Olaf e antidumping: illegittima la rettifica dell’origine doganale a tavolino

L’origine delle merci importate non può essere contestata dall’Agenzia delle dogane sulla base di un’indagine “a tavolino” dell’Olaf (European Anti-Fraud Office), se è fondata unicamente su un incrocio di dati statistici.
Una simile contestazione dell’origine doganale è, infatti, illegittima e la Dogana non può pretendere il pagamento del dazio antidumping.

Illegittimità della contestazione dell’origine doganale a tavolino

olaf indagine a tavolinoTornando su un tema che riguarda molte aziende, interessate da contestazioni antidumping fondate su un’indagine Olaf (European Anti-Fraud Office), la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto ha chiarito che l’Agenzia delle dogane non può contestare l’origine delle merci importate sulla base di un’indagine “a tavolino” (sentenza 23 novembre 2022, n. 1361).

Nel caso di specie, una Società italiana aveva importato tubi di acciaio senza saldatura dichiarandone l’origine indiana; la Dogana sosteneva al contrario la loro origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 71,9% del valore della merce.

L’Agenzia delle dogane fondava la propria contestazione unicamente sulla base di un Report dell’Olaf, noto alle numerose imprese che importano tubi di acciaio dall’India, senza fornire ulteriori prove a dimostrazione dell’origine cinese dei beni importati.

 

Le indagini dell’Olaf sull’origine doganale dei prodotti

Il ruolo dell’Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), istituito nel 1999 come servizio generale della Commissione europea, è quello di svolgere, in piena autonomia, indagini internazionali per la lotta contro le frodi.

Tali indagini possono essere “interne”, se riguardano le istituzioni o gli organismi finanziati dall’UE, o “esterne”, quando si svolgono in un Paese terzo e hanno l’obiettivo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea.

Di particolare rilievo, dal punto di vista doganale, sono le indagini in materia di origine dei prodotti, dirette a rilevare possibili evasioni dei dazi antidumping.

Al termine dell’indagine, l’Olaf redige un Report conclusivo, con il quale informa le Autorità doganali dell’Unione europea dei risultati ottenuti; la Dogana poi valuterà liberamente le prove fornite dall’Ufficio, e potrà decidere di contestare l’origine dei prodotti importati, pretendendo l’applicazione del dazio antidumping.

 

Il valore probatorio del Report Olaf

La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, con la sentenza in commento, ha confermato il principio già espresso dal giudice di primo grado (Comm. trib. prov. Venezia, 7 giugno 2021, nn. 456 e 457), secondo cui la Dogana non può fondare il proprio accertamento unicamente sulla base di un Report dell’Olaf.

È necessario, infatti, un riscontro concreto circa le specifiche operazioni contestate, le imprese, i luoghi di produzione e i flussi delle merci oggetto di importazione.

Al riguardo, anche la Corte di Cassazione ha ormai stabilito che le indagini Olaf, seppur autorevoli, possono costituire il fondamento di un accertamento doganale solo quando si riferiscono alle operazioni contestate dall’Agenzia delle dogane (Cassazione, sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469).

È pertanto indispensabile verificare, caso per caso, se le conclusioni dell’Olaf siano sufficienti a giustificare una rettifica dell’origine dei prodotti importati.

I giudici hanno stabilito che, nel caso di specie, l’analisi dell’Olaf è stata svolta “a tavolino”, sulla base di dati generali aventi a oggetto tutte le importazioni di tubi di acciaio dalla Cina all’India, senza effettuare un confronto tra i dati statistici elaborati con i dati reali.

Secondo la Corte, i dati statistici e i relativi incroci possono essere utilizzati come punto di partenza, e non di arrivo, di un’indagine, la quale deve fondarsi su riscontri oggettivi e concreti e porre al centro il caso specifico.

Nel caso esaminato, l’assenza di una verifica fisica presso lo stabilimento del produttore non consente di accertare, in concreto, l’origine della merce contestata.

 

L’inchiesta della Commissione europea

A ulteriore conferma della correttezza dell’operato dell’importatrice, occorre rilevare che la Commissione europea (DG Trade), nel caso esaminato, aveva svolto un’inchiesta sulle stesse imprese indiane produttrici di tubi che erano state esaminate dall’Olaf.

La Commissione UE ha svolto un’attività di controllo mirata presso gli stabilimenti produttivi, volta alla verifica delle attività concretamente svolte e del livello di lavorazione dei prodotti e, a seguito di un’approfondita indagine, ha confermato l’origine indiana dei prodotti oggetto di contestazione (Reg. di esecuzione UE 2017/2093).

Secondo il giudice veneto, questa indagine è certamente più attendibile rispetto alla verifica “a tavolino” dell’Olaf.

La Commissione UE, infatti, non si è limitata a svolgere un’indagine presso gli stabilimenti indiani, ma ha adottato un apposito Regolamento in grado di certificare i risultati della propria inchiesta.

Tale norma produce effetti vincolanti nei confronti di tutte le Autorità doganali dei Paesi dell’Unione europea.

 

L’importanza dei certificati di origine

Si precisa, infine, che, a fronte di una contestazione sull’origine, il certificato di origine non preferenziale costituisce uno strumento essenziale per gli importatori.

Tale documento è rilasciato dalle autorità competenti del Paese terzo da cui provengono i prodotti, e deve essere redatto sulla base del formulario approvato dal legislatore europeo, indicante tutti gli elementi per l’identificazione della merce a cui si riferisce (all. 22-14 e art. 57, par. 3, Reg. 2447/2015).

In caso di fondati dubbi sull’esattezza delle informazioni contenute nel certificato di origine, l’Agenzia delle dogane deve attivare una richiesta di cooperazione amministrativa ai sensi dell’art. 59 Reg. UE 2447/2015, con la quale richiede alle Autorità esterne di verificare se l’origine dichiarata sia stata correttamente stabilita.

Tale certificazione, pertanto, rappresenta uno strumento di prova incontrovertibile, in grado di dimostrare che i prodotti importati hanno subito una lavorazione idonea ad attribuire loro l’origine non preferenziale.

 

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A cura di Sara Armella

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