità materiali, le cose di cui parla l’art. 810 c.c.”10

L’art. 2112 c.c. ha rappresentato dunque l’approdo normativo obbligato dalla direttiva comunitaria 50/1998, la quale aveva stabilito che per “azienda” trasferita doveva intendersi “l’insieme dei mezzi organizzati, al fine di svolgere una attività economica, sia essa essenziale od accessoria” che deve conservare, con il trasferimento di “parti di impresa o di stabilimento” la propria identità.

Ed è noto come da tempo la giurisprudenza di legittimità abbia abbandonato la nozione di ramo di azienda elaborata sulla base della materialità dello scorporo, semmai valorizzando – in linea con la direttiva comunitaria e la giurisprudenza continentale – l’elemento dinamico e funzionale.11

In altri termini se si ritiene che la nuova formulazione dell’art. 2112 comma 5 c.c. rinvia alla nozione di impresa ricavabile dall’art. 2082 c.c. e cioè come attività economica organizzata e si ritiene altresì che tale nozione debba essere interpretata alla luce della definizione di impresa contenuta nella direttiva si può affermare con un notevole margine di sicurezza che oggetto del trasferimento non sia più il complesso dei beni potenzialmente idonei all’esercizio dell’impresa, ossia l’azienda, ma l’impresa intesa come organizzazione e attività. 12

Viene quindi valorizzata l’organizzazione in sé, svincolata dalla necessaria presenza di beni e come condizione idonea a rendere impresa un’attività economica.

L’organizzazione viene, quindi, intesa come un complesso di beni, rapporti giuridici e persone, idoneo ad esprimere una capacità produttiva a prescindere dall’esistenza dell’azienda di cui all’art. 2555 cc.13 Ma si è anche detto che comunque impresa e azienda costituiscono una realtà globale, due profili (soggettivo e oggettivo) di quell’ideale prisma che è l’impresa14.

L’impresa è l’attività professionalmente organizzata imputata all’imprenditore, cioè a colui che esercita, dirige e governa l’impresa stessa e l’imprenditore utilizza quella pluralità dei beni (azienda) necessari per l’esercizio dell’impresa15.

Dunque la Suprema Corte, partendo dal dato testuale del nuovo art. 2112 c.c., come modificato dal d.lgs. n. 18/2001, in un caso di esternalizzazione di un ramo dell’azienda da parte di una società, , si è pronunciata a favore di una nozione estensiva di trasferimento, lontana dai caratteri di materializzazione tipici dell’azienda, definita dall’art. 2555 c.c., e incentrata prevalentemente sul mutamento della titolarità, a favore dunque di una maggiore valorizzazione delle capacità imprenditoriali, ex art. 2082 c.c.16

Ma cogliendo lo slancio dato da questo nuovo filone interpretativo l’istituto trasferimento di ramo d’azienda è finito per diventare uno strumento utilizzato dalle società cedenti per liberarsi di interi settori accessori (delle pulizie, mensa, manutenzione, segreteria, centralini telefonici ecc.) e con essi tutti gli addetti ai medesimi, prescindendo dall’acquisizione del consenso dei lavoratori ceduti ex art. 1406 c.c.

Vi è da dire che, nonostante le modifiche legislative apportate all’art. 2112 c.c., ciò che continua comunque ad essere precluso sono le pratiche fraudolente, e la norma in commento continua ad essere strumento di tutela e di mantenimento delle condizioni di lavoro del lavoratore trasferito, e non anche una disposizione diretta a favorire processi di ristrutturazione dell’azienda.

Non vi è dubbio che il processo interpretativo delle diverse fattispecie che possono dare luogo contratto di trasferimento d’azienda dovrà essere condotto secondo i criteri ermeneutici contenuti nell’art. 1362 c.c., mediante la ricerca diretta a determinare quale sia stato l’intento pratico perseguito dalle parti, tenuto conto del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto, tenendo presente che il legislatore, con la riforma della norma ex art. 2112 c.c., ha voluto dare importanza al dato dell’intento negoziale rispetto alla qualificazione del contratto, ciò anche nel rispetto dei principi generali di esecuzione dei contratti secondo buona fede o di loro integrazione secondo equità.17

Tuttavia di fronte a questa interpretazione estensiva di ramo d’azienda e al conseguente uso distorto dell’istituto che se ne è fatto nella pratica ci sono state alcune sentenza che si sono poste in contrasto al predetto orientamento propendendo per un’interpretazione più restrittiva della nozione di ramo d’azienda, precludendo l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito.18

E proprio in adesione a questo secondo orientamento che interviene il D.Lgs. 18/2001, teso a porre fine all’utilizzo fraudolento dell’istituto de quo stabilendo che oggetto del trasferimento di azienda dove essere

un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità” e che la disciplina si applica anche al trasferimento di un ramo d’azienda, purchè si tratti di una “articolazione autonoma di un’attività economica organizzata”, anch’essa “preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”.

