Detrazione IVA delle società di comodo: rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE

Per i limiti alla detrazione IVA delle società di comodo è arrivato, su richiesta della Cassazione, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.

Con l’ordinanza interlocutoria n. 16091, in data 19.5.2022, la V sezione civile della Corte di Cassazione ha chiesto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronunci sulle seguenti questioni:

  1. corte di giustizia europease l’art. 9, par. 1, Direttiva 2006/112/CE può essere interpretato nel senso di negare la qualità di soggetto passivo e, conseguentemente, il diritto di detrazione o rimborso dell’IVA. di rivalsa assolta al soggetto che esegue operazioni attive rilevanti ai fini dell’IVA in misura ritenuta non coerente – in quanto eccessivamente bassa – rispetto a quanto può ragionevolmente attendersi dagli asset patrimoniali di cui dispone per tre anni consecutivi secondo criteri predeterminati dalla legge e non sia in grado di dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l’esistenza di oggettive situazioni ostative;

  2. in caso di risposta negativa al primo quesito, se l’art. 167 della direttiva 2006/112/CE e i principi generali della neutralità dell’I.V.A. e di proporzionalità della limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA ostano ad una disciplina nazionale che con l’art. 30, comma 4, della Legge n. 724 del 1994, nega il diritto alla detrazione dell’IVA di rivalsa assolta sugli acquisti, di rimborso della stessa o di utilizzazione della stessa in un successivo periodo di imposta al soggetto passivo di imposta che, per tre periodi di imposta consecutivi, esegua operazioni attive rilevanti ai fini dell’IVA in misura ritenuta non coerente – in quanto eccessivamente bassa – rispetto a quanto può ragionevolmente attendersi dagli asset patrimoniali di cui dispone per tre anni consecutivi e non sia in grado di dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l’esistenza di oggettive situazioni ostative;

  3. in caso di risposta negativa al secondo quesito, se i principi unionali della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento ostano ad una disciplina nazionale che con l’art. 30, comma 4, della Legge n. 724 del 1994 nega il diritto alla detrazione dell’IVA nei termini di cui al punto 2).

 

I fatti e le vicende processuali

L’Agenzia delle Entrate notificava ad una società contribuente (una s.r.l.) un avviso di accertamento con cui contestava la qualità di società di comodo, per aver registrato operazioni attive per un importo complessivo inferiore rispetto alla soglia prevista ex lege, con contestuale recupero di maggiori imposte dirette non versate e disconoscimento di un credito IVA dichiarato e utilizzato dalla contribuente.

La società impugnava l’atto contestando, relativamente al recupero dell’IVA, l’assunto dell’Ufficio nella parte in cui riteneva sussistente una cessione di ramo di azienda, atteso il difetto di prova in ordine alla prosecuzione dell’attività del cedente da parte del cessionario.

La Commissione Provinciale adita rigettava il ricorso, come anche la Commissione Regionale che, in particolare, assimilava la cessione delle immobilizzazioni materiali e del diritto di utilizzazione del marchio alla cessione di un ramo d’azienda (come tale, estraneo al campo di applicazione dell’IVA).

La contribuente ricorreva, dunque, per Cassazione evidenziando che il diritto alla detrazione dell’IVA non poteva essere soggetto a limitazioni, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla c.d. Direttiva IVA.

La ricorrente, in ogni caso, denunciava la mancanza dell’autorizzazione ex art. 27, par. 1-4, della Direttiva n. 77/388/CE, con conseguente richiesta di disapplicazione della normativa interna da parte del Giudice nazionale.

 

 

La normativa nazionale applicata dall’Ufficio ed i suoi rapporti con il diritto dell’Unione

Ai sensi dell’art. 30, Legge n. 724/1994, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, si considerano non operativi i soggetti (tra cui le s.r.l.) quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi (esclusi quelli straordinari) è inferiore ad un ricavo presuntivamente calcolato attraverso il cosiddetto “test di operatività”.

