Quando sono penalmente responsabili l’amministratore o il liquidatore della società in caso di omesso versamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto?
Il mancato pagamento dell’IVA può sembrare un’opzione allettante ma nasconde enormi rischi
Omesso versamento IVA: la responsabilità penale dell’amministratore o del liquidatore
L’art. 10-ter, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, recita:
“1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.
Al riguardo, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con sentenza del 21 aprile 2017, n. 47594, ha confermato che
“il reato di omesso versamento dell’IVA si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, sicché è necessario che l’omissione del versamento dell’imposta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento; ciò che rileva è, dunque, l’indicazione nella dichiarazione di un debito Iva e l’omissione alla conseguente e corrispondente obbligazione […]”.
Successivamente, la stessa Sez. III, della Suprema Corte penale, con sentenza del 18 giugno 2019, n. 35193 ha affermato che la mancata corrispondenza del debito dichiarato (superiore alla cd. “soglia”) con quello che risulta dalla contabilità dell’impresa (in ipotesi ad essa inferiore) non assume alcuna rilevanza, in considerazione del fatto che il legislatore fiscale ha configurato il delitto di cui sopra, in base al debito dichiarato e non in base al debito effettivo.
Infatti:
“Le discrasie tra il debito erariale dichiarato e quello effettivo hanno il proprio terreno elettivo nei reati in materia di dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3 e 4, i quali ben possono concorrere con quello di cui all’art. 10 ter”.
Un’eccezione si pone quando il contribuente, ai fini della liquidazione dell’IVA, applica il regime “IVA per cassa” (si veda nota 1).
La predetta eccezione è confermata dalle precedenti sentenze della stessa Sez. III:
- del 23 gennaio 2018, n. 6220;
- del 6 marzo 2013, n. 19099;
- e del 14 ottobre 2010, n. 38619.
Si premette che l’art. 6 comma 2, della L. 29 dicembre 1990, n. 405, ha disposto il pagamento di un acconto dell’IVA in ragione del 65% (poi elevato all’88%, dall’art. 15, del D.L. 22 maggio 1993, n. 155, convertito nella L. 19 luglio 1993, n. 243) del versamento effettuato o che si sarebbe dovuto effettuare con la dichiarazione annuale dell’anno precedente, entro il 27 dicembre.
Pertanto, ritornando all’art. 10-ter, del D.Lgs. n. 74/2000, il termine di versamento dell’IVA dovuta per l’anno N coincide con il 27 dicembre dell’anno N + 1, cioè con la data di versamento dell’acconto dell’IVA dovuto per l’anno successivo a quello per il quale l’imposta non è stata versata.
Quindi, l’applicazione della norma di natura penale (è prevista la reclusione da sei mesi a due anni) è condizionata alle seguenti circostanze:
- mancato pagamento dell’IVA, relativo ad un certo periodo d’imposta che chiamiamo N, per un importo superiore a €
250.000;
- l’individuazione del pagamento omesso avviene con la dichiarazione annuale dell’IVA dell’anno, che è stato indicato come anno N.
Detta dichiarazione deve essere trasmessa, in via telematica, tra il 1° febbraio e il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento, cioè d