 

Lo scopo della legge di riforma era quello di limitare, soprattutto nei casi di trasferimento di ramo d’azienda, l’abuso dell’istituto utilizzato spesso come strumento per attuare vere e proprie riduzioni di personale.

 

Le modifiche legislative del Dlgs n. 276/2003

Con l’art. 32 del D.lgs 276/2003 l’istituto del trasferimento d’azienda viene parzialmente riscritto, e in particolare19:

  • specificato il mezzo contrattuale attraverso il quale effettuare il trasferimento d’azienda (cessione contrattuale o fusione);
  • identificato il ramo d’azienda, inteso come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento;
  • previsto un regime di solidarietà tra appaltante e appaltatore ex art. 1676 c.c., nel caso in cui il contratto d’appalto abbia ad oggetto il ramo d’azienda ceduto.

Con particolare riferimento alle modifiche apportate dalla legge 276/2005 alla parte in cui consente l’applicazione dell’istituto del trasferimento d’azienda anche alle cessioni di parte di essa identificate tali dalle parti al momento del trasferimento, e tralasciando ogni questione di eccesso di esercizio della delega e di non conformità alla direttiva europea, non vi è chi non veda come la norma possa essere prestata ad un uso fraudolento, lasciando alla disponibilità e volontà degli imprenditori la sorte dei lavoratori che dovranno subire/seguire incondizionatamente il “ramo d’azienda” ceduto20.

È noto che attraverso l’esternalizzazione dei servizi, fenomeno noto con i termini di outsourcing o contracting out, l’imprenditore realizza quella flessibilità altrimenti non conseguibile, trasferendo presso terzi le responsabilità giuridica ed economica e gli oneri gestionali.

 

Considerazioni conclusive

L’evoluzione normativa del trasferimento d’azienda, attuata da ultimo con il D.Lgs 276 del 2003, ha finito per trasformare tale istituto da strumento per la tutela del complesso aziendale e di garanzia e conservazione del posto di lavoro21 a strumento per l’imprenditore per “snellire” la propria struttura organizzativa mediante dimissioni di attività o persone non più necessarie o non più rientranti nel core business dell’azienda.

Non dobbiamo dimenticare che lo scopo della norma, nella sua iniziale formulazione, era quello di conservare l’azienda integra nel suo più importante elemento organizzativo costituito dal personale dipendente22.

Il legislatore, con la tutela apprestata dall’art. 2112, si era preoccupato di legare il lavoratore non tanto alle sorti dell’imprenditore, quanto dell’azienda stessa.

Tale finalità – di salvaguardia del posto di lavoro – è stata confermata dal D.lgs n. 18 del 2001 ma, decisamente, attenuata con il D.lgs 27 del 2003, il quale ha finito per lasciare alla mera volontà delle parti di confezionare, secondo le necessità, rami d’azienda, conducendo in pratica ad una “disapplicazione” della norma codicistica.

Con il D.Lgs. 276 del 2003 è stato dunque spazzata via quella parte di giurisprudenza di legittimità e di merito, ma anche comunitaria, che, sotto la vigenza dell’art. 2112 c.c. ante novellam, riteneva necessaria che l’entità economica fosse organizzata e che soprattutto preesistesse al trasferimento, non potendo il ramo d’azienda essere «creato artificiosamente dall’imprenditore al fine di qualificare l’atto stesso come trasferimento d’azienda»23.

 

A cura di Massimo Giuliano, avvocato, Studio Giuliano e Di Gravio

* Articolo pubblicato sul n. 6/2006 di Diritto e pratica delle società, 70 – 79, Sole 24 ore, Milano.

