Quando il Giudice condanna il committente a rimborsare i maggiori costi sostenuti dall’appaltatore per sospensioni ingiustificate, siamo davanti a un risarcimento o a un corrispettivo? L’Agenzia, in una sua recente risposta ad interpello, formula una conclusione non condivisibile.
Il contributo odierno trae spunto da una risposta ad interpello recentemente pubblicata che verte sul tema della rilevanza IVA delle somme disposte dal Giudice adito a risarcimento di una società appaltatrice.
Ritardi durante l’esecuzione dell’appalto: quali effetti sull’IVA?
Il caso portato all’ inopinato – per quanto avremo modo di leggere più avanti – esame dell’Agenzia è quello di una prestazione, dipendente da un contratto di appalto, per la realizzazione di opere edilizie, durante la quale però si erano avute sospensioni a causa di varianti richieste dal committente, a seguito delle quali l’appaltatrice aveva iniziato una causa civile.
Nella sentenza, la società committente veniva condannata a corrispondere i maggiori costi derivanti dalla ritardata esecuzione delle opere. Tali maggiori costi venivano forfettariamente determinati prendendo a base le spese generali, la tardiva realizzazione degli utili d’impresa preventivati, l’ammortamento dei beni strumentali, le retribuzioni corrisposte ai dipendenti.
Si è posto dunque il dubbio circa la rilevanza IVA di tali somme, o se esse potessero rientrare nella previsione di esclusione dettata dall’articolo 15 del decreto IVA.
La conclusione ovviamente dipende dalla rilevanza da dare alle somme ricevute dal soggetto danneggiato, ossia se esse potessero avere natura risarcitoria (art. 15 n. 1) o di corrispettivo di un’obbligazione (art. 3 comma 1).
Proprio per questo, il contribuente vittorioso in giudizio presenta istanza d’interpello, evidenziando che finora l’Agenzia delle entrate si sarebbe espressa solo su casistiche ove il risarcimento trova fondamento in una clausola contrattuale e non in un provvedimento di un’Autorità Giudiziaria.
L’Agenzia delle Entrate, lo diciamo senza tema di smentita, non s’è fatta scappare l’occasione per arrivare ad una conclusione, l’ennesima, dettata da criteri di cassa più che giuridici.
Nella risposta all’interpello afferma che l’esclusione da IVA presuppone l’esistenza di un risarcimento in senso proprio, dovuto a ritardi o inadempimento di obblighi contrattuali e che le somme corrisposte a titolo di penale non costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizi.
Diverso è invece il caso in cui le somme rappresentino un eventuale maggiore compenso, incrementando il corrispettivo originariamente pattuito.
Nel caso di specie, continua l’Agenzia, l’ulteriore somma di denaro che viene corrisposta per effetto della sentenza, è stata determinata in funzione del ritardo subìto nell’ambito di un contratto già in essere, giunto comunque a termine con l’edificazione dell’opera convenuta.
Da questa considerazione l’Agenzia fa dipendere l’imponibilità IVA di tali somme, poiché, nonostante il ritardo subìto, il committente può comunque fruire dell’opera realizzata. Sarebbe irrilevante, pertanto, il mero dato letterale della sentenza in questione, ove si parla di “danno”.
La conclusione non convince.
I dubbi sulla risposta dell’Agenzia
Nel caso in esame, la parte vittoriosa non è tenuta ad adempiere alcuna prestazione, essendoci soltanto un obbligo, stabilito dal Giudice, di pagamento di somme a titolo di mero risarcimento danni, derivanti come detto dalle numerose sospensioni dei lavori.
Non può poi essere trascurato, come fa frettolosamente l’Agenzia, il disposto della sentenza, laddove essa richiama espressamente, ai fini della determinazione dei danni, l’articolo 25 del D.M. n. 145, il quale individua in capo al soggetto appaltatore il diritto al riconoscimento dei danni subiti in ragione di sospensioni ”ingiustificate”, ovvero illegittime.
Insomma, per l’Agenzia poco importa che la sentenza parli chiaramente di “danni”: se c’è di mezzo un contratto, c’è di mezzo anche l’IVA. L’appaltatore ha vinto la causa, ma a sorridere è anche l’Erario.
Fonte: Agenzia Entrate, Risposta ad interpello n. 215/2025.
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Danilo Sciuto
Martedì 2 Settembre 2025