Bitcoin e criptovalute: disciplina fiscale e tributaria

Le criptovalute sono valute estere? Come vanno trattate in dichiarazione dei redditi? Come portano alla compilazione del quadro RW?
Proviamo a dare alcune pratiche risposte ai dubbi fiscali dei detentori di criptovalute in fase di elaborazione del modello Redditi.

Bitcoin e criptovalute: indicazione nel quadro RW

In seguito all’emanazione della nuova normativa i bitcoin e le criptovalute dovranno essere indicati nel quadro RW del modello Redditi PF 2018 se detenuti al di fuori del circuito intermediari residenti, ma non sono assoggettate al pagamento dell’IVAFE.

L’indicazione arriva dalla risposta ad un interpello inoltrato alla Direzione generale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate.

In base alla risoluzione 72/E/2016, l’amministrazione conferma che, in osservanza della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale, anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo RW.

 

Nozione di valuta virtuale

L’Agenzia ricorda che il significato di “valuta virtuale” come stabilito all’articolo 1 del decreto legislativo del 25 maggio 2017:

trattamento fiscale criptovalute dichiarazione redditi

«”valuta virtuale” è la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi è trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente».

 

La Risoluzione dell’Agenzia Entrate n. 72/E del 2 settembre 2016 riferisce che il bitcoin è una tipologia di moneta “virtuale” utilizzata come “moneta” alternativa, la cui circolazione si fonda su un principio di accettazione volontaria da parte degli operatori privati.

I bitcoin non hanno natura fisica, ma digitale e si emettono e funzionano grazie a dei codici crittografici e a complessi calcoli algoritmici.

Su queste premesse la Corte di giustizia dell’Ue, nella sentenza del 22 ottobre 2015, causa C-264/14, ha stabilito che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, fatta in modo professionale ed abituale, costituisce un’attività rilevante oltre agli effetti dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap, soggetta agli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione e di segnalazione.

Quindi, ne consegue che, per quanto riguarda le imposte sul reddito delle persone fisiche che possiedono bitcoin o altre valute virtuali al di fuori delle attività d’impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.

 

La valutazione delle valute virtuali ai fini Irpef

Riguardo all’Irpef la risposta richiama le conclusioni della risoluzione 72/E ribadendo che le valute virtuali, detenute al di fuori del regime di impresa, possono generare un reddito diverso tassabile in base ai principi che regolano le operazioni delle valute tradizionali, previsti dall’articolo 67 del Tuir.

Può essere rilevante ogni conversione di bitcoin con un’altra valuta virtuale realizzata per effetto di una cessione a termine o a pronti se la giacenza media dell’insieme dei cosiddetti “wallet” ossia i portafogli elettronici, detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi.

In questo caso la plusvalenza si dichiara nel quadro RT del modello redditi, liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%.

 

Bitcoin = valuta estera

Per le imprese i bitcoin si considerano alla stregua di valuta estera.

Quindi sebbene non ci sia la specifica necessità di dichiarare quanti se ne posseggono, bisogna però dichiarare tutte le operazioni effettuate come si fa per quelle che avvengono in altre valute (euro, dollaro, o altre).

E questo vale per qualsiasi criptovaluta si utilizzi.

Pertanto dal punto di vista fiscale per le aziende usare bitcoin è come usare euro o dollari: dal punto di vista fiscale, burocratico o amministrativo non cambia assolutamente nulla.

Infatti, un privato cittadino che non svolge attività finanziaria finalizzata all’ottenimento di plusvalenze non deve pagare alcuna imposta, nemmeno qualora riesca a tutti gli effetti a guadagnare.

Le plusvalenze si rilevano solo al momento della vendita dei bitcoin (nel caso dei privati non c’è chiusura di bilancio) pertanto le tasse si devono pagare solo sulle plusvalenze, e solo nel momento in cui li si dovesse vendere generando una plusvalenza (sempre che si superi la soglia di possesso di cui sopra).

In caso invece di privati se manca la finalità speculativa non vengono rilevati redditi imponibili.

Non esiste una vera e propria norma che definisce i criteri da seguire per la tassazione sui bitcoin e le criptovalute tuttavia, si può fare riferimento alla risoluzione n.72/E del 2016 sulle criptovalute e i bitcoin che segue un interpello presentato all’Agenzia delle Entrate.