 

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NOTE

1 Art. 47 Trasferimenti di azienda.Quando si intenda effettuare, ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d’azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d’azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L’informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d’azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi .
2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.
3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
4. Gli obblighi d’informazione e di esame congiunto previsti dal presente articolo devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da parte di quest’ultima delle informazioni necessarie non giustifica l’inadempimento dei predetti obblighi.
5. Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante.
6. I lavoratori che non passano alle dipendenze dell’acquirente, dell’affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall’acquirente, dall’affittuario o dal subentrante in un momento successivo al trasferimento d’azienda, non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile.

2 Cass. civ. sez. lav., 17.04.1990 n. 3167; Cass. civ. sez. lav., 15.01.1990 n. 123. In dottrina si è ritenuto che il concetto di trasferimento potesse essere ricondotto a quello di successione ope legis, ovvero al passaggio della titolarità di un diritto da un soggetto ad un altro. (Nicoló, Successione nei diritti, in NNDI, XVIII, Torino, 1971, 608; Santoro Passarelli F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1980, 90).

3 Cass. civ. sez. lav., 05.08.1988 n. 4845. L’art. 2112 c.c. trova applicazione, oltre che nel caso in cui l’oggetto della cessione sia l’azienda, intesa quale “universitas rerum”, comprendente cose corporali (mobili e immobili), cose immateriali, rapporti giuridici di lavoro, debiti e crediti con la clientela, anche nel caso di trasferimento di autonome articolazioni aziendali della stessa, funzionalmente idonee ad espletare in tutto od in parte, l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa. Trib. Milano, 19.12.2000 Giur. It., 2001, 2068.

4Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti. Tale direttiva è confluita recentemente nella direttiva 2001/23/CE del 23 marzo 2001.

5 Art. 2555. Nozione. — L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa

6 Art. 2082. Imprenditore. — È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

7 Grandi M., Le modificazioni del rapporto di lavoro, I, Milano, 1972, p. 271.

8 Colombo G.E., L’azienda, in trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galciano F., cit., pag. 19 ss.

9 D.lgs 18/2001

10 Romei R., Relazione dattiloscritta al Convegno intitolato “L’art. 2112 c.c.: un cantiere aperto”, Roma, p.2

11 CGCE 10 dicembre 1998, nn. 127/96, 229/96 e 74/97 , Vidal nonché CGCE 10 dicembre 1998, nn. 173/96 e 24/96 Hidalgo.

12 L’impresa fra esternalizzazione e processi di smaterializzazione: le ricadute sul rapporto di lavoro” relazione del prof. Santoro Passatelli Centro Nazionale di Studi di Diritto del Lavoro “D. Napoletano” 31 gennaio – 1 febbraio 2003, Verona Santoro Passatelli G., La nozione di azienda trasferita tra disciplina comunitaria e nuova normativa nazionale, in Santoro Passarelli G. e Foglia R. (a cura di), cit. pp. 7-8 e 10

13 Marazza M. Impresa e organizzazione nella nuova nozione di azienda trasferita in ADL, 2001, p. 607.

14 Buonocore V., Il “nuovo” testo dell’art. 2112 del c.c. e il trasferimento di un ramo d’azienda, in Giur. Comm., 2003, II, p. 313 ss., p. 318.

15 Oppo G., Impresa e imprenditore (dir. Comm.), in EGI, XVI, Roma, 1989, p.9,

16 Si è sostenuto che “Secondo la disciplina dell’art. 2112 c.c., come modificato dal d.lg. n. 18 del 2001 (attuativo della direttiva comunitaria n. 50 del 1998), si intende per trasferimento di azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di una “attività economica organizzata” preesistente, che conservi nel trasferimento la propria identità; pertanto, in linea con un assetto produttivo diretto a dare sempre maggiore rilevanza alla capacità professionale e alle conoscenze tecniche dei lavoratori, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche i soli lavoratori che, per essere stati addetti ad un medesimo ramo dell’impresa e per avere acquisito un complesso di nozioni ed esperienze comuni, siano capaci di svolgere autonomamente – e, quindi, pur senza il supporto di beni immobili, macchine, attrezzi di lavoro o altri beni – le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro, realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 ss. c.c.” (Cass. civ. sez. lav., 23.07.2002 n. 10761 Mass. Giur. It., 2002; Foro It., 2002, I; Mass. Giur. Lav., 2002; Cass. Civ. sez. lav. 10701/2002). In dottrina Cosio, La nuova disciplina del trasferimento d’impresa: l’ambito d’applicazione, in FI, I, 2001, 1262).

