Limitazioni agli spostamenti causa Covid: effetti su residenza fiscale delle persone fisiche

Analizziamo gli effetti sulla disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche a causa delle limitazioni agli spostamenti da uno Stato all’altro imposte dal Covid-19.

Le limitazioni agli spostamenti imposte dall’emergenza da Covid-19

limitazioni spostamenti residenza fiscale

Come noto molte persone sono state bloccate in un Paese, indipendentemente dalla loro volontà, per mancanza di viaggi aerei o per veri e propri “Travel Ban“.

Ci si chiede dunque se tale permanenza (obbligata) in un certo Paese possa far scattare un’eventuale modifica della propria residenza fiscale.

Confronteremo, in particolare, la posizione recentemente espressa dal Ministero delle Entrate e Finanze Italiano (MEF), con la posizione dell’IRS Americano e con quella dell’Australian Taxation Office (ATO).

Il più autorevole ente che ha sollevato la questione della residenza fiscale ai tempi del Coronavirus è stato l’OECD, il quale ha discusso della problematica in un documento di prassi di Aprile 2020, invitando gli Stati membri ad emettere delle specifiche linee guida affinché l’involontaria presenza di una persona in un determinato Paese causata dalle limitazioni agli spostamenti da Covid-19 non portasse a conseguenze scorrette e non volute.

[NdR: Sul monitoraggio fiscale sulle attività estere puoi leggere: “Letterine di compliance per il quadro RW sotto l’albero”]

Effetti delle limitazioni agli spostamenti sulla modifica della residenza fiscale delle persone fisiche

Le due fattispecie analizzate dal documento dell’OECD sono le seguenti:

Fattispecie 1

Caso di un soggetto che è temporaneamente uscito dallo Stato di partenza in cui ha abitualmente la propria residenza fiscale e che si trovi bloccato per le limitazioni agli spostamenti in uno Stato estero, del quale acquisisca la residenza fiscale a motivo della permanenza.

Esempio della fattispecie 1

Ci possiamo immaginare il caso di un Cittadino Americano residente fiscalmente in America, che si trasferisce in Italia con la famiglia il 4 Dicembre 2019 con l’obiettivo di seguire un corso universitario che dura fino al 30 Aprile 2020, per poi far rientro in America.

Nel frattempo continua a lavorare part-time per una società Americana a distanza.

Egli prende altresì un appartamento in affitto in Italia e si iscrive all’Anagrafe Italiana per permettere ai figli di andare alla scuola Italiana.

A causa della pandemia non può affrontare il viaggio di ritorno negli USA a fine Aprile 2020 ed è costretto a rimanere in Italia, lavorando sempre a distanza per il suo datore di lavoro Americano.

Il viaggio di ritorno in America è intrapreso il 7 Luglio 2020.

Fattispecie 2

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Caso di un soggetto che si è trasferito per lavoro in un Paese del quale ha acquisito (o intende acquisire) la residenza fiscale, e che fa ritorno temporaneamente al Paese di origine ma rimane in questo bloccato a motivo della limitazione negli spostamenti.

Esempio della fattispecie 2

Ci possiamo immaginare il caso di un Cittadino Americano che si trasferisce in Italia con la famiglia il 4 Dicembre 2019 con l’intento di acquisire la residenza fiscale in quanto ha aderito al Regime Agevolativo del Rientro Cervelli per Ricercatori e Docenti di cui all’art. 44 DL. 78/2010.

Prima di iscriversi all’Anagrafe Italiana, ritorna in America per concludere il trasloco, ma ne rimane bloccato per via delle limitazione imposte ai voli internazionali. Riesce a rientrare in Italia solo il 7 Luglio 2020.

L’OECD ha evidenziato nel suo documento due profili di analisi:

  1. da un lato ha evidenziato che ci sono norme interne di diversi Paesi, tra i quali l’Italia, che collegano la residenza fiscale ai giorni di permanenza in quel Paese;
  2. dall’altro ha fatto presente che lo strumento principale per la determinazione della residenza fiscale di una persona fisica rimane sempre l’art. 4 delle varie Convenzioni contro la doppia imposizione firmate tra gli Stati in questione, norma questa, che prevale (o dovrebbe prevalere, come si dirà più avanti nel caso dell’Italia) sulle norme interne dei vari Stati.

