Manca una norma specifica circa la deducibilità o meno delle sanzioni amministrative dal reddito di impresa. L’Amministrazione finanziaria si è sempre pronunciata per la loro indeducibilità. Dello stesso avviso anche la giurisprudenza, ancorché non sempre univoca. La dottrina invece è per lo più per la tesi contraria, e quindi per la deducibilità delle sanzioni, essendo la violazione colpita necessariamente inerente alla stessa attività di impresa.
Sanzioni e risarcimento danni: premessa
Manca una norma specifica relativa al trattamento da riservare alle sanzioni amministrative, in sede di determinazione del reddito d’impresa. E per certi versi anche relativamente al risarcimento danni. Sono o no deducibili dal reddito?
Nel tempo si è sviluppato un dibattito che vede contrapposte argomentazioni in favore dell’una o dell’altra tesi.
Ma si ha la sensazione che la questione sia trattata più su un piano etico piuttosto che su un piano prettamente giuridico/economico, come invece dovrebbe essere.
Talvolta paiono prevalere dichiarazioni di principio piuttosto che argomentazioni logiche.
L’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza maggioritaria sono orientate per la negazione della deducibilità delle sanzioni ai fini fiscali; al contrario, la dottrina è spesso pervenuta invece a conclusioni favorevoli circa la rilevanza fiscale delle stesse.
Primariamente, rientrando nell’alveo del reddito di impresa, si deve far riferimento al concetto d’inerenza: le sanzioni, come tutti gli oneri, potrebbero essere deducibili se sostenute in funzione dell’acquisto o dell’utilizzo di fattori produttivi (beni o servizi) funzionali alla produzione di reddito e allo svolgimento della stessa attività d’impresa.
In sintesi, appare necessario verificare se dal comportamento poi sanzionato siano derivati o comunque avessero potuto derivare dei redditi, e in quanto tali tassabili.
La problematica riguarda le sole sanzioni, e non anche gli interessi passivi dovuti alle eventuali dilazioni concesse sul pagamento delle sanzioni medesime.
Infatti gli interessi passivi rappresentano il costo strumentale alla realizzazione della scelta imprenditoriale sulla modalità di utilizzazione delle risorse finanziarie dell’impresa, e sono pertanto indiscutibilmente deducibili.
Diverso è il caso delle sanzioni penali, per le quali esiste invece una specifica normativa di riferimento, che in alcuni casi ne prevede la deducibilità, in altri no[1].
Il nostro intervento ha lo scopo di sollecitare un possibile approfondimento, sul tema, visto che la soluzione comunemente oggi data, indeducibilità tout court delle sanzioni, a nostro avviso non pare avere alcuna giustificazione giuridica, ma forse solo etica.
Sulla base dell’interpretazione comune, la sanzione diventa infatti doppia, piuttosto che sistema premiale, come invece da alcuni sostenuto.
Sanzioni e risarcimento danni deducibili: la tesi dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate considera le sanzioni sempre e comunque estranee all’attività aziendale, in quanto sostiene essere una conseguenza di comportamenti illeciti dell’imprenditore, e perciò interamente indeducibili, a prescindere in ogni caso dalla natura e anche dalla causa generatrice degli stessi.
L’ufficio ritiene che la natura punitiva delle sanzioni verrebbe svilita, trasformandola addirittura in un risparmio d’imposta, qualora fosse riconosciuta la loro deducibilità nella determinazione del reddito di mpresa,
Si tratta di un tema affrontato circa 20 anni fa dall’Amministrazione finanziaria (circolare 17 maggio 2000, n. 98/E e risoluzione 12 giugno 2001, n. 89/E) con riferimento al caso specifico delle sanzioni antitrust, ossia le sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza di cui alla L. 10 ottobre 1990, n. 287.
Si tratta delle sanzioni che l’Autorità garante del mercato e della concorrenza commina qualora rilevi condotte (come, ad esempio, intese restrittive della libertà di concorrenza o abusi di posizione dominante) che compromettono e limitano l’altrui diritto di iniziativa economica tutelato dall’art. 41 della Costituzione, restringendo o falsando il gioco della concorrenza sul mercato.
E gran parte della giurisprudenza e anche della dottrina, ancorchè con esiti in parte discordi, si è occupata di questa specifica tipologia di sanzioni.
L’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, essendo tali oneri dei pagamenti dovuti in virtù di comportamenti illeciti dell’impresa, la rilevanza tributaria degli stessi doveva essere esclusa, non essendo mai riscontrabile una correlazione diretta fra costo e produzione del reddito.
Ha altresì affermato un principio più generale, secondo cui gli oneri sanzionatori di natura punitiva non presentano il requisito dell’inerenza essenziale ai fini della deducibilità fiscale.
Con riferimento al reddito di lavoro autonomo (ma la conclusione è evidentemente estendibile, per analogia, anche al reddito d’impresa), l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto (circolare 20 giugno 2002, n. 55/E) l’indeducibilità delle sanzioni, in quanto si tratterebbe di oneri non funzionali alla produzione del reddito.
Questo era il quesito:
“E’ deducibile dal reddito di lavoro autonomo la sanzione amministrativa comminata dal Ministero del Tesoro a un sindaco di azienda di credito, dottore commercialista in regime di contabilità ordinaria?”
L’Agenzia delle Entrate, nel negare la deducibilità, ha così affermato:
“un costo può essere considerato deducibile dal reddito solo ed in quanto risulti funzionale alla pro