Non solo, in questi casi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini IVA non è ammessa al rimborso, né può costituire oggetto di compensazione né, tantomeno, è ulteriormente riportabile a scomputo dell’I.V.A. a debito relativa ai successivi periodi di imposta ove la società non abbia effettuato operazioni rilevanti per tre periodi di imposta consecutivi.

In buona sostanza, la disciplina sopra menzionata mira chiaramente a disincentivare la costituzione delle c.d. società di comodo, ovvero di società finalizzate al raggiungimento di scopi diversi rispetto alla normale dinamica societaria.

Sennonché, la normativa comunitaria prevede l’assoggettabilità ad IVA delle cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro, da parte di un soggetto passivo operante in quanto tale ossia, giusta la lettera dell’art. 9, par. 1, Direttiva 2006/112/CE, da parte di chi eserciti in modo indipendente un’attività economica.

Non solo, la normativa comunitaria prevede altresì:

  • che il diritto alla detrazione sorge con l’esigibilità dell’imposta detraibile (art. 167);

  • che il soggetto passivo ha diritto di detrarre, dall’importo di cui risulta debitore, l’IVA dovuta o assolta nello Stato membro in cui effettua operazioni soggette ad IVA, per i beni cedutigli o per i servizi resigli da altro soggetto passivo (art. 168);

  • le condizioni in presenza delle quali il soggetto passivo può esercitare il diritto alla detrazione (art. 178).

Tanto chiarito, la Suprema Corte, ripercorse le principali pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea sul punto, si è interrogata sulla possibilità di negare la qualità di soggetto passivo ogniqualvolta questi abbia eseguito operazioni attive che, seppur rilevanti ai fini I.V.A., non sarebbero coerenti con gli asset patrimoniali.

In altri termini, la Corte si chiede se il mancato superamento del test di operatività priva l’ente della qualità di soggetto passivo in ragione del presunto mancato esercizio di una reale attività economica.

Sennonché, come correttamente rilevato anche dal Giudice di legittimità, il mancato superamento del test non rappresenta una prova incontrovertibile quanto, semmai, il fondamento di una presunzione legale di mancato esercizio di un’attività economica che, come è noto, ben può essere superata dal contribuente mediante la prova dell’esistenza di situazioni oggettive che abbiano impedito la realizzazione di operazioni imponibili coerenti con gli asset a disposizione.

 

 

Detrazione IVA e società di comodo: il difficile incrocio fra normativa italiana e comunitaria

Orbene, se è dunque vero che il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui siano debitori quella dovuta o versata a monte per i beni e servizi acquistati rappresenta un principio di rango comunitario, tale diritto non può essere assoggettato a limitazioni.

D’altronde, il sistema comunitario dell’IVA garantisce la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, a prescindere dallo scopo o dai risultati di tali attività.

Diversamente, si potrebbero creare disparità ingiustificate di trattamento tra imprese con il medesimo profilo e che esercitano la medesima attività economica.

D’altro canto, la repressione degli abusi commessi dai contribuenti costituisce anch’esso un obiettivo comunitario, con conseguente dovere delle autorità e dei giudici nazionali di negare il beneficio alla detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, il richiamo fraudolento o abusivo del diritto alla detrazione dell’IVA.

Un obiettivo, questo, che non può però essere perseguito introducendo, nell’ordinamento, un principio in forza del quale la natura fraudolenta e/o abusiva possa presumersi.

In ogni caso, poi, le misure adottate dagli Stati membri non possono mai eccedere quanto sia necessario (e sufficiente) per il raggiungimento di un obiettivo posto dalla Direttiva.

È, dunque, sulla base di tutte tali considerazioni che la Suprema Corte si è interrogata sulla compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione, con particolare riferimento ai princìpi comunitari di neutralità dell’I.V.A. e di proporzionalità.

Sul punto, non resta che attendere la decisione che verrà adottata dalla Corte di Giustizia europea.

 

NDR. In tema di società di comodo vedi anche:

 

A cura di Andrea Ziletti e Mauro Tosoni

Martedì 5 Luglio 2022