L’OECD ha enfatizzato nel documento il ruolo guida delle disposizioni Convenzionali ed ha ribadito che le stesse dovrebbero essere in grado di determinare correttamente la residenza fiscale (in verità, più facilmente nella prima fattispecie evidenziata che nella seconda) anche in circostanze straordinarie come quelle delle limitazioni agli spostamenti da Covid-19.

In realtà l’approccio dell’OECD, che è senz’altro meritorio nell’intento, proponendo l’art. 4 delle Convenzioni come metodo di risoluzione delle problematiche emergenti in tema di residenza fiscale, pare un po’ limitativo e non applicabile a parecchi casi pratici.

Infatti la Convenzione contro le doppie imposizioni entra in gioco solo quando entrambe le norme interne dei due Paesi abbiamo già determinato la residenza fiscale del nostro soggetto in maniera concorrente: è solo in tal caso che ci si rivolge all’art. 4 della Convenzione per stabilire le tie-breaker rules che definiranno lo Stato di residenza fiscale del soggetto.

Pertanto, l’art. 4 della Convenzione può senz’altro essere utile nella Fattispecie 1 suddetta, laddove le norme interne di entrambi i Paesi (*) prevedono la residenza fiscale concorrente del soggetto: in tal senso, il riferimento che fa l’OECD al cosiddetto “habitual abode” citato negli artt. 4 delle Convenzioni, farà verosimilmente propendere l’asticella verso il Paese di partenza.

Nell’esempio 1 fatto, sarà probabilmente l’America a risultare quale Paese di residenza fiscale ai fini della Convenzione, dato che è il Paese dove il soggetto aveva la residenza nel 2019, prima di partire per il suo viaggio temporaneo verso l’Italia (poi durato più di 6 mesi) e dove c’è il suo “habitual abode“, cioè la sua dimora abituale.


(*: la norma che determina la residenza per l’Italia è l’art. 2 comma 2 del Tuir, connesso all’iscrizione per più di 183 giorni alle liste anagrafiche del comune per l’anno 2020 del soggetto; per l’America, conta il Substantial Presence Test, che determina la residenza anche se nell’anno corrente, cioè il 2020 per il caso in oggetto, il soggetto era residente in America per meno di 183 giorni, compensati però dalla presenza nei due anni precedenti).


Se però passiamo all’analisi della Fattispecie 2, vediamo come il problema che colà emerge non abbia possibilità di essere risolto dall’art. 4 della Convenzione: risulta infatti evidente che il soggetto per il 2020 rimane residente fiscalmente in America a tutti gli effetti, mancando gli elementi per far scattare la residenza fiscale in Italia di cui all’art. 2 comma 2 del TUIR.

Perciò in realtà le fattispecie che emergono sono ben più articolate e complesse di quanto il documento dell’OECD non abbia voluto far apparire.

Non dev’essere un caso, del resto, se l’OECD nello stesso documento abbia poi elogiato quei Paesi come Irlanda, UK ed Australia che hanno già emanato indicazioni specifiche per il caso in oggetto, invitando gli altri Stati a seguirne l’esempio.

A parere di chi scrive, pare proprio essere quella di Paesi come l’Australia la strada migliore: non un richiamo generico a norme Convenzionali non sempre applicabili, ma una serie di FAQ piuttosto articolate che tendono ad abbracciare uno spettro più ampio di dinamiche e che, pur facendo presente la necessità di una valutazione complessiva del problema, tendono ad indirizzare il contribuente verso un approccio interpretativo soft che cerchi di neutralizzare gli effetti di comportamenti non voluti.

Vediamo ora come hanno reagito le Amministrazioni Fiscali di Australia, America ed Italia ai riguardo.

Australia

Le indicazioni dell’Australia presenti nel sito dell’Australian Taxation Office (ATO) sono particolarmente interessanti proprio perché utilizzano un approccio ampio e non dogmatico al problema. Vediamo alcune delle loro FAQ:

“Question:

Will my tax residency for tax purposes change as a result of me returning to Australia due to COVID-19?

