Professionisti e rimborsi spese: la questione delle spese di vitto e alloggio

Accade abbastanza frequentemente che un professionista, nello svolgimento della propria attività, si trovi a dover effettuare delle anticipazioni per conto del cliente ovvero abbia necessità, per l’espletamento dell’incarico conferitogli da quest’ultimo, di effettuare spostamenti sia all’interno del territorio nazionale sia all’estero e di sostenere spese per servizi di albergo e ristorante. A cura di Maria Antonietta Chiavaro.

Professionisti e rimborsi spese: la controversa ed irrisolta questione delle spese di vitto e alloggio

rimborsi spese dei professionistiAccade abbastanza frequentemente che un professionista, nello svolgimento della propria attività, si trovi a dover effettuare delle anticipazioni per conto del cliente ovvero abbia necessità, per l’espletamento dell’incarico conferitogli da quest’ultimo, di effettuare spostamenti sia all’interno del territorio nazionale sia all’estero e di sostenere spese per servizi di albergo e ristorante.

Tali anticipazioni e spese possono, ovviamente, essere riaddebitate dal professionista al cliente-committente, sulla base di un accordo contrattuale stipulato con quest’ultimo.

Prima di addentrarci nel problema che ci occuperà, vediamo di analizzare più in generale le varie tipologie di rimborsi spese, esaminandone il trattamento fiscale.

 

 

Tipologie di rimborsi spese e imponibilità fiscale e previdenziale

Una prima distinzione è stata fatta dal Ministero delle Finanze con la C.M. 15.12.1973 n. 1/RT/505750,  tra:

  1. rimborsi spese per anticipazioni effettuate per conto del cliente debitamente e analiticamente documentate (ad esempio spese per l’acquisto di valori bollati o diritti di cancelleria);
  2. rimborsi  per spese sostenute per lo svolgimento della propria attività (c.d. “rimborsi a piè di lista”, come ad esempio le spese di viaggio, vitto e alloggio, sostenute fuori dal Comune di domicilio fiscale) o per spese non analiticamente documentate (ad esempio le diarie, le indennità di trasferta e i rimborsi chilometrici).

 

Rimborsi spese per anticipazioni effettuate per conto del cliente debitamente e analiticamente documentate 

I rimborsi di cui al punto 1 non costituiscono reddito per il professionista; non devono, quindi, essere assoggettati a ritenuta d’acconto e, ai fini Iva, sono esclusi ai sensi dell’art. 15, comma 1, punto 3) del DPR n. 633/1972.

Affinché si realizzi la non imponibilità dei suddetti rimborsi, occorre che i documenti giustificativi della spesa sostenuta siano allegati alla fattura che si consegna al cliente. Non è, quindi, sufficiente la semplice enunciazione “Rimborso spese escl. ex art. 15 Dpr 633/1972”.

 

Rimborsi  per spese sostenute per lo svolgimento della propria attività o per spese non analiticamente documentate

I rimborsi di cui al punto 2, invece, costituiscono reddito per il professionista e, pertanto, vanno assoggettati a ritenuta d’acconto nella misura del 20% e costituiscono base imponibile ai fini  Iva e previdenziali.

Ovviamente il professionista può registrare nella propria contabilità le spese in oggetto, purché debitamente documentate ed effettivamente sostenute nel periodo d’imposta.

Tali spese sono, tuttavia, deducibili dal reddito professionale con le limitazioni imposte dalla legislazione fiscale.

In particolare:

  • per quanto attiene alle spese di viaggio:
    • se la trasferta è effettuata con auto propria, sono deducibili nella misura del 50%, ai sensi dell’art. 164 del TUIR;
    • se la trasferta è, invece, effettuata con l’ausilio di altri mezzi (treno, aereo o altri mezzi pubblici), la spesa sostenuta è interamente deducibile;
  • per ciò che concerne le spese per vitto e alloggio sostenute dal professionista, l’art. 54, comma 5 del TUIR, stabilisce che
    “le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2 per  cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta”.

 

Il problema

deducibilità delle spese di vitto e alloggio per il professionistaLe limitazioni imposte dal legislatore fiscale alla deducibilità di talune spese sostenute dal professionista, sono dettate dall’esigenza di impedire la deduzione di costi astrattamente riferibili alla sfera personale o familiare di quest’ultimo.