17 “Il giudice nazionale deve tener conto, nell’ambito della valutazione delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione de qua, del genere di impresa o di stabilimento di cui trattasi. Ne consegue che l’importanza da attribuire rispettivamente ai singoli criteri caratterizzanti la sussistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva 2001/23 varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento in questione (v. sentenze Süzen, cit., punto 18; 10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a., Racc. pag. I-8237, punto 31, e Abler e a., cit., punto 35). Corte di Giustizia, sentenza del 15/12/2005 Nei procedimenti riuniti C-232/04 e C-233/04.

18 Cass. civ. sez. lav., 25.10.2002 n. 15105

La disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. e dall’art. 47 legge n. 428 del 1990 (in ordine alla successione dell’imprenditore cessionario all’imprenditore cedente nel rapporto di lavoro) trova applicazione non solo nel caso di trasferimento dell’intera azienda, ma anche quando sia trasferito un ramo di azienda, da intendere come un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi. Tale disposizione, anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lg. n. 18 del 2001, pur non impedendo la cessione di singole funzioni o servizi (c.d. esternalizzazione), impone che essi si presentino, prima del trasferimento, funzionalmente autonomi, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ravvisato la cessione di un ramo di azienda nella dismissione, c.d. outsourcing, della gestione diretta dei servizi generali e nella stipula con il Consorzio cessionario di un contratto di fornitura di servizi e manutenzioni generali). Giur. It., 2003, 2052; Mass. Giur. It., 2002; Arch. Civ., 2003, 825.

19 Il 5° comma dell’art. 2112 c.c., novellato dal D. Lgs. 276 del 2003 stabilisce che “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

20 La direttiva 98/50/CEE del 29.6.98, modificativa della direttiva 77/187/CEE, e quella successiva 2001/23/CE (abrogativa della direttiva comunitaria 77/187/CEE), sancendo che l’entità economica trasferita conservi al momento del trasferimento la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere una attività economica sia essa essenziale o occasionale, hanno implicitamente considerato come presupposto il requisito della preesistenza della stessa.

21 Buonajuto A., Il trasferimento dell’azienda e del lavoratore, in Il diritto del lavoro nella dottrina e nella giurisprudenza, collana di monografie curata da Balletti B, Padova1999, p. 7.

22 Riva Sanseverino L., dell’impresa in generale, in Scialoja e Branca (a cura di), commentario del codice civile, libro V, Bologna-Roma, 1943, p. 301 ss., specie p. 302.

23 P. Genova, 22.10.98, confermata dal T. Genova 4.11.99. Per la Corte di Giustizia il trasferimento deve avere ad oggetto un’entità organizzata in modo stabile, adeguatamente strutturata ed autonoma (C. Giust. CE 11.3.97; C. Giust. CE 10.12.98, cause riunite 127/96, 229/96 e 74/97). Cass. civ. sez. lav., 30.12.1999 n. 14755, Notiz. Giur. Lav., 2000, 377

 

 

Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 28 settembre-17 ottobre 2005, n. 20012 Presidente Ianniruberto – Relatore Vidiri

Pm Matera – conforme – Ricorrente F. Spa – controricorrente M.

omissis.

Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Genova Marisa Pili e gli altri litisconsorzi in epigrafe riferivano che erano dipendenti della Spa A. T. e che in data 9 settembre 1997 era stato comunicato che con effetto dal 15 settembre 1997 doveva ritenersi il loro rapporto lavorativo ceduto al Consorzio M. per i servizi integrati, per essere stato trasferito, alla stregua del disposto dell’articolo 2112 Cc, il ramo aziendale al quale essi erano addetti. In realtà però non era, nel caso di specie, configurabile la fattispecie regolata dal citato articolo 2112 Cc in quanto il ramo d’azienda postula l’esistenza di un complesso di beni, finalizzato all’esercizio di una specifica parte dell’attività economica esercitata dall’imprenditore e dotata dei caratteri dell’autonomia e della separabilità dalla restante parte del complesso aziendale, mentre in realtà i cosiddetti servizi generali ceduti rappresentavano solamente attività di puro costo, senza alcun legame tra loro (per essere inerenti a servizi accessori, dalla manutenzione delle fotocopiatrici alla gestione degli archivi ed a quella di pratiche amministrative o, in gergale, di segreteria) tanto che la stessa distinzione fra servizi da esternalizzare e servizi da mantenere all’interno della società era stata attuata nella totale assenza di criteri obiettivi. Per di più dopo il trasferimento nella di fatto era cambiato per cui l’operazione costituiva anche una violazione del divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro, perché il Consorzio M. era obiettivamente e normativamente inidoneo ad assumere personale a tempo indeterminato per prestazioni di meri servizi e perché tutti i lavoratori trasferiti avevano continuato a svolgere le identiche attività spiegata in precedenza senza mutamento alcuno neanche nelle modalità di espletamento                                                     del                                                           lavoro.

