La tormentata riforma del catasto

I catasti ante unità d’Italia erano patrimoniali, e pertanto colpivano il valore dei beni, non il reddito.
Con l’unificazione dell’Italia ecco arrivare il catasto reddituale, che appunto colpisce quanto il bene può produrre. Questo almeno in linea teorica.
L’attuale sistema estimativo catastale risale alla legge 1249/1939 e le modifiche introdotte successivamente non ne hanno comunque modificato l’iniziale impianto strutturale.

riforma catasto

Come ha ricordato Corrado Sforza Fogliani, Presidente del Centro Studi Confedilizia ne “La riforma del catasto rischia di essere un ritorno al passato” (Il Sole 24 ore del 25 marzo 2022), il TAR del Lazio ha a suo tempo dichiarato illegittima la revisione delle tariffe d’estimo prevista dai decreti ministeriali del 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991.

 

Le tariffe d’estimo del 1993

Era infatti stata allora disposta la revisione generale delle tariffe d’estimo considerando come base di tale revisione il valore unitario di mercato in luogo del precedente canone annuo ordinariamente ritraibile.

La legge n. 75 del 24 marzo 1993, che ha convertito in legge con modificazioni il DL n. 16 del 23 gennaio 1993, ha poi confermato le nuove tariffe.

Contro tale norma venne coinvolta, su istanza della Commissione Tributaria di Piacenza, la Corte Costituzionale la quale, nel 1994, aveva confermato la valenza delle nuove rendite basate sulla media dei valori riscontrati nel biennio 1998-1989, specificando però che si trattava di una disciplina transitoria, durata quasi trenta anni, alla luce dei fatti.

E queste tariffe, rimaste da allora invariate, sono quelle ora oggetto di revisione, in base al disegno di legge di delega fiscale.

Si può anche ricordare il tentativo di revisione della disciplina relativa al catasto dei fabbricati (legge n. 23/2014) delegata al Governo.

La norma è stata attuata solo in minima parte, limitatamente alla ridefinizione delle competenze e del funzionamento delle commissioni censuarie.

Quanto alla revisione delle rendite, allora era sorto un grande pasticcio, con le incaute rassicurazioni date dall’Agenzia delle Entrate.

Si era allora assicurato che le imposte, tutte le imposte, con la applicazione delle nuove rendite, non sarebbero comunque aumentate, né a livello nazionale né locale.

Affermazione del tutto impraticabile se non altro sotto l’aspetto logico (ne abbiamo trattato più volte, tra cui  “Il Catasto e il mito dell’invarianza del gettito”, ne IL SOLE 24 ORE, 26 aprile 2016), ragione per cui, dopo tanto clamore, e dopo qualche anno, si è abbandonato il progetto.

Ricordiamo come gli immobili nel nostro Paese siano circa 64,4 milioni, di cui 57,1 milioni di proprietà di persone fisiche (secondo l’ultima edizione de “Gli immobili in Italia”, a cura del ministero dell’Economia e dell’Agenzia delle Entrate).

 

Riforma del catasto: il disegno di legge delega

La Commissione Finanze della Camera, non senza contrasti al suo interno, ha recentemente confermato il testo dell’art. 6 del disegno di legge delega sulla riforma fiscale (disegno di legge n. 3343 del 29 ottobre 2021) che ha l’obiettivo di fare emergere gli immobili abusivi o non censiti, di riaccatastare correttamente i terreni agricoli che in realtà sono aree edificabili e, soprattutto, di revisionare i valori degli immobili per renderli più aderenti alla realtà immobiliare.

 

I punti della riforma

In sintesi, questi i punti su cui si basa la proposta riforma, da attuare entro l’1 gennaio 2026:

  • attribuzione a ciascuna unità immobiliare, oltre che alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche del relativo valore patrimoniale e di una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato;
     
  • introduzione di meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato;
     
  • riduzione del valore patrimoniale per gli immobili di interesse storico o artistico, tenendo conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione previsti per tali beni;
     
  • introduzione di strumenti da porre a disposizione dei comuni e dell’Agenzia delle Entrate, per facilitare e accelerare l’individuazione e, eventualmente, il corretto classamento delle seguenti fattispecie:
     

    1. gli immobili attualmente non censiti o che non rispettano la reale consistenza di fatto, la relativa destinazione d’uso ovvero la categoria catastale attribuita;
       
    2. i terreni edificabili accatastati come agricoli;
       
    3. gli immobili abusivi, individuando a tal fine specifici incentivi e forme di trasparenza e valorizzazione delle attività di accertamento svolte dai comuni in quest’ambito;
       
  • utilizzo di strumenti e moduli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle entrate e i competenti uffici dei comuni nonché la loro coerenza ai fini dell’accatastamento delle unità immobiliari.

