Spesso il marchio è detenuto personalmente fuori dalla sfera di impresa, e, mentre la normativa civilistica ormai ben distingue le ipotesi di circolazione, problematica risulta la tassazione dei proventi derivanti dal trasferimento.
Il marchio: definizione e caratteristiche
Tra le problematiche più frequenti che si riscontrano nei passaggi generazionali o nelle riorganizzazioni aziendali ci sono quelle legate al marchio.
Esso è uno dei segni distintivi dell’impresa, e, più precisamente, è definito “marchio” il segno distintivo del prodotto dell’impresa disciplinato dal D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (c.d. Codice della proprietà industriale o c.p.i.).
Possono essere registrati come marchi ai sensi dell’art. 7 c.p.i. tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti:
- a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese;
e - ad essere rappresentati nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti ed al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l’oggetto della protezione conferita al titolare.
La circolazione del marchio
Trasferimento e licenza
Prima delle modifiche apportate all’art. 2573 c.c. dall’art. 83, D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, in attuazione della direttiva n. 89/104/CEE, del 21 dicembre 1988 il marchio poteva essere ceduto solo nell’ipotesi di contestuale cessione dell’azienda o di un ramo di essa, onde evitare frodi in danno al pubblico.
Per quanto attiene “la circol