L’intimazione di pagamento sta diventando l’atto standard di ADER nel recupero dei crediti da riscuotere: è obbligatoria l’impugnazione dell’intimazione di pagamento?
Con questo intervento, facendo seguito ai precedenti contributi in materia di impugnazione di pagamento, evidenziamo la recente sentenza del 2/4/2025, emessa dalla Corte d’Appello di Milano in funzione di Giudice del Lavoro, che, condivisibilmente, sulle tematiche controverse sollevate nei precedenti scritti, conferma autorevolmente le tesi difensive in favore del contribuente, sostenute in questa sede.
La natura e funzione dell’intimazione di pagamento
Nei nostri precedenti contributi, abbiamo acceso i fari sulla prassi più attuale del Concessionario della Riscossione che sta ricorrendo in maniera “massiva”, a partire dal 2023, all’inoltro ai contribuenti dell’intimazione di pagamento entro il termine strettissimo di 5 giorni e che le Corti Tributarie di merito, allineandosi alle tesi della difesa erariale che non paiono però approfondire la questione negli aspetti più sostanziali, arrivano a conclusioni francamente non condivisibili, respingendo i ricorsi della parte privata.
In buona sostanza, l’orientamento, purtroppo oggi maggioritario, delle Corti di Giustizia Tributaria di Primo e di Secondo Grado (giudice d’appello) è nel senso che, laddove il contribuente impugni solamente l’ultima intimazione di pagamento, pervenutagli anche a distanza di parecchi anni dalla prima, il giudice tributario dichiara il ricorso inammissibile per non aver impugnato, il primo atto di intimazione del concessionario della riscossione, motivando che i crediti portati dalle cartelle esattoriali sottese all’intimazione di pagamento sarebbero “divenuti definitivi per mancata impugnazione” e quindi l’ultima intimazione di pagamento non integrerebbe un nuovo atto impositivo, cosicché la stessa sarebbe impugnabile solo per vizi propri e non per le pretese con la stessa intimate; e ciò anche a prescindere dalla regolare notifica o meno delle cartelle, ossia del titolo esecutivo vero e proprio.
Abbiamo altresì dato atto di come ad oggi, due tesi si contrappongono e la Corte di Cassazione, nelle sue pronunce, non pare aver risolto la questione.
La giurisprudenza precedente
Tanto è vero che, nell’ordinanza della Cassazione n. 16743/2024, è stato riaffermato il condivisibile principio, secondo cui in sede di impugnazione del secondo avviso di intimazione, il contribuente può fare valere la prescrizione eventualmente maturata tra la data di notifica delle singole cartelle di pagamento presupposte e quella di notifica del primo avviso di intimazione non impugnato.
Tuttavia, sempre la Cassazione, nella successiva ordinanza del 5/8/2024, è sembrata tornare sui propri passi, visto che ha affermato che:
“Queste considerazioni valgono, quindi, anche in relazione alla cartella di pagamento per la quale in controricorso si fa valere il giudicato concernente la mancanza di notificazione (ossia la cartella di pagamento n. (…), in quanto l’omessa impugnazione dell’intimazione di pagamento ad essa seguita ha determinato la cristallizzazione della pretesa ivi contenuta (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773);
[…] l’intimazione di pagamento in senso proprio è, invero, atto tipico, assimilato all’avviso di cui all’art. 50, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (sulla corrispondenza del quale al “vecchio” avviso di mora ex art. 46 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo previgente, cui fa espresso riferimento l’art. 19, comma 1, lett. e, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, vedansi: Cass., Sez. Un., 31 marzo 2008, n. 8279; Cass., Sez. 5°, 24 gennaio 2013, n. 1658; Cass., Sez. 5, 30 gennaio 2018, n. 2227; Cass., Sez. 5, 27 novembre 2019, n. 30911), il cui scopo è quello di invitare il contribuente al pagamento, entro cinque giorni, prima di dare avvio all’esecuzione forzata, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata notificata da più di un anno (tra le tante: Cass., Sez. 5, 9 novembre 2018, n. 28689; Cass., Sez. 6-5, 14 settembre 2022, n. 27093)”.