Answer:

Whether you are a resident for tax purposes in Australia is a question of fact that requires consideration of your circumstances. If you are here temporarily for some weeks or months because of COVID-19 then you will not become an Australian resident for tax purposes provided you:

  • usually live overseas permanently;
  • intend to return there as soon as you are able to.

However the tax residency issue may be more complicated if you:

  • end up staying in Australia for a lengthy period;
  • do not plan to return to your country of residency when you are able to do so.

Question:

What happens if I earn employment income that is paid leave while I am in Australia temporarily?

Answer:

If you usually work overseas and earn foreign-source employment income and you have been on leave since arriving in Australia, the income you receive from your foreign employer for paid leave (such as annual or holiday leave) is not from an Australian source so you do not need to declare it in Australia.

Question:

What happens if I earn employment income that is salary and wages from continuing my foreign employment (working remotely) while I am in Australia temporarily?

Answer:

Whether employment income you earn is assessable depends on whether it is from an Australian or a foreign source. It also depends on whether a double tax agreement applies (see the question on double tax agreements ).

The source of income always depends on the facts. Usually the place where the employment is exercised is very significant when deciding the source of employment income (salary or wages). However, in certain circumstances other factors may be more significant.

COVID-19 has created a special set of circumstances that must be taken into account when considering the source of the employment income of a non-resident who usually works overseas but instead performs that same employment in Australia as a result of COVID-19. In this situation, we accept that, if the working arrangement is short term (three months or less), the employment income will not have an Australian source.”

L’approccio, come si nota, non è semplicistico ma intende far capire che l’atteggiamento dell’Amministrazione Australiana sarà conciliante con coloro che avranno elementi sufficientemente chiari da dimostrare la loro impossibilità a lasciare il Paese.

Pare poi particolarmente interessante l’analisi dei casi di lavoro a distanza, dato che questa caratteristica è comune ad un gran numero di soggetti che si sono trovati a rimanere contro la propria volontà all’interno di un certo Paese.

Da far rilevare che si tendono a disinnescare gli effetti ordinari delle norme interne da cui discende la residenza fiscale, mentre le norme Convenzionali sono citate solo marginalmente.

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America

Anche l’America ha immediatamente preso delle contromisure volte, anche in questo caso, ad evitare che le sue norme interne potessero far scattare la residenza fiscale in casi non voluti.

In tal senso l’IRS ha emesso la Revenue Procedure 2020-20 nella quale sono state analizzate una serie di eccezioni alla regola generale del Substantial Presence Test Americano.

Le due più importanti eccezioni sono le seguenti:

  1. l’eccezione derivante dalla cosiddetta “medical condition” che impone la presenza nel suolo Americano contro la propria volontà; questa è una condizione che può essere fatta valere per sé o per assistere i propri familiari più stretti.
  2. la Covid-19 exception, che è una “travel condition” che permette di escludere fino a 60 giorni di permanenza nel suolo Americano a causa delle limitazioni degli spostamenti.
    Il documento fa presente che per applicare questa eccezione non è necessario aver contratto il virus; per contro, è dato per presupposto l’intento del soggetto di lasciare il territorio Americano nel periodo di presenza del Covid-19.

L’atteggiamento dell’IRS Americano si distingue sempre per la sua particolare semplicità e linearità e perché permette sempre di definire con grande chiarezza il confine tra il soggetto residente dal soggetto non residente ai fini della norma interna: le eccezioni suddette sono fatte apposta per disinnescare un determinato numero di giorni di presenza dal calcolo matematico del Substantial Presence Test in modo che si riesca facilmente a delineare il confine di applicazione della norma, che è un calcolo numerico.

Il documento è datato Aprile 2020: deve considerarsi che, dato il perdurare della Pandemia in America, è probabile che i 60 giorni di eccezione della “travel condition” possano essere successivamente aumentati o estesi, dato che il documento in questione si riferisce solo alla prima ondata pandemica, senza considerare che ci sarebbero state ondate successive.

Italia

Il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze Italiano) ha solo recentemente (3 dicembre 2020) risposto ad un’Interrogazione parlamentare sul punto, ma il testo della risposta, non appare né particolarmente chiaro, né molto “centrato” sulla questione sollevata.

In  sostanza, il MEF richiama molto semplicemente l’approccio dell’OECD e fa riferimento all’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni ai casi in oggetto onde risolvere le controversie.