 

Le imposte si pagano solo sulle eventuali plusvalenze:

  • queste per le imprese vengono rilevate a chiusura di bilancio, o nel momento della vendita di bitcoin;
     
  • i privati cittadini devono pagare le imposte, sempre soltanto sulle eventuali plusvalenze, solo se superano 7 giorni consecutivi di detenzione di bitcoin per un controvalore superiore a circa 51mila
     
  • a seguito dell’approvazione del provvedimento del 10 aprile 2019, relativo all’istruzione del modello dei redditi persona fisica, è stata introdotta una importante novità in tema di monitoraggio fiscale   delle valute virtuali.

 

Quindi i bitcoin devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi.

A seguito dell’approvazione del provvedimento del 10 aprile 2019, relativo all’istruzione del modello 730, è stata introdotta una importante novità in tema di monitoraggio fiscale delle valute virtuali.

 

Le “Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”

trattamento fiscale delle criptovaluteQuest’anno l’Agenzia delle Entrate ha provveduto a specificare per iscritto l’obbligo di inserire nel rigo RW1 nella colonna 3 il codice 14 («Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali»), riferibile al possesso di valute virtuali. Inoltre, le istruzioni specificano ulteriormente che in colonna 4 non si deve inserire il codice «Stato estero».

In merito al controvalore in euro da indicare le istruzioni fanno riferimento al valore della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre utilizzando come cambio quello indicato dal sito dove il contribuente ha effettuato gli investimenti di valuta virtuale, non suggerendo invece una metodologia più «mediata», che prevede una rilevazione più ampia e più aderente all’art. 9 Tuir, che stabilisce le regole della determinazione del «valore normale» (es: media di 3 Exchange e quotazioni nei 30 giorni precedenti a fine anno).

Non tutte le criptovalute rientrano nel monitoraggio.

Si specifica infatti che l’articolo 4, del decreto legge n. 167/190, ha previsto tale obbligo dichiarativo alle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, tra le quali le valute estere.

Ebbene, l’Agenzia partendo dalla presunzione che le valute virtuali (disciplinate dall’articolo 1, comma 2 del d.lgs. n. 213/2007) siano equiparabili alle valute estere si esprime a favore della riconducibilità di tale fenomeno nell’ambito della disciplina del monitoraggio fiscale e ciò stante l’inclusione (in linea con i principi generali indicati nella circolare n. 38/E/2013) delle valute estere tra le attività finanziarie estere.

 

Bitcoin e direttiva antiriciclaggio

Inoltre, la mutata normativa in tema di soggetti abilitati a trattare criptovalute stabilisce che tra gli intermediari residenti rientrano anche le due nuove figure introdotte in occasione della recente modifica alla direttiva antiriciclaggio Ue 2015/849, cioè i «prestatori di servizi di portafoglio digitale» (custodial wallet) e gli exchanger, che nell’ambito del recepimento all’interno della normativa nazionale (d.lgs n. 231/2007), sono stati riuniti nella categoria dei

«prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale», che sono stati identificati come «ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale».

Tuttavia, se l’interpretazione finale dell’Agenzia è questa, si può affermare in buona sostanza che ad oggi dovrebbero essere esclusi dall’obbligo di monitoraggio fiscale e dunque dalla redazione del Quadro RW, tutte le persone fisiche residenti in Italia che hanno disponibilità fisica della chiavetta privata o che hanno effettuato investimenti in valuta virtuale tramite intermediari (Exchange) italiani.

In tale ottica, quindi, i due principali operatori in criptovalute italiani vengono posti in primo piano e in assoluta preminenza nella scelta dell’operatore in criptovaluta al fine di evitare lo spiacevole «Monitoraggio».

Nello scenario italiano infatti riscontriamo che la Società Conio è un custodial wallet riconducibile al Gruppo poste italiane e l’Exchange The Rock trading srl rappresenta il più grande Exchange italiano con sede in Italia partecipato da imprenditori italiani e amministrata da un team iiitaliano.

Entrambi sono perfettamente compliant con le norme italiane e dunque, in base alla interpretazione descritta, permetttono a tutti i contribuenti residenti loro clienti che investono in valute virtuali di ovviare all’obbligo di compilazione del Quadro RW.

 

A cura di Luca Labano

Sabato 4 luglio 2020

 

 

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ARGOMENTI

  1. Il funzionamento delle criptovalute

  2. Il possibile inquadramento giuridico e le esperienze internazionali

  3. Le disposizioni in materia di antiriciclaggio

  4. Le criticità dei documenti di prassi dell’AdE

  5. L’inquadramento tributario

  6. Aspetti contabili nella rappresentazione della detenzione e dell’uso delle criptovalute

  7. Problematiche in tema di monitoraggio fiscale

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