Tutto ciò premesso, i ricorrenti chiedevano che il pretore, accertata e dichiarata l’illegittimità del trasferimento d’azienda attuato senza il loro consenso nonché della cessione del loro raporto e del contratto di appalto, condannasse la Spa A. T. a reintegrarli nel loro posto di lavoro e nelle precedenti mansioni, con tutte le eventuali differenze retributive nonché al risarcimento dei danni ex articolo 18 Statuto lavoratori previa occorrendo dichiarazione di illegittimità del licenziamento di fatto operato                                                                                   dalla        Ansaldo.

Dopo la costituzione della società Ansaldo e del Consorzio M., il primo giudice respingeva il ricorso e, su gravame dei lavoratori, la Corte d’appello di Genova con sentenza del 26 luglio 2002 dichiarava la nullità della cessione del contratto di lavoro disposta dalla A. T. Spa al Consorzio per i servizi integrati, e conseguentemente condannava la Spa F., quale società incorporante la Ansaldo, a reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro con mansioni e retribuzioni precedenti al 15 settembre 1997, respingendo ogni ulteriore domanda. Nel pervenire a tali conclusioni la Corte territoriale osservava che alla fattispecie di cessione di ramo d’azienda, cui si applicano gli articoli 2112 Cc e 47 legge 428/90, era completamente estranea l’operazione di “esternalizzazione” dei servizi, messa in atto dalla società Ansaldo, perché la cessione di un ramo aziendale non dipende di certo dalle mere determinazioni volitive del datore di lavoro ma da dati oggettivi consistenti – anche alla stregua della normativa comunitaria, della Corte di giustizia Cee e della Corte di cassazione – nella preesistenza di un minimo di beni dotato di autonomia operativa capace di giustificare l’unificazione funzionale della parte di azienda ceduta. Ne conseguiva che, negata la ricorrenza del trasferimento di ramo aziendale, la fattispecie doveva essere inquadrata nella cessione di contratti di lavoro senza consenso dei contraenti ceduti sicché la nullità di detta cessione comportava la continuazione del rapporto di lavoro in capo all’Ansaldo e successivamente alla F., con il riconoscimento ai lavoratori della posizione occupata prima della cessione e con la retribuzione ad essa                                                                                                                        collegata.

Avverso tale sentenza la Spa F. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. Si    è    costituito    con    controricorso     M.     Consorzio     per     i     servizi     integrati. Resistono con controricorso i lavoratori proponendo con lo stesso atto ricorso incidentale condizionato,                             affidato                a                          due                                motivi. La    F.    ha,     infine,     depositato     controricorso     al     ricorso     incidentale     condizionato. La       F.    ed         i                          lavoratori  hanno               depositato           note     difensive.

 

Motivi della decisione

Preliminarmente la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (articolo 335 Cpc). La società ricorrente con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 177 del Trattato Cee, per avere il Tribunale rifiutato di accogliere la richiesta di rimessione degli atti alla Corte di giustizia europea in merito all’interpretazione del senso e della portata delle direttive 14 febbraio 1977 n. 187 e 29 giugno 1998 n. 50; con il secondo motivo denunzia contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere il giudice d’appello dichiarato di volersi uniformare ai principi dell’ordinamento comunitario, come precisati dalla Corte di giustizia, mentre in realtà con essi si è posto in contrasto; con il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2112 Cc perché l’operazione di “esternalizzazione” di servizi può ben essere realizzata con lo strumento del trasferimento di un ramo d’azienda, e ciò proprio al fine di garantire i p osti di lavoro senza procedere all’estinzione dei rapporti di lavoro divenuti inutili, quindi, nella prospettiva di garanzia dei diritti dei lavoratori che è l’obiettivo del legislatore comunitario, richiedendo, infatti, il suddetto articolo 2112 Cc la cessione di un insieme di beni coordinati per l’esercizio di una attività di impresa, senza che sia necessario anche che tale esercizio sia attuale, bastando l’astratta idoneità allo scopo produttivo unitario; con il quarto e quinto motivo denunzia infine violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 Cc e dell’articolo 1406 Cc per avere la sentenza impugnata tra l’altro affermato che l’Ansaldo non aveva fornito la prova della sussistenza del ramo d’azienda mentre, in realtà, tutti gli elementi della fattispecie erano dimostrati e comunque non contestati (quarto motivo), e per avere ancora il giudice d’appello omesso di valorizzare il significato del comportamento del lavoratore sull’incremento retributivo riconosciuto all’atto del passaggio alle dipendenze di M., nel senso di accettazione tacita della cessione del contratto,                       con            cessazione                della     materia del           contendere. Il ricorso             è                          infondato       e,                         pertanto,                  va                           rigettato.

