Indetraibilità dell'IVA nel settore sanitario: nuovo rinvio alla Corte di Giustizia Europea

L’indetraibilità dell’IVA per i soggetti che operano in ambito sanitario ed effettuano solo operazioni esenti: appare evidente che l’operatore sanitario che non ha potuto detrarre l’IVA sugli acquisti inerenti la propria attività finisca per “scaricare” questo maggior costo sul paziente o comunque su chi fruisce di tali servizi, aumentando il costo finale della sua prestazione.

Chiarimenti della CTP di Parma sulla indetraibilità IVA delle prestazioni sanitarie

La sezione n. 3 della Commissione Tributaria Provinciale di Parma, con l’approfondita ed esaustiva ordinanza n. 432/2020 pronunciata in data 12/10/2020, depositata in data 19/10/2020, ha disposto un nuovo rinvio degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di stabilire se sussiste

“conflitto tra la legislazione nazionale e il diritto comunitario”

nonché

“disparità di trattamento”

in tema di regime IVA in ambito comunitario per effetto dell’inserimento delle prestazioni sanitarie esenti IVA di cui all’art. 10, comma 1, nn. 18 e 19 del D.P.R. n. 633/72 nel calcolo del pro-rata di indetraibilità IVA di cui al combinato disposto dagli artt. 19 comma 5 e 19-bis del D.P.R. 633/72 e la conseguente necessità di armonizzare con gli altri ordinamenti europei.

 

indetraibilità iva settore sanitario

La mancata detrazione dell’IVA produrrebbe infatti l’effetto di considerare l’operatore nazionale (struttura sanitaria pubblica e privata e operatori sanitari) come un consumatore finale del bene o del servizio acquistato nell’esercizio della propria attività, violando in tal modo il principio comunitario della detraibilità dell’imposta e contrastando altresì con le finalità di neutralità dell’IVA e di gravame esclusivo di quest’ultima sul consumatore finale.

La mancata detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti da chi ha effettuato una prestazione esente genererebbe inoltre un’IVA “occulta” che finirebbe per gravare proprio su quel consumatore finale che viceversa la legislazione comunitaria e nazionale intenderebbe tutelare.

Appare infatti facilmente intuibile e consequenziale che l’operatore sanitario che non ha potuto detrarre l’IVA sugli acquisti inerenti la propria attività finisca per “scaricare” questo maggior costo sul paziente o comunque su chi fruisce di tali servizi, aumentando il costo finale della sua prestazione.

 

Il pensiero della Corte di Giustizia Europea

Sul tema la Corte di Giustizia delle Comunità Europee era già stata coinvolta prima d’ora.

In particolare con ordinanza del 13.12.2012 – causa C-560/11 – la Corte si esprimeva omettendo tuttavia di affrontare alcune ulteriori questioni pregiudiziali (la seconda, la terza e la quarta) richieste dal Giudice rimettente.

Dette questioni erano esattamente quelle necessarie per verificare quanto è stato nuovamente invocato dai Giudici della CTP di Parma con ordinanza n. 432/03/2020 e precisamente:

  • stabilire la sussistenza o meno di una disparità di trattamento tra gli operatori sanitari italiani, ritenuti “consumatori finali” (con gravame dell’IVA), e gli operatori sanitari di altri stati membri dell’Unione Europea (Belgio, Bulgaria, Germania, Grecia, Francia e Spagna), ritenuti “operatori intermedi” (con diritto alla detrazione dell’IVA);
     
  • stabilire l’esistenza o meno di una “disparità di trattamento”, relativamente al regime IVA, tra i vari Stati membri dell’Unione Europea, dal momento che a fronte dell’esenzione IVA applicata in Italia, in altri Stati Membri dell’Unione Europea (Belgio, Bulgaria, Germania, Grecia, Francia e Spagna), le medesime prestazioni medico – sanitarie sono invece assoggettate ad IVA, ragion per cui a medesime prestazioni medico – sanitarie corrispondono aliquote IVA differenti e, per l’effetto, un differente diritto alla detrazione;
     
  • e stabilire la sussistenza o meno di una disparità tra gli operatori sanitari italiani e gli operatori di altri Stati Membri dell’Unione Europea (Belgio, Bulgaria, Germania, Grecia, Francia e Spagna) in relazione all’assoggettamento, per questi ultimi, delle proprie prestazioni medico – sanitarie all’imposta sul valore aggiunto e, per l’effetto, a differenza degli operatori sanitari italiani, al correlato diritto alla detrazione e/o rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti.

 

Gli scriventi ritengono che il legislatore italiano sia perfettamente a conoscenza degli effetti negativi a carico del consumatore finale a causa dell’indetraibilità dell’IVA derivante dalla cessione di prodotti e servizi in regime di esenzione, tant’è che in sede di emanazione del Decreto Rilancio ha previsto una specifica deroga al pro-rata di indetraibilità, disponendo contemporaneamente l’esenzione ai fini IVA della cessione dei beni “anti COVID” e la possibilità di detrarre l’IVA corrisposta per l’acquisto di detti beni da parte degli operatori intermedi.

La deroga alla norma conferma ancora una volta come il regime IVA previsto in ambito sanitario sia finalizzato unicamente a garantire un gettito erariale e non a tutelare l’accesso all’assistenza sanitaria al minor costo effettivo possibile.

Si auspica che i Giudici della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, chiamati nuovamente ad esprimere un loro parere in relazione alla disparità di trattamento tra gli operatori sanitari Italiani e i colleghi Europei a causa del gravame che rimane a carico dei primi, possano questa volta entrare nel merito dell’ordinanza di remissione esprimendo un giudizio, senza limitarsi, com’è accaduto prima d’ora, a dichiarare unicamente l’inammissibilità e l’improcedibilità degli atti trasmessi dai Giudici parmensi.

 

A cura di Giuseppe Zambello e Matteo Poli

Sabato 24 ottobre 2020

 

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