Ne consegue, tuttavia, una indubbia penalizzazione del professionista che, addebitando in fattura al cliente le spese sostenute nell’interesse di quest’ultimo, subirà per intero la tassazione di tale ammontare, potendo invece portare in deduzione dal proprio reddito professionale solo quella quota di spese ammessa dalla legislazione fiscale.

 

Un esempio servirà a comprendere meglio il problema.

Supponiamo che l’ing. Tizio nel corso del 2004 sostenga spese per vitto e alloggio nell’interesse di un cliente per l’ammontare di € 3.000. Tali spese vengono poi riaddebitate in fattura a titolo di rimborso, concorrendo, unitamente all’onorario percepito, alla formazione del reddito e costituendo, quindi, base imponibile tanto ai fini delle imposte (Iva, Irpef ed Irap) quanto ai fini previdenziali.

In sede di dichiarazione dei redditi, l’ing. Tizio dichiarerà compensi percepiti pari ad € 50.000, a fronte dei quali potrà dedurre spese per vitto e alloggio limitatamente all’importo di € 1.000 (€ 50.000 x 2%).

La rimante parte di spese sostenute, pari ad € 2.000, sarà paradossalmente assoggettata a tassazione. Per poter dedurre interamente le spese di vitto e alloggio sostenute, l’ing. Tizio dovrebbe maturare ed incassare compensi pari ad almeno € 150.000!

Quindi, in buona sostanza, per ogni euro di spesa in servizi alberghieri o per la somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi, il professionista dovrebbe incassare dal proprio cliente compensi pari ad almeno 50 euro, al fine di evitare la su evidenziata doppia tassazione e, in altre parole, di restare indenne da spese.

È abbastanza evidente che un simile rapporto non è affatto equilibrato, considerato che alcuni professionisti hanno necessità, per lo svolgimento della loro attività, di effettuare frequenti trasferte fuori dal Comune di domicilio fiscale e quindi non possono scegliere se sostenere la spesa o meno.

 

L’intervento della Direzione Regionale delle Entrate per la Sicilia

La problematica in esame è stata, qualche anno fa, oggetto di interpello, nei confronti della Direzione Regionale delle Entrate per la Sicilia.

 L’istante, a fronte della palese penalizzazione subita dal professionista a seguito della tassazione di ciò che dovrebbe essere un semplice reintegro patrimoniale, nell’istanza di interpello aveva prospettato quelle che sono le uniche due possibili soluzioni alternative:

  • la prima prevedeva l’esclusione dalla base imponibile delle spese di vitto e alloggio debitamente documentate e la conseguente  integrale indeducibilità delle stesse;
  • la seconda prevedeva la piena deducibilità dei rimborsi spese riaddebitati al cliente all’atto dell’emissione della fattura e pertanto inseriti fra i componenti positivi di reddito.

In sostanza, per conseguire un “perfetto” reintegro, delle due l’una: o si rendono deducibili al 100% le spese, o non si tassano i rimborsi.

A supporto delle soluzioni anzidette, l’istante citava un’analoga situazione riguardante i collaboratori coordinati e continuativi, per i quali le spese di viaggio, vitto e alloggio inerenti a prestazioni effettuate fuori dal Comune di residenza costituivano interamente reddito, dal quale non era consentita alcuna deduzione, eccetto quella generica fissata nella misura del 10%.

A seguito delle reiterate istanze dei contribuenti, il Ministero si era espresso in senso favorevole ad una revisione di tale disciplina attraverso la diffusione di varie circolari ed, infine, il problema aveva avuto una definitiva soluzione, in sede legislativa, con l’emanazione del DPR 22/12/1981 n. 856 che metteva fine a tale duplicazione di tassazione. 

La D.R.E. per la Sicilia, con nota Prot. N. 2001/43875 del 21/05/2001, ha, invece, rigettato le soluzioni avanzate, ribadendo la correttezza del trattamento fiscale voluto dal legislatore con riferimento alle spese in esame ed assumendo, quindi, come legittima la doppia tassazione che si realizza sulla quota di rimborso spese indeducibile ai sensi dell’art. 54 del TUIR.

 

A distanza di quattro anni da tale intervento, nulla è cambiato: la questione rimane ancora irrisolta ed il pregiudizio per il professionista indubbio.

Non ci rimane che auspicare in una nuova attenzione da parte dell’Amministrazione finanziaria, che faccia chiarezza su una delle questioni più controverse in tema di lavoro autonomo e che dia una soluzione al problema che sia definitiva ed equa.

 

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Settembre 2005

a cura di Maria Antonietta Chiavaro