Questa Corte in una fattispecie analoga ha statuito che il trasferimento ad altra impresa dei lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata dall’estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile di assurgere ad unitaria entità economica, non può configurare una cessione del ramo d’azienda cui sia applicabile il disposto dell’articolo 2112 Cc ma costituisce mera cessione di contratti di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti (cfr. in tali sensi Cassazione 17207/02). In altri termini la giurisprudenza della Corte ha recepito una nozione commercialistica di azienda, ai sensi dell’articolo 2555 Cc, attribuendo rilievo decisivo al requisito dell’autonomia organizzativa del ramo d’azienda ceduto che, deve presentarsi come idoneo al perseguimento dei fini dell’impresa. Alla stregua di questi principi non può condividersi la tesi della ricorrente società (e del Consorzio M.) secondo cui l’autonomia funzionale del ramo trasferito può essere soltanto potenziale presso il cedente, essendo sufficiente, al fine dell’attribuzione della qualità del ramo d’azienda, l’astratta idoneità del nucleo di beni o rapporti ceduti ad essere organizzati per l’esercizio futuro di una attività. Al riguardo è stato precisato che il diritto positivo richiede per l’applicazione dell’articolo 2112 Cc che sia ceduto un complesso di beni, che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi. Altrimenti sarebbe la volontà dell’imprenditore ad unificare un complesso di beni (di per sé privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario), al solo fine di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo d’azienda, rendendo applicabile la   relativa   disciplina   sulla   sorte   dei   rapporti   di   lavoro.

Né per andare in contrario avviso vale il richiamo alla normativa comunitaria atteso che – come ha questa Corte già affermato nella sentenza ricordata avente ad oggetto una controversia articolata negli stessi termini – né le decisioni della Corte di giustizia europea né le direttive europee si pongono in contrasto con gli enunciati principi, che risultano pienamente in linea con la direttiva 98/50 (secondo la quale l’entità economica è da intendere come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere una attività economica, sia essa essenziale o accessoria, che deve conservare, con il trasferimento “di parte di imprese o di stabilimenti”, la propria identità) e con la più recente direttiva 2001/23 Cee (che in buona parte presenta connotati particolarmente ricognitivi della precedente regolamentazione della complessa materia in esame) (cfr. in motivazione Cassazione 17207/02             cit.).

Dalle considerazioni che precedono discende l’insussistenza delle condizioni per operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea in ordine alla interpretazione delle direttive europee. Anche ammettendo che le direttive suddette debbano interpretarsi nei sensi patrocinati dalla F. la decisione in tali termini della Corte europea non sarebbe rilevante nella controversia in oggetto dal momento che l’acclaramento di eventuali contrasti tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno risulterebbe, in ogni caso, inidoneo a produrre effetti sul rapporto giuridico controverso, stante il principio dell’inefficacia orizzontale (cioè nei rapporti interprivati) delle direttive, ancorché precise                   ed                                                                        incondizionate. Va, inoltre, rimarcato che nel caso di specie, sulla base delle emergenze processuali, è risultato poi che nei servizi esternalizzati, oggetto del trasferimento, non si configurava alcuna realtà organizzativa riconducibile alla nozione di unità produttiva, sicché appare pienamente condivisibile l’assunto del giudice d’appello, secondo cui l’elemento centrale anche del ramo d’azienda è costituito dalla “organizzazione” dei fattori della produzione, intesa come il legame oggettivo tra i fattori     stessi,     qualificato     e     determinato      dal      fattore      produttivo      perseguito. Per concludere non merita alcuna censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la mancanza dei requisiti richiesti per configurare il ramo d’azienda ed applicare imperativamente l’articolo 2112 Cc (e l’automatismo in esso sancito), e conseguentemente ha configurato la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del lavoratore escluso.

