Presunzioni fiscali di cessione e acquisto dei beni

Come agiscono le presunzioni fiscali relativamente al caso di acquisto o cessione di beni? Qual è, tendenzialmente, il giudizio della Cassazione in tema di presunzioni?

Il disposto dell’art. 53 DPR 633/1972 è stato sostituito dal DPR 10-11-1997, n. 441, emanato in attuazione dell’art. 3, comma 137, della legge n. 662 del 1996, con efficacia sostitutiva dell’art. 53, e prevede all’art. 1 (presunzione di cessione) che

si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. Tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa“.

La prova contraria può essere fornita solo ai sensi dell’art. 1, comma 2, DPR 441/1997 (“la presunzione di cui al comma 1 non opera se è dimostrato che i beni stessi:

  1. sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;
  2. sono stati consegnati a terzi in elaborazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà“).

Ai sensi dell’art. 3 (presunzione di acquisto) i beni che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono acquistati se lo stesso non dimostra di averli ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza o ad uno degli altri titoli di cui all’articolo 1, nei modi ivi indicati“.

Operatività delle presunzioni fiscali

L’art. 4 (operatività delle presunzioni) prevede, poi, che “gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche. Le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino…, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo“.

Ai sensi dell’art. 1, comma 3, del DPR 441/97, poi, “la disponibilità delle sedi secondarie, filiali o succursali, nonché delle dipendenze, degli stabilimenti, dei negozi, dei depositi, degli altri locali e dei mezzi di trasporto che non emerga dalla iscrizione al registro delle imprese, alla Camera di Commercio o da altro pubblico registro, può risultare dalla dichiarazione di cui all’art. 35 del DPR 633/72, se effettuata anteriormente al passaggio dei beni, nonché da altro documento dal quale risulti la destinazione dei beni esistenti presso i luoghi su indicati, ha notato in uno dei registri in uso, tenuto ai sensi dell’art. 39 DPR 633/72“.

L’art. 35 del DPR 633/72 (disposizione regolamentare concernente le dichiarazioni di inizio, variazione e cessazione attività) dispone al comma 2 che “dalla dichiarazione di inizio attività devono risultare:…d) il tipo e l’oggetto dell’attività e il luogo o i luoghi in cui viene esercitata anche a mezzo di sedi secondarie, filiali, stabilimenti, succursali, negozi, depositi e simili…“.

Per il comma 3 “in caso di variazioni di alcuno degli elementi di cui al comma 2 o di cessazione dell’attività, il contribuente deve entro 30 giorni farne dichiarazione ad uno degli uffici indicati dal comma 1, utilizzando modelli conformi a quelli approvati con provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate“.

Per il comma 6 “le dichiarazioni previste dal presente articolo sono presentate in via telematica secondo le disposizioni di cui ai commi 10 e seguenti ovvero, in duplice esemplare, direttamente ad uno degli uffici di cui al comma 1.

Le dichiarazioni medesime possono, in alternativa, essere inoltrate in unico esemplare a mezzo servizio postale mediante raccomandata, con l’obbligo di garantire l’identità del soggetto dichiarante mediante allegazione di idonea documentazione“.

Per la Corte di Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sul reddito, trovano applicazione, in virtù del principio di unitarietà dell’ordinamento, le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni rinvenuti nel luogo o in uno dei luoghi in cui il contribuente esercita la propria attività, poste in materia di IVA dall’art. 53 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; tali presunzioni, peraltro, non operando in via diretta ed immediata in materia di imposte dirette, non sono da sole sufficienti a giustificare l’accertamento, ma necessitano di ulteriori riscontri, adeguati alla disciplina delle singole imposte; inoltre, trattandosi di presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle c.d. miste, è consentita la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova indicati dall’art. 53 cit., e da quest’ultimo previsti ad evidenti fini antielusivi (Cass., 19 luglio 2006, n. 16483).

Si esclude, dunque, una completa libertà di prova contraria e questo all’evidente fine di contrastare l’elusione della normativa in materia di Iva che potrebbe essere aggirata affidandosi a prove aventi un limitato grado di affidabilità (Cass., 4 febbraio 2015, n. 1976; Cass., 1134/2001; Cass., 7121/2003; Cass., 10947/2002).

La presunzione legale relativa di cessione opera solo se la differenza quantitativa , in negativo, tra beni esistenti nei luoghi indicati e quelli acquistati, importati o prodotti risulti o a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto – differenza inventariale – tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino, di cui all’art. 14, primo comma lettera d del DPR 600/1973 , o di altra documentazione obbligatoria (Cass., 13 giugno 2012, n. 9628).

Presunzioni fiscali e IVA

Pertanto, in tema di IVA, il mancato rinvenimento, nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni risultanti in carico all’azienda in forza di acquisto, importazione o produzione – per esempio, rilevati sulla base di annotazioni provvisorie contenute nelle schede di magazzino – determina l’applicabilità dell’art. 53, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale pone la presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, salvo che il contribuente, su cui incombe la prova contraria, fornisca spiegazioni in merito all’assenza degli stessi in sede di verifica, e non, invece, dell’art. 54, secondo comma, ultimo inciso, del D.P.R. citato, il quale legittima il ricorso al metodo induttivo anche sulla base di presunzioni semplici, purchè siano gravi, precise e concordanti (Cass., 16 dicembre 2011, n. 27195; Cass., 30 luglio 2014, n. 17298).

Per la Corte di Cassazione, invero, in tema di imposta sul valore aggiunto, in virtù della disposizione di cui all’art. 1 del D.P.R. n. 441 del 1997, avente valenza integrativa e ricognitiva della previgente disciplina dettata dall’art. 53 del D.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., 11 agosto 2017, n. 20035; Cass., 15 marzo 2005, n. 5558), la destinazione dei beni in un deposito (non dichiarato) di pertinenza dell’impresa non dà luogo a presunzione di avvenuta cessione, se il “passaggio” in esso è accompagnato da particolari modalità di tenuta della contabilità (bolle, annotazioni negli appositi registri) o da “comportamenti concludenti” tenuti dal contribuente da cui desumere il luogo di destinazione degli stessi beni (Cass., 20 giugno 2008, n. 16838; Cass., 21 marzo 2014, n. 6663; Cass., 15 ottobre 2018, n. 25662; Corte di Cassazione – Sezione Quinta Civile – sentenza n. 1217/2020).

Del resto, anche nella circolare dell’Agenzia delle Entrate del 23-7-1998, n. 193 (regolamento recante norma per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto) si afferma che “va inoltre chiarito che il particolare mezzo di prova consistente nell’esibizione di documentazione di data anteriore a quella della verifica, regolarmente annotata in uno dei registri in uso ai fini Iva, per essere idoneo allo scopo, deve dimostrare due fatti essenziali, diversi fra loro:

  1. che il soggetto dispone di una determinata sede secondaria, filiale, altri locali, ecc.;
  2. che in tale luogo sono stati destinati i beni esattamente individuati e che costituiscono oggetto delle presunzioni di cui è questione. Necessita, pertanto, ad esempio, l’esistenza di un contratto d’affitto regolarmente registrato, da cui risulti la destinazione degli specifici beni, in relazione ai quali potrebbe rendersi operante la presunzione, presso i luoghi suindicati”.

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a cura di Maurizio Villani e Antonella Villani

28 Novembre 2020