Cassazione: Esenzione IVA trasporti su scambi internazionali (con San Marino)

Non sono imponibili Iva i corrispettivi dei servizi di trasporto relativi a beni in importazione dallo Stato di San Marino, già aggiunti al corrispettivo del bene ceduto e inclusi nella base imponibile, a nulla rilevando l’impossibilità di determinare e riscuotere l’imposta per assenza della vigilanza doganale al confine.

trasporto di beni oggetto di scambi internazionaliNon sono imponibili Iva i corrispettivi dei servizi di trasporto relativi a beni in importazione dallo Stato di San Marino, già aggiunti al corrispettivo del bene ceduto e inclusi nella base imponibile, a nulla rilevando l’impossibilità di determinare e riscuotere l’imposta per assenza della vigilanza doganale al confine.

 

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 9219 del 03/04/2019, ha chiarito un rilevante profilo in tema di trattamento Iva su prestazioni accessorie a scambi internazionali.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che ne aveva rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso della società contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento, con cui, relativamente all’anno 2003, era stata contestata la dichiarazione di operazioni non imponibili, aventi ad oggetto prestazioni di trasporto di beni in uscita dallo Stato di San Marino ed ingresso nello Stato italiano, e recuperato l’Iva non versata.

Il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione Tributaria Provinciale, aveva ritenuto non imponibili i corrispettivi dei servizi di trasporto relativi a beni in importazione dallo Stato di San Marino, in quanto già assoggettati ad imposizione, perché, aggiunti al corrispettivo del bene ceduto, erano inclusi nella base imponibile, a nulla rilevando l’impossibilità di determinare e riscuotere l’imposta nella misura prevista dall’art. 69, primo comma, Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633, per assenza della vigilanza doganale al confine.

Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denunciava quindi violazione e falsa applicazione degli artt. 9, primo comma, n. 2, 69 e 71, Dpr. n. 633 del 1972, nonché del principio della doppia imposizione, per avere la sentenza impugnata riconosciuto la non imponibilità delle spese di trasporto dei beni importati, pur in assenza di separata indicazione, sul documento di trasporto, del costo del trasporto medesimo e di controllo sulla tassazione effettuato in dogana per assenza di vigilanza doganale.

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Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l’art. 9, primo comma, Dpr. n. 633 del 1972 prevede che costituiscono servizi internazionali, o connessi agli scambi internazionali non imponibili, tra gli altri, «i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a norma del primo comma dell’art. 69».

Tale ultima disposizione stabilisce che l’imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell’art. 16, al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell’Iva, nonché dell’ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della Comunità che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo.

A livello comunitario, tali disposizioni trovano corrispondenza negli artt. 11, B, paragrafo 3, e 14, par. 1, lett. i), della direttiva 77/388/CE del 17 maggio 1977, oggi 86 e 144 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, secondo cui gli Stati membri esentano dall’Iva le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile.

Pronunciandosi sulla compatibilità delle riferite disposizioni interne con la normativa comunitaria, la Corte di Giustizia, con sentenza del 4 ottobre 2017, ha peraltro affermato che, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto alle prestazioni accessorie, fra cui i servizi di trasporto, è condizione necessaria e sufficiente che il loro valore sia compreso nella base imponibile, non essendo richiesto che tali prestazioni siano state effettivamente assoggettate all’imposta sul valore aggiunto in dogana, all’atto dell’importazione.

Nelle more, il legislatore nazionale ha inoltre approvato una disposizione, inserita, quale comma 4-bis, all’art. 9, Dpr. n. 633 del 1972, secondo cui costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili «i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’articolo 69 del presente decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all’imposta».

Tanto premesso, la Cassazione rileva dunque che, in una situazione quale quella in esame, in cui non era controverso che il corrispettivo della spedizione fosse stato incluso nella base imponibile della prestazione principale, contestando l’Ufficio solo la mancata separata indicazione dello stesso, non sussistevano ostacoli al riconoscimento dell’esenzione dall’Iva.

In linea generale, si evidenzia comunque che una prestazione può essere considerata accessoria ad una prestazione principale quando non ha per colui che la riceve, un’autonoma utilità, ma costituisce il mezzo per fruire del servizio principale offerto dal prestatore.

Per valutare l’accessorietà di una operazione occorre, quindi, che intercorra un nesso di funzionalità necessaria, nel senso che la prestazione che si ritiene accessoria deve assumere una posizione subordinata rispetto a quella principale.

Come infatti anche affermato dalla Corte Comunitaria «in taluni casi, più prestazioni formalmente distinte, che potrebbero essere fornite separatamente e dar così luogo, separatamente, a imposizione o a esenzione, devono essere considerate come un’unica operazione quando non sono indipendenti. Si tratta di un’unica operazione, in particolare, quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo sono strettamente connessi a tal punto da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso. Ciò accade anche nel caso in cui una o più prestazioni costituiscono una prestazione principale, mentre la o le altre prestazioni costituiscono una o più prestazioni accessorie, cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale. Una prestazione dev’essere considerata accessoria e non principale quando non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire al meglio del servizio principale offerto dal prestatore» (sentenza del 16 aprile 2015, Wojskowa Agenda Mieszkaniowa w Warszawie, C-42/14, EU:C:2015:229, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

 

a cura di Giovambattista Palumbo

9 Aprile 2019