La cessione di un’azienda rappresenta un processo complesso, che coinvolge aspetti giuridici, fiscali e contabili, con particolare riferimento al calcolo delle plusvalenze e all’avviamento. La recente giurisprudenza della Cassazione fornisce chiarimenti importanti sulla valutazione dei beni aziendali e le responsabilità fiscali di cedente e cessionario, mettendo in luce le nuove disposizioni normative. Vengono inoltre trattati i rischi di abuso del diritto e le specificità legate alla cessione di un ramo d’azienda. L’approfondimento esamina come tali cambiamenti possono influenzare le operazioni di cessione aziendale e le implicazioni future per le imprese.
Il calcolo della plusvalenza da cessione di azienda
Ai sensi dell’articolo 2555 del codice civile l’azienda rappresenta “un complesso organizzato di beni a disposizione dell’imprenditore per l’esercizio della sua impresa”. Si ha trasferimento d’azienda ogni qualvolta vi sia la sostituzione della persona del titolare del rapporto di lavoro e il suo subentro nella gestione del complesso dei beni per l’esercizio dell’impresa, indipendentemente dallo strumento tecnico giuridico adottato e dalla sussistenza di un vincolo contrattuale tra cedente e cessionario.
A ribadirlo è la Cassazione con l’ordinanza. 28183 del 6 ottobre 2023.
Il primo passo da compiere per l’imprenditore che vuole vendere la sua azienda, sarà quindi stimare il suo valore di mercato, che è rappresentato dalle consistenze iscritte nel suo Stato Patrimoniale sommate al c.d. avviamento commerciale ovvero il maggior valore attribuibile al complesso aziendale rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono.
Il parere della Cassazione in tema di cessione di azienda
La Cassazione con la sentenza n. 2802/2024, in materia di cessione di azienda ha deciso che:
- ai fini del calcolo del valore dell’avviamento commerciale della azienda, la percentuale di redditività deve essere parametrata alla media dei ricavi (e non degli utili operativi) accertati, o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi nei tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dall’art. 2, comma 4, del D.P.R. n. 460/96, criterio avente la funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo.
Qualora, l’amministrazione finanziaria abbia applicato un coefficiente inferiore a quello di cui sopra, che rappresenta un valore minimale d’avviamento, si presume che la capacità di profitto dell’azienda non sia inferiore a quello cui si perviene mediante la sua applicazione, salva la prova contraria del contribuente