Operazioni inesistenti prova all’Ufficio non al contribuente

Il presupposto indefettibile per poter operare il recupero di una operazione ritenuta “oggettivamente inesistente” è che l’ufficio fornisca la prova, ancorché indiziaria, che l’operazione non sia stata mai posta in essere.
Sul tema ci sono precedenti contributi dell’autore diretti ad evidenziare la rilevanza della prova in capo all’amministrazione, al fine di supportare la presunta indebita detrazione legata ad operazioni inesistenti, soprattutto in seguito alle novità contenute nella legge di riforma della giustizia e del processo tributario.

Operazioni inesistenti: ambito tributario

operazioni inesistenti prova ufficioLa legge n. 130/2022 di riforma della giustizia e del processo tributari ha introdotto un nuovo onere probatorio contenuto nel nuovo art. 7, comma 5 bis, D.Lgs. 546/1992 in virtù del quale l’amministrazione finanziaria prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato dal contribuente.

Il giudice fonda la sua decisione sugli elementi e i criteri di prova di valutazione che emergono nel processo stesso e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza risulta essere assente oppure è contraddittoria o insufficiente a dimostrare se le presunte operazioni inesistenti si riferiscono ad operazioni nella realtà non avvenute, che non hanno avuto effettivamente luogo in natura (merce indicata in fattura in realtà mai venduta; mancato servizio esposto in fattura).

L’emissione di una o più fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, a prescindere dall’ammontare non vero segnalato nei documenti, indicate nel corso del medesimo periodo di imposta deve inquadrarsi in un unico reato.

Il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti – che prevede come sanzione la reclusione per chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti -, è disciplinato all’art. 1, lett. a), d. lgs n. 74/2000 secondo cui per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

L’art. 8 del medesimo decreto stabilisce che è punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunqueal fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Tale disposizione, diretta a punire chiunque emetta o rilasci fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, trova applicazione qualunque sia l’ammontare dell’imposta o tassa evase.

 

Il caso all’esame della CGT di Latina: accertamento per utilizzo di fatture per operazioni inesistenti

Nel caso di specie la società ricorrente ha impugnato l’avviso di accertamento, emesso a seguito di PVC notificato dalla Guardia di Finanza da cui emergeva che la predetta aveva commesso violazioni di natura sostanziale ossia condotte fraudolenti mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse da altra società, tanto da poter ritenere che si trattasse di società “cartiere” create al solo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere l’imposta.

Detta società eccepiva nel ricorso la tardività dell’accertamento, la carenza di motivazione e il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’ufficio.

La Corte adita, accogliendo il ricorso, ha ritenuto che in tema di Iva allorché l’Amministrazione contesti l’indebita detrazione di fatture per operazioni inesistenti, è onere dell’ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale non è stata mai posta in essere, indicando gli elementi indiziari su cui si fonda la contestazione.

Pertanto l’amministrazione deve fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata fatturata o messa da chi non è stata controparte nel rapporto instaurato: solo a quel punto ricadrà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni e quindi la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili.

Una precedente sentenza di merito (vd. CGT Lazio n. 4659/2022), avente ad oggetto la medesima fattispecie, ha ritenuto che i giudici di prime cure avevano valorizzato solo il fatto che la società cedente non aveva una sede operativa, non aveva dipendenti, non presentava dichiarazioni dei redditi al pari di una “società cartiera”, non costituendo ciò una prova presuntiva circa la consapevolezza da parte della società cessionaria sulla inesistenza delle operazioni.

Ciò posto, i giudici hanno ritenuto che della società che ha emesso la fattura al fine di dimostrare l’inesistenza delle operazioni non possono essere utili gli eventuali inadempimenti contabili, amministrativi e fiscali, ma è lo stesso Ufficio a dover fornire la prova che le operazioni siano avvenute realmente e, quindi, a scongiurare l’ipotesi dell’inesistenza oggettiva che si verifica solo in assenza/inesistenza della prestazione.

Appare, quindi, insufficiente fondare la maggiore imposizione fiscale sul presupposto del carattere di mere cartiere delle società, venendo a mancare la prova, una prova idonea, reale e convincente; prova oggi ancora più necessaria atteso che il legislatore ha introdotto l’art. 7, comma 5 bis, l. n. 130/22, in virtù del quale è l’amministrazione finanziaria a dover provare in giudizio le violazioni contestate con l’avviso di accertamento.

Il presupposto indefettibile per poter operare il recupero di una operazione “oggettivamente inesistente”, è che l’ufficio finanziario fornisca la prova, ancorché indiziaria, che l’operazione non sia stata mai posta in essere, potendosi configurare, in via definitiva, in un caso di mancato assolvimento dell’onere della prova, che in tale situazione grava sull’Ufficio.

Alla luce di quanto sopra, il collegio giudicante ha accolto il ricorso della società, compensando le spese di lite.

 

Giurisprudenza sul reato di emissione di fatture inesistenti e onere della prova

In caso di società destinataria di fatture soggettivamente inesistenti, l’amministratore di fatto non risponde in modo diretto delle violazioni tributarie se non viene dimostrata la fittizietà della società stessa.

La finta esistenza della compagine sociale non può essere il risultato di affermazioni assiomatiche, ma di un convincimento fondato su riscontri probatori, certamente più ampi ed incisivi rispetto al rapporto società cartiera/società inesistente (Cassazione n. 1946/2023).