Abbiamo già evidenziato che una siffatta interpretazione, sconta evidentissime aporie logico giuridiche, volendo assimilare gli atti dell’esecuzione esattoriale (anche gli atti prodromici come l’intimazione di pagamento), agli atti dell’ordinario processo esecutivo di cui al Libro Terzo del Codice di Procedura Civile; tuttavia la giurisprudenza tributaria, sembra essere insensibile a queste istanze portate avanti, nelle varie sedi, dai difensori dei contribuenti.
E neppure taluni Giudici del Lavoro, a dire il vero, visto che, si contano parecchie sentenze che, allineandosi alla non condivisibile giurisprudenza tributaria, hanno respinto i ricorsi del contribuente adducendo la seguente, opinabilissima, motivazione:
“La regolarità della notifica dell’intimazione di pagamento di cui al punto precedente conduce, stante la pacifica assenza di tempestiva impugnazione del predetto atto, a ritenere il credito irretrattabile, in ossequio all’orientamento maggioritario espresso sul punto dalla Corte di Cassazione. Va infatti condiviso il principio più volte affermato secondo cui, pur senza che ciò incida sul termine di prescrizione, “se l’intimazione di pagamento non viene impugnata (facendo valere la sua sola nullità per mancata notifica degli atti presupposti o anche l’illegittimità della pretesa per vicende ad essa attinenti, come la prescrizione della stessa), il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica” (si veda, tra le tante, Sentenza n. 89/2025 del 18/02/2025 del Tribunale di Vicenza – Giudice del Lavoro).
Una luce però, sembra essersi accesa, e delle più autorevoli, dal momento che la recentissima pronuncia che quivi si commenta, è stata emessa dalla Corte d’Appello di Milano, in funzione di Giudice del Lavoro, che con un percorso logico-giuridico ineccepibile (in una controversia peraltro non patrocinata dallo scrivente avvocato), ha limpidamente stabilito che:
“[…] Né può condividersi la tesi dell’odierna appellante principale, che ha valorizzato in proprio favore la mancata impugnazione di quest’ultimo atto, non trovando applicazione nella materia oggetto di causa la disciplina tributaria ex art. 19 co. III d. lgs. 546/92 e la relativa giurisprudenza sull’onere di impugnazione autonoma dell’intimazione di pagamento, invocate a sostegno del gravame.
Tale disposizione di legge fa parte, infatti, della normativa volta a dettare “disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30.12.1991, n. 413” ed è stata applicata dal Supremo Collegio, nella pronuncia n. 5.8.2024, n. 22108, con espresso e specifico riferimento al “contenzioso tributario”.
Il caso: riscossione di contributi
Il caso di specie verte, invece, su pretesa di carattere contributivo, che prevede l’opposizione avverso il titolo entro il termine di 40 giorni dalla notificazione, ai sensi dell’art. 24 D. lgs. n. 46/1999, ma non impone l’impugnazione dei successivi atti interruttivi per far valere i vizi o le cause istintive successivamente verificatisi, né attribuisce all’intimazione di pagamento autonoma valenza sostanziale o esecutiva”.
In effetti, è noto che nell’esecuzione civile è l’atto di precetto, regolato dagli artt. 480, 481 e 482 cpc e che il precetto conserva efficacia per 90 giorni dalla sua notifica e che decorso questo termine senza che sia avviata l’esecuzione vera e propria con atto di pignoramento, esso cade in perenzione; al creditore, decorso quindi infruttuosamente il suddetto termine, non resta che “ripartire da capo”, notificando quindi un nuovo atto di precetto.
Ragion per cui la Corte d’Appello di Milano, come da sempre sostenuto dallo scrivente, ha chiaramente assimilato l’intimazione di pagamento di Agenzia delle Entrate – Riscossione all’atto di precetto, facendone discendere:
- la facoltà, e non l’obbligo di impugnazione dell’intimazione;
- l’insuscettibilità a realizzare la “cristallizzazione” delle pretese contributive.
A questo punto, lo si ribadisce ancora una volta, è più che mai urgente l’intervento delle Sezioni Unite, in modo da fare chiarezza una volta per tutte sulla questione sempre più controversa, dirimendo il contrasto giurisprudenziale sorto in seno alle “sezioni semplici” della Cassazione, che si riverbera anche avanti i giudici di merito, ossia le Corti di Giustizia Tributaria per i debiti esattoriali, ed i Tribunali del Lavoro per i debiti contributivi.
Fonte: Corte di Appello di Milano sent. n. 305/2025
Giovedì 23 Ottobre
Roberto Molteni
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