Infine non può trovare accoglimento neanche il quinto motivo del ricorso principale non potendosi evincere dai comportamenti delle parti e dagli atti di causa, una accettazione tacita – con una efficacia abdicativi di diritti acquisiti – da parte dei lavoratori della cessione del contratto per effetto dell’incremento del trattamento retributivo goduto per effetto del trasferimento, suscettibile di condurre    ad    una    declaratoria     della     cessazione     della     materia     del     contendere. La decisione del rigetto del ricorso principale porta all’assorbimento del ricorso condizionato di Pili Marisa e dei suoi litisconsorzi, con il quale, con duplice motivo, si censura la sentenza impugnata per non avere tenuto nel dovuto conto i profili riguardanti la violazione della legge 1369/60 ed il divieto contrattuale di appalti continuativi svolti in azienda (ex articolo 24, parte generale, Sezione terza, Ccnl – Metalmeccanici pubblici). Al riguardo è sufficiente osservare che il ricorso in oggetto è stato proposto, appunto, in via condizionata in ragione dell’assenza per la parte ricorrente di alcuna   ulteriore   utilità   rispetto    a    quanto    già    ottenuto    con    la    sentenza    impugnata. La Spa F. e la M. Consorzio, rimasti soccombenti, vanno condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidata unitamente agli onorari difensivi, come in dispositivo.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale, e condanna la Spa F. e M. Consorzio per i servizi integrati al pagamento in solido delle spese del presente giudiziosi cassazione, liquidata in euro 20, oltre euro 4000 per onorari difensivi.

In senso conforme:

Corte di Cassazione, sent. n. 26196 del 1 dicembre 2005

  • Costruisce trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. il passaggio anche di parte del complesso organizzativo dei beni dell’impresa, accompagnata dal mantenimento della sua identità obiettiva, tra due soggetti che esercitino la medesima attività economica a fine di
  • Si ha trasferimento di azienda – anche in base alla nozione giuridica indicata dalla giurisprudenza comunitaria e dalla direttiva CE n. 50/1998 – ogni volta che venga ceduto un insieme di elementi costituenti un complesso organico e funzionalmente adeguati a conseguire lo scopo in vista del quale il loro coordinamento è stato posto in essere, essendo necessario e sufficiente che sia stata ceduta un’entità economica ancora esistente, la cui gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa dal nuovo titolare con le stesse o analoghe attività

 

Sentenza della Corte di Giustizia (Terza Sezione) 15 dicembre 2005

«Direttiva 2001/23/CE – Art. 1 – Trasferimento d’impresa – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Ambito di applicazione». Nei procedimenti riuniti C-232/04 e C-233/04

Secondo la detta giurisprudenza, la direttiva 2001/23 mira a garantire la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’entità economica, indipendentemente dal mutamento del titolare. Il criterio decisivo per stabilire se si configuri un trasferimento ai sensi della detta direttiva consiste quindi nella circostanza che l’entità in questione conservi la propria identità, il che risulta in particolare dal fatto che la sua gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa (v., segnatamente, sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punti 11 e 12; 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, Racc. pag. I-1259, punto 10, e 20 novembre 2003, causa C- 340/01, Abler e a., Racc. pag. I-14023, punto 29).

Affinché la direttiva 2001/23 sia applicabile, occorre tuttavia che il trasferimento abbia ad oggetto un’entità economica organizzata in modo stabile, la cui attività non si limiti all’esecuzione di un’opera determinata (v., segnatamente, sentenza 19 settembre 1995, causa C-48/94, Rygaard, Racc. pag. I-2745, punto 20). La nozione di entità si richiama quindi ad un complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo (v., in particolare, sentenza Süzen, cit., punto 13, e Abler e a., cit., punto 30).

 Per poter determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un’entità economica organizzata in modo stabile, dev’essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività (v., in particolare, sentenze 19 maggio 1992, causa C- 29/91, Redmond Stichting, Racc. pag. I-3189, punto 24; Spijkers, cit., punto 13, Süzen, cit., punto 14, e Abler e a., cit., punto 33).

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