Il documento recita:

Di conseguenza, la circostanza per cui una persona fisica, non residente fiscalmente in Italia, sia stata costretta a prolungare il periodo di soggiorno in Italia a causa della circostanza straordinaria ed eccezionale della pandemia, indipendentemente dalla volontà del soggetto, dovrebbe essere tenuta in considerazione, al fine di stabilire per detta persona una variazione di residenza ai fini del trattato (con particolare riferimento al citato criterio del “soggiorno abituale”).”

Il MEF pare non mettere a fuoco un punto importante: non si tratta, qui, di tenere in considerazione la circostanza straordinaria della pandemia ai fini di stabilire la variazione di residenza ai fini del trattato.

Semmai è necessario tenere in considerazione tale circostanza straordinaria ai fini della norma interna che determina la residenza fiscale.

Ed, infatti, sia l’approccio dell’IRS sia quello dell’ATO Australiana chiariscono quali siano le circostanze e le eccezioni che non fanno scattare la residenza per le rispettive norme interne.

Nel caso Italiano, poi, la norma interna di determinazione della residenza fiscale ha una rilevanza molto peculiare: la giurisprudenza di Cassazione ha, infatti, prevalentemente considerato l’iscrizione alle liste anagrafiche comunali come una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia, che come tale non ammette prova contraria.

Ora, benché recentemente ci siano stati interventi legislativi (vedi il Decreto Crescita del 2019) che hanno scalfito, se non minato, questa interpretazione formalistica dell’iscrizione alle liste anagrafiche Italiane, non sfugge ad alcun interprete attento il fatto che se un soggetto rimane bloccato in Italia rimanendo iscritto alle liste anagrafiche come abbiamo indicato nella Fattispecie 1 di cui sopra, non è assolutamente sufficiente, né tranquillizzante che il MEF dica che si dovrebbero tenere in considerazione le circostanze pandemiche per determinare un cambio di residenza ai fini del trattato: non è infatti il trattato a preoccupare gli interpreti, semmai proprio l’applicazione pedissequa fatta finora dall’Agenzia delle Entrate del principio di presunzione assoluta di residenza discendente dall’iscrizione alle liste anagrafiche.

Nella sostanza, è da ritenere che passata l’ondata emotiva dell’aspetto emergenziale della pandemia, l’Agenzia delle Entrate di fronte al caso di cui alla Fattispecie 1 applichi automaticamente il principio di cui all’art. 2 comma 2 del TUIR secondo cui chi risulta iscritto per più di 183 giorni all’anagrafe Italiana sia considerato per presunzione assoluta residente fiscalmente in Italia, a poco valendo le previsioni Convenzionali di cui all’art. 4, che pure sarebbero sovraordinate alla norma interna.

Dunque la risposta del MEF pare sfuocata, se non volontariamente ininfluente: sarebbe invece necessario che fossero previste delle specifiche eccezioni temporali, come quelle previste dall’ordinamento Americano, che permettessero una sospensione nel conteggio del decorso del tempo, in modo da neutralizzare dagli effetti del Covid-19 il meccanismo che fa scattare la residenza fiscale per la norma interna.

Anche nel caso di cui alla Fattispecie 2, tra l’altro, la risposta del MEF pare deficitaria: qui siano nel caso in cui il soggetto non è nelle condizioni di trasferire la propria residenza fiscale in Italia nel 2020, col rischio di perdere l’intero beneficio connesso con la norma del Rientro dei Ricercatori e Docenti.

Ed anche qui sarebbe necessario un approccio più articolato e ad ampio spettro, come quello Australiano, dove siano presenti una serie di FAQ e dove l’Agenzia delle Entrate si impegnasse a considerare in una valutazione più complessiva certi atti preparatori e prodromici per il trasferimento di residenza, specie se questi sono accompagnati dalla firma di contratti pluriennali o addirittura a tempo indeterminato con Società ed Enti di Ricerca o Universitari Italiani.

[NdR: per altri utili approfondimenti relativi ai rapporti Italia-America, visita la pagina del Dott. Enrico Povolo dove sono inseriti tanti suoi approfondimenti sulla materia]

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A cura di Enrico Povolo

Mercoledì 23 dicembre 2020