Una fattura incompleta nella descrizione non può essere sanata con autocertificazione del cedente

Le “testimonianze” rese da terzi possono entrare nel giudizio tributario, ma restano comunque meri indizi, che pertanto non sono idonei a fornire valore di prova dell’effettività delle operazioni e dei costi sostenuti.

Fattura incompleta: il parere della Cassazione

fattura incompletaSi è più volte avuto modo di sottolineare l’importanza di redigere una fattura correttamente, evitando soprattutto una descrizione generica, in quanto questo potrebbe legittimamente comportare la contestazione circa l’esistenza delle operazioni effettuate, con le conseguenze del caso.

Nel caso di cui alla Ordinanza 12847/21 la Corte di cassazione ha stabilito che nemmeno una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, resa da un terzo per integrare la carenza delle fatture nell’indicazione degli elementi necessari per individuare, con certezza, le operazioni realizzate in favore del contribuente, è idonea a fornire la prova dell’effettività delle prestazioni, ai fini della deducibilità dei costi.

 

Requisiti di correttezza della fattura: la completezza dei dati contenuti

L’articolo 21, comma 2, lettera g) Dpr 633/1972, prevede che la fattura deve contenere, fra l’altro, l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione.

Tali specifiche indicazioni rispondono a una oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria e, in particolare, a rendere possibile l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione.

La fattura costituisce, ai sensi del suddetto articolo 21, un documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma in presenza di incertezza degli elementi indicativi della natura, qualità e delle prestazioni svolte, dunque di quegli elementi in presenza dei quali soltanto può ritenersi sussistente la corrispondente prestazione commerciale, perde l’anzidetta idoneità, così determinandosi lo spostamento a carico del contribuente dell’onere di dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni.

Riguardo alla questione relativa alla possibilità di provare l’effettività delle prestazioni ricevute mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la Cassazione osserva che dette dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’articolo 2729 c.c., danno luogo a presunzioni.

Tuttavia, con riferimento al caso concreto, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in quanto avente valore di prova meramente presuntiva, non può sopperire alla carenza degli elementi indicati nelle fatture, al fine di provare l’effettività delle operazioni e dei costi sostenuti.

In caso contrario, si avrebbe che un mero indizio si trasformerebbe illegittimamente in prova.

 

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A cura di Danilo Sciuto

Martedì 6 luglio 2021