Si realizzerà così una situazione caratterizzata, a decorrere dal 2026, da tre diversi valori, e precisamente:

  1. una rendita catastale, questa valida ai fini fiscali,
  2. un valore patrimoniale e
  3. una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato.

Come poi saranno considerati questi tre diversi valori costituisce la odierna incertezza, fonte appunto dei già citati contrasti.

Si ricorda come nel disegno di legge, per cercare di evitare contrasti, sia stato escluso ogni impatto di tipo fiscale sulla tassazione degli immobili.

Ma forse non in modo del tutto chiaro e soprattutto vincolante.

Nella relazione tecnica la questione è trattata, e non si prevedono aumenti ai fini delle entrate.

Così infatti è specificatamente precisato:

“La legge delega prevede una modifica della disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale, al fine di modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati, e un’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal primo gennaio 2026.

 

Ciò premesso, va, in primo luogo, sottolineato che alla disposizione in esame non si ascrivono effetti di natura finanziaria sul lato delle entrate, stante la prevista invarianza della base imponibile dei tributi, la cui determinazione continuerà a fondarsi sulle risultanze catastali vigenti, ai sensi del criterio di delega di cui al comma 2, lett. a) della disposizione.

 

Ai fini della valutazione dei possibili effetti finanziari sul lato degli oneri di spesa derivanti dalla disposizione, allo stato attuale, non si ritiene possibile effettuarne una specifica quantificazione, tenuto conto della genericità delle previsioni contenute nella legge delega, che individuano solo i criteri direttivi della riforma, anche tenendo conto che dovranno essere individuate le attività necessarie al previsto completamento del set informativo integrato da rendere disponibile a decorrere dal 1 gennaio 2026.

 

Tali effetti finanziari saranno, pertanto, quantificati in sede di predisposizione dei decreti delegati, ai sensi dell’articolo 10 della legge delega. A”

L’articolo 6 del disegno di legge prevede che ogni informazione aggiuntiva nel nuovo catasto non sarà utilizzata “per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali.” 

 

I contenuti dell’articolo 6 del disegno di legge

Ecco le precisazioni del Ministro per la Funzione Pubblica Renato Brunetta dell’8 marzo 2022 in merito alla previsione dell’articolo 6 del disegno di legge:

“In due commi l’articolo 6 declina i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega in materia di catasto, che prevede una semplice integrazione di dati – da completare non prima del 2026 – senza alcun effetto sulla modalità di calcolo della base imponibile dei tributi immobiliari.
 
L’obiettivo generale della norma, come ha spiegato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il 5 ottobre 2021, dopo l’approvazione del Ddl in Consiglio dei ministri, è quello di “costruire una base di informazione adeguata”: 

“Il contribuente medio non si accorgerà di nulla: l’imposizione fiscale su case e terreni rimarrà invariata”.

Il comma 1 indica i princìpi e criteri direttivi sulla base dei quali i decreti delegati dovranno rafforzare e modernizzare i meccanismi di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati. In primo luogo si dovranno prevedere strumenti, da porre a disposizione dei Comuni e dell’Agenzia delle entrate, per facilitare e accelerare l’individuazione ed eventualmente il corretto classamento di tre fattispecie: gli immobili attualmente non censiti o che non rispettano la reale consistenza di fatto, la relativa destinazione d’uso ovvero la categoria catastale attribuita; i terreni edificabili accatastati come agricoli; gli immobili abusivi.

In secondo luogo si dovranno prevedere strumenti e modelli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle entrate e i competenti uffici dei Comuni, nonché la loro coerenza ai fini dell’accatastamento delle unità immobiliari.

Il comma 2 stabilisce che il Governo è delegato ad attuare un’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026, e fissa i seguenti principi e criteri direttivi da seguire nell’esercizio della delega:

  • prevedere che le informazioni rilevate non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali (lettera a);
     
  • attribuire a scopo informativo a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato (lettera b);
     
  • prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato (lettera c);
     
  • prevedere, per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario, che tengano conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché del complesso dei vincoli legislativi rispetto alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro di tali immobili. (lettera d).

È lampante la differenza rispetto alla delega del 2014, che faceva leva sull’adeguamento contestuale delle aliquote d’imposta per assicurare l’invarianza del gettito fiscale: l’articolo 6 vieta espressamente di utilizzare i dati acquisiti per la determinazione della base imponibile dei tributi ed esclude la rilevanza di tali attività ai fini della rilevazione della capacità contributiva.

