Secondo la Cassazione si presumono incassati i corrispettivi relativi a una fattura emessa dal professionista – e, quindi, vanno assoggettati ad Irpef – laddove il percipiente non sia in grado di dimostrare il contrario.
In sostanza, secondo la Suprema Corte, se il professionista emette la fattura e diventa debitore dell’IVA è evidente (???) che abbia incassato il corrispettivo.
In che modo è accettabile la prova contraria?
Presunzione di incasso del corrispettivo: il caso di Cassazione in breve
Al centro della controversia vi era un avviso di accertamento, notificato in ragione del reddito imponibile non dichiarato dal contribuente, costituito da una fattura di svariate decine di migliaia di euro, emessa per prestazioni professionali e, a detta del soggetto accertato, mai saldata.
Della vertenza veniva investita la CTP di Roma, che accoglieva il ricorso del contribuente.
Di contrario avviso si mostrava, invece, la CTR del Lazio, che accoglieva il gravame, interposto dall’ufficio, evidenziando che l’emissione della fattura avviene normalmente all’atto del pagamento della prestazione sicché, nel caso di specie, doveva presumersi che la stessa fosse stata effettivamente pagata.
Proponeva, allora, ricorso per cassazione il contribuente, affidato a tre motivi di diritto, solo uno dei quali è utile per la nostra trattazione.
In questo senso, il ricorrente contestava il deliberato d’appello, eccependo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 codice procedura civile, la violazione dell’art. 54 Tuir e dell’art. 2729 codice civile, evidenziando, da un lato, che andrebbero sottoposti a tassazione i redditi percepiti, non quelli che non sono stati percepiti, e, dall’altro, che la decisione della CT