Durante questi periodi difatti la normale e ordinaria attività si somma al lavoro necessario per portare a termine gli adempimenti annuali e i dichiarativi fiscali, previdenziali e assicurativi, creando spesso dei “colli di bottiglia” per l’organizzazione dell’attività degli studi di commercialisti, consulenti del lavoro e CAF.
Trattandosi di criticità contingenti e di durata limitata, esse andrebbero gestite con l’impiego di risorse flessibili ma che allo stesso tempo fossero sufficientemente formate e pronte ad eseguire le prestazioni e le attività entro termini e scadenze per loro natura improrogabili.
Con questo contributo si intendono analizzare due soluzioni flessibili che ci vengono fornite rispettivamente dal CCNL Studi Professionali (applicabile ai dipendenti di commercialisti e consulenti del lavoro) e dalCCNL Commercio e Terziario (applicabile ai dipendenti dei CAF).
Studi professionali e CAF: soluzioni contrattuali per far fronte ai picchi di lavoro
La previsione del contratto di lavoro intermittente nel CCNL Studi Professionali
Il contratto a chiamata, risulta la tipologia contrattuale più adatta per l’assunzione di lavoratori che svolgano le attività tipiche di uno studio professionale, più intense in certi periodi dell’anno.
Infatti attraverso il contratto di lavoro intermittente, il lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione su chiamata del datore di lavoro.
Esso si caratterizza soprattutto per la mancata coincidenza tra la durata del contratto e la durata delle prestazioni, che hanno una frequenza non predeterminabile, permettendo al datore di lavoro di servirsi della prestazione del lavoratore soltanto all’occorrenza, senza l’obbligo di fargli svolgere un numero minimo di ore di lavoro.
È per questo che il CCNL per i dipendenti degli Studi Professionali, all’art. 56, regolamenta in maniera dettagliata le condizioni per il ricorso al contratto di lavoro intermittente, giustificando e legittimando la stipula del contratto a chiamata per lo svolgimento di attività ben definite, dando così sussistenza al requisito oggettivo, previsto dalla normativa[1].
Infatti, in generale, è possibile l’utilizzo del contratto di lavoro intermittente al ricorrere di almeno un requisito, tra loro alternativi, di tipo oggettivo o soggettivo.
Secondo quello oggettivo, il contratto a chiamata può essere stipulato soltanto per esigenze individuate dalla contrattazione collettiva o, in assenza di essa, per le casistiche individuate da Decreti Ministeriali, in relazione allo svolgimento delle attività che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o di custodia[2].
Secondo quello soggettivo, esso può essere stipulato, per qualsiasi tipologia di attività, con soggetti o di età superiore a 55 anni o inferiore a 24 anni[3].
In tale ultimo caso, le prestazioni contrattuali vanno svolte entro il compimento del 25° anno di età e non oltre.
Al rispetto di almeno uno dei due requisiti, esso è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari (ad eccezione dei settori del turismo, pubblici esercizi e spettacolo), al superamento del quale il contratto si trasforma in un rapporto a tempo pieno ed indeterminato[4].
Il CCNL Studi Professionali disciplina il ricorso al contratto intermittente facendo riferimento alla normativa e dando indicazioni di dettaglio riguardo i requisiti e le attività per le quali è possibile, in ogni caso e indipendentemente dall’età del lavoratore, la stipula del contratto a chiamata, legittimandone l’utilizzo.
Il lavoro intermittente è caratterizzato da fasi di attività lavorativa alternate a fasi di assenza della prestazione lavorativa, durante le quali il dipendente può soltanto attendere l’eventuale chiamata.
Essendo possibile stipulare un contratto a chiamata sia a tempo indeterminato che determinato, di fondamentale importanza risulta l’esclusione dell’applicazione della disciplina dei limiti al