I decreti legislativi non potranno mai contraddire la delega e nessun atto amministrativo potrà cancellare la norma primaria, secondo cui l’affiancamento dei valori di mercato al valore catastale non può essere usato per far pagare le tasse.”

Tutto vero, con una sola precisazione.

I decreti legislativi non potranno mai (o meglio, tenuto conto di cosa è successo per altre deleghe, non dovrebbero) andare contro i principi della delega.

Ma una legge ordinaria dello Stato certamente sì. 

 

Cosa farsene allora di dati non applicabili?

E’ conseguenza normale che, una volta avuti i dati, si cerchi di farne una utilizzazione, non in base a decreti legislativi, ma in base ad una nuova norma.

Altrimenti non avrebbe avuto senso alcuno una manovra di questo tipo, che non è senza costi.

Non si può dire che è per accontentare esigenze UE.

Sempre da tale relazione:

“In ambito europeo, la necessità di una riforma catastale per aggiornare i valori era stata segnalata il 5 luglio 2019 nella raccomandazione del Consiglio per l’Italia.

 

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza indica la riforma fiscale tra le azioni chiave per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese e, a pagina 28, fa esplicito riferimento alla Country Specific Recommendation del 2019 sulla necessità di “una riforma dei valori catastali non aggiornati”

L’intervento normativo con il Ddl delega provvede all’integrazione informativa senza effetti fiscali e, dunque, senza attuare il contenuto della raccomandazione.

In sintesi, l’articolo 6 del disegno di legge delega fiscale, correttamente attuato, permetterà a ogni contribuente tra quattro anni di conoscere sia il valore fiscale sia quello patrimoniale della sua casa, adeguato alle condizioni di mercato.

Solo nel 2026, in base ai dati raccolti e sistematizzati con gli strumenti previsti, il Parlamento e il Governo avranno una fotografia aggiornata dei valori e potranno valutare se e in che modo realizzare una riforma del catasto, che comunque non produrrà, lo ribadisco, un aggravio tributario per chi già paga il dovuto. 

“Abbiamo un catasto del Novecento, non equo, e con la norma non c’è nessun aumento delle tasse”, ha sottolineato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenendo a sostegno dell’articolo 6.

Il Governo Draghi si è preoccupato di un’unica esigenza, degna di un Paese moderno:

“dotare i futuri decisori di una base dati per poter prendere in futuro decisioni informate.”

E così conclude:

“Nessun Esecutivo sostenuto dai voti di Forza Italia potrà avallare, anche dopo il 2026, una riforma del catasto punitiva che sprema ancora di più il settore immobiliare o che si abbatta sul ceto medio con l’alibi dell’equità nell’invarianza di gettito complessivo.

Noi terremo la barra dritta. La casa degli italiani non si tocca, né ora né mai.”

 

Qualche considerazione sul futuro delle rendite catastali

Assodato che le rendite catastali attuali non sono molto spesso coerenti con i valori di mercato (anche se le rendite sono di tipo reddituale, e non patrimoniale), e dato per scontato che appare opportuna una revisione generale del vecchio catasto, cosa ce ne faremo dei nuovi valori, disponibili dal 2026?

Non ne faremo nulla, come da più parti si sostiene, basandosi anche sulle rassicurazioni ora date?

Ipotesi che non pare del tutto verosimile; tanto lavoro alla fin fine per non fare nulla o quasi nulla?

E’ evidente che prima o poi le nuove rendite e i nuovi valori avranno un impatto fiscale; il che in linea teorica sarebbe corretto, anche per eliminare o comunque ridurre delle differenze di valutazioni oggi non più sostenibili, tra immobili diversi.

Ma c’è un dato di fatto: la attuale imposizione fiscale sugli immobili è alta, divenuta altissima con la riforma del Ministro Monti.

Pensare di aumentarla creerebbe delle situazioni insostenibili.

Unica soluzione praticabile potrebbe essere applicare sì le nuove rendite e i nuovi valori, ma nel contempo ridurre le aliquote delle imposte applicabili agli immobili, sia per le imposte sui redditi, sia soprattutto sulle imposte indirette (registro, successione, donazione, IMU).

Una soluzione alternativa potrebbe essere quella della introduzione di una clausola di salvaguardia, nel senso che potrebbe essere lasciata al contribuente la facoltà di scelta tra quale valore applicare, al fine di non pagare di più di prima.

Eventualmente stabilendo anche un regime transitorio di graduale adeguamento ai nuovi valori.

Ne abbiamo trattato nel nostro articolo “Una proposta per la riforma del Catasto” ne Commercialista Telematico dell’1 ottobre 2021.

 

A cura di Giuseppe Rebecca

Venerdì 6 maggio 2022