Ai fini della contestazione di una esterovestizione societaria, il concetto fiscale di sede dell’amministrazione, indicato come uno dei criteri alternativi ai fini della residenza dell’ente, va assimilato a quello civilistico di sede effettiva della società, intendendosi quest’ultima come il luogo in cui si svolge in concreto la gestione e la direzione dell’attività d’impresa.
La Corte di Cassazione ha chiarito in presenza di quali presupposti l’Amministrazione finanziaria può contestare l’esterovestizione di una società.
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Esterovestizione di società: la territorialità della sede societaria
Nel caso di specie, a seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una società due avvisi di accertamento per i periodi d’imposta 2006 e 2007, con i quali, sull’assunto che la stessa, pur avendo la sede legale in Lussemburgo, avesse la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale nel territorio dello Stato italiano, essendo quindi qui soggetta ad imposizione, aveva accertato induttivamente IRES, IRAP e IVA, non considerando, peraltro, la deducibilità di costi per Euro 517.195,30 (risultanti da due fatture passive) e alcune ritenute che la società aveva subito.
La società impugnava gli avvisi davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, che, riuniti i ricorsi, li rigettava.
Avverso tale pronuncia la società proponeva quindi appello e la Commissione Tributaria Regionale lo rigettava, affermando che, viste le trasformazioni societarie, i passaggi delle quote di partecipazione, le sovrapposizioni degli amministratori, tutti italiani ad eccezione di uno, che ricorrevano nei consigli di amministrazione della controllante e delle controllate, e considerato che le attività della società si svolgevano principalmente in Italia, tale società, di fatto aveva in Lussemburgo solo la sede legale, mentre l’attività effettiva e di direzione veniva svolta in Italia.
Rilevavano quindi i giudici di secondo grado che, come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, la situazione effettiva e sostanziale prevale in questi casi su quella formale e dunque la società doveva essere considerata fiscalmente residente in Italia.
Anche quanto poi alla lamentata determinazione del reddito imponibile, secondo la CTR, l’operato dell’Ufficio appariva corretto, non essendo chiaro a cosa si riferissero le prestazioni di cui alle fatture in contestazione.
Infine, per le ritenute che parte appellante riteneva non essere state conteggiate per intero, agli atti non erano stati rinvenu