Motivazione per relationem e notifica dell'accertamento in caso di dichiarazione congiunta

La motivazione per relationem non è illegittima, soprattutto laddove gli elementi richiamati siano già noti al contribuente, come accade nel caso di atti delle indagini penali, conosciuti, o, comunque, conoscibili dall’indagato raggiunto da ordinanza cautelare. In caso poi di dichiarazione dei redditi congiunta, benchè la moglie possa presentare ricorso, solo il marito ha diritto a ricevere l’avviso di accertamento. E se non vi è un obbligo di notifica dell’avviso, allora non vi è neppure l’obbligo di comunicare al coniuge gli atti che fondano tale avviso. L’avviso di accertamento soddisfa in ogni caso l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere la pretesa nel suo petitum e nella causa petendi, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche disposizioni di legge che si assumono violate

La motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute in un verbale della Guardia di Finanza, non è illegittima, soprattutto laddove gli elementi richiamati siano già noti al contribuente, come accade nel caso di atti delle indagini penali, conosciuti, o, comunque, conoscibili dall’indagato raggiunto da ordinanza cautelare. In caso poi di dichiarazione dei redditi congiunta, benchè la moglie possa presentare ricorso, solo il marito ha diritto a ricevere l’avviso di accertamento.

E se non vi è un obbligo di notifica dell’avviso, allora non vi è neppure l’obbligo di comunicare al coniuge gli atti che fondano tale avviso. L’avviso di accertamento soddisfa in ogni caso l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere la pretesa nel suo petitum e nella causa petendi, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche disposizioni di legge che si assumono violate.

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 18919 del 17/07/2018, ha risolto un contenzioso, in cui erano coinvolti vari profili processuali di interesse, che merita richiamare.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate notificava al contribuente un avviso di accertamento sintetico, sulla scorta di una segnalazione della Guardia di Finanza.

Nella segnalazione della Guardia di finanza, allegata all’avviso di accertamento, sulla base di vari elementi, tra i quali l’attività investigativa della Polizia giudiziaria, intercettazioni telefoniche, sequestri preventivi, ordinanza di custodia cautelare ed interdizione dall’esercizio della professione, dichiarazioni di terzi, etc., si contestava che il contribuente era al “comando” di un gruppo di circa 40 società, anche estere, di sua proprietà, anche se talora intestate a prestanomi, tramite le quali aveva drenato somme di denaro dalle banche, in virtù di finanziamenti ed affidamenti, con emissione di fatture per prestazioni inesistenti.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, mentre la Commissione Tributaria Regionale, in accoglimento dell’appello del contribuente, rilevava, tra le altre, che l’avviso di accertamento era nullo per la mancanza di un’adeguata motivazione, che i documenti non erano stati allegati per la loro “ingente mole”, che non poteva imporsi alla parte, che riceveva un avviso di accertamento con allegato l’atto di polizia giudiziaria su cui esso si fondava, di andare a cercare gli ulteriori allegati e che l’indicazione dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. 600/1973, nella memoria dell’Agenzia dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, costituiva una mutatio libelli.

Avverso tale sentenza proponeva infine ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della Legge n. 212/2000, essendo a suo avviso sufficiente la motivazione per relationem, anche considerato che i documenti richiamati, tra i quali quelli della indagine penale, erano conoscibili dal contribuente, che era stato sentito in merito a tali fatti.

La ricorrente deduceva, poi, la violazione e falsa applicazione degli articoli 37 e 38 del D.P.R. 600/1973, non sussistendo una differenza ontologica e funzionale degli strumenti di indagine istruttoria approntati dagli articoli 37 comma 3 D.P.R. 600 del 1973 e articolo 38 del medesimo D.P.R., entrambi fondati su presunzioni.

Tali motivi, secondo la Suprema Corte, erano fondati.

Evidenzia infatti la Cassazione che l’avviso di accertamento era correttamente e sufficientemente motivato per relationem, con rinvio alla segnalazione della Guardia di finanza allegata all’avviso stesso, anche considerato che, come affermato dall’Agenzia delle entrate, senza contestazione specifica del contribuente, lo stesso aveva poi anche acquisito tutta la documentazione allegata alla segnalazione della Guardia di Finanza, postagli a disposizione dall’Amministrazione finanziaria, con consegna effettuata a mani di un suo delegato.

Per la Suprema Corte la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non era quindi illegittima, avendo l’Ufficio solo inteso realizzare “una economia di scrittura”, che, avuto riguardo alla circostanza che si trattava di elementi già noti al contribuente, non arrecava comunque alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr., Cass. 20 dicembre 2017, n. 30560).

La Suprema Corte, inoltre, rilevava che gli atti delle indagini penali erano conosciuti, o, comunque, conoscibili dal contribuente, che, essendo stato attinto da ordinanza cautelare personale, aveva libero accesso agli atti delle indagini preliminari.

L’ordinanza che applicava la misura cautelare personale, contenente gli elementi che costituivano i gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 comma 1 c.p.p., era infatti stata notificata all’imputato e depositata nella cancelleria del giudice che l’aveva emessa