Al fine di un eventuale condanna per operazioni inesistenti è sufficiente l’addebito a carico dell’imprenditore che scatta se le fatture non sono rinvenute in copia di carta né registrate ma indicate come emesse perché rilevate dalle operazioni sui conti correnti intestati alle società.

Quanto precede perché ai fini della configurazione del reato ex art. 8, d lgs n. 74/2000 non contano soltanto le fatture ma anche altri documenti con rilievo probatorio analogo (Cassazione n. 5247/2023).

In materia di imposte dirette l’accertata inesistenza oggettiva dell’operazione può incidere sui ricavi ex art. 8, commi 2 e 3, d.l. n. 16/2012, in tema di IVA ex art. 21, comma 7, Dpr 633/1972, in difetto di rettifica o annullamento della fattura, sussiste l’obbligo di versamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato in fattura, atteso che l’emissione del documento contabile determina l’insorgenza del rapporto impositivo, senza che ciò contrasti con la neutralità dell’IVA, prevalendo la funzione ripristinatoria solo in conseguenza della rettifica o annullamento della fattura (Cassazione, n. 3149/2023).

Incombe all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche sulla base di presunzioni, che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta, mentre spetterà poi al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cassazione n. 5998/2023; cfr n. 9851/2018).

Il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’art. 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è reato istantaneo che si consuma nel momento di emissione della fattura ovvero, ove si abbiano plurimi episodi nel medesimo periodo di imposta, nel momento di emissione dell’ultima di esse (Cassazione Penale n. 20053/2022).

L’accredito in banca è sufficiente a far scattare la condanna per operazioni inesistenti., atteso che l’addebito a carico dell’imprenditore si configura anche se le fatture non sono rinvenute in copia di carta né registrate ma indicate come operazioni sui conti correnti intestati alle società.

Ciò perché ai fini della configurazione del reato ex art. 8, d.lgs n. 74/2000 non contano soltanto le fatture ma anche altri documenti con rilievo probatorio analogo (Cassazione Penale n. 5247/2023).

In tema di reati tributari, per la configurazione del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non è necessario, sotto il profilo soggettivo, che l’obiettivo di favorire l’evasione fiscale di terzi mediante l’utilizzo delle fatture emesse sia esclusivo, essendo integrato anche quando la condotta sia commessa per raggiungere anche un concorrente profitto personale (Cass. Pen n. 22812/2022).

 

L’onere della prova spetta al Fisco

Secondo la giurisprudenza di merito in tema di operazioni soggettivamente inesistenti (frodi carosello), grava sull’Amministrazione l’onere di provare non solo l’oggettiva inesistenza del fornitore, ma anche la consapevolezza da parte del destinatario in ordine al suo coinvolgimento in un’evasione d’imposta.

La prova si deve basare su elementi idonei a dimostrare che il soggetto passivo sapeva o non poteva non sapere, secondo l’ordinaria diligenza, che l’operazione rientrava in una frode; nella fattispecie l’ente impositore non aveva fornito alcuna prova della presunta conoscenza della società contribuente circa l’evasione fiscale del fornitore (CGT 2° gr. Sicilia n. 2/2023).

In tema di fittizietà delle prestazioni eseguite da una società di consulenza e pianificazione aziendale – accertate dall’ufficio mediante una serie di registrazioni foniche (desunte dal p.v. della Guardia di Finanza) -, le stesse non fanno riferimento diretto o indiretto ad elementi che fanno presumere la presunta fittizzietà; per di più l’Agenzia delle entrate non ha dato prova in giudizio delle violazioni contestate elidendo il dettato dell’art. 7, comma 5 bis, d lgs n. 546/92, per cui gli atti di accertamento vanno annullati con condanna alle spese di lite dell’ufficio (CGT 1 ° gr. Reggio Emila n. 67/2023)

In caso di operazioni inesistenti l’ufficio deve provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta ossia che il contribuente fosse a conoscenza della sostanziale inesistenza del contraente.

Provato ciò, sul contribuente grava la prova contraria di avere usato la massima diligenza richiesta ad un operatore accorto, secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (CGT 2° gr. Lazio n. 4659/2022).

In presenza di fatture solo soggettivamente inesistenti, l’ufficio deve dimostrare sulla base di elementi specifici che il contribuente poteva sapere che l’operazione fosse inserita in un piano fraudolento, soprattutto se riferita ad attività incluse in una frode carosello.

In particolare, non può essere richiesto al contribuente di essere informato, usando l’ordinaria diligenza di cui all’art. 1176 c.c., circa eventuali notizie sulla società fornitrice che gli avrebbero consentito di disporre un piano di azione in merito alla sostanziale inesistenza del contraente e, conseguentemente, alla natura fraudolenta dell’operazione posta in essere (CGT 1° gr. Ancona n. 501/2022).

L’Amministrazione finanziaria in seguito ad operazioni inesistenti ha l’onere di dimostrare la fittizietà delle operazioni e non al contribuente in quanto quest’ultimo è tenuto a provare la prova contraria solo dopo che sia assolto l’onere dall’Amministrazione.

Ai fini del diritto alla deduzione di costi inerenti ex art 109 Tuir è necessaria la regolare tenuta delle scritture contabili e delle fatture che, ai fini Iva, sono idonee a rappresentare il costo dell’impresa (CGT 1° grado Roma n. 11120/2022; CGT Prato n. 223/2022).

 

Fonte: Sentenza CGT 1 gr Latina n. 385/2023.

 

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A cura di Enzo Di Giacomo

Giovedì 29 giugno 2023