L’annullamento parziale, in autotutela, degli atti di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, non è impugnabile in quanto non comporta innovazioni lesive per il contribuente. Tuttavia, un nuovo atto che amplia la pretesa fiscale può essere contestato.
Vediamo come la giurisprudenza ha interpretato questi aspetti e le implicazioni per i contribuenti, approfondendo l’attuale ruolo dell’autotutela nel contenzioso tributario.
In tema di contenzioso tributario l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti definitivi, non è impugnabile in quanto non rientra nell’art. 19 D.lgs. n. 546/1992.
Infatti tale atto non comporta alcuna innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se risulta di portata più ampia rispetto all’originaria pretesa. È quanto emerge da una recente ordinanza di Cassazione.
Annullamento parziale in autotutela e atti impugnabili
Il D.lgs. n. 219/2023 (G.U. n. 2/2024) ha rivisto l’istituto dell’autotutela per il quale il legislatore, ha introdotto due nuove disposizioni ossia l’esercizio del potere di autotutela obbligatoria e quello di autotutela facoltativa.
L’art. 10-quater di tale decreto ha previsto l’esercizio del potere di autotutela obbligatoria, atteso che l’amministrazione finanziaria può procedere in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o nell’ipotesi di atti definitivi, in casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione.
Tali casi sono l’errore di persona; l’errore di calcolo; l’errore sull’individuazione del tributo o l’errore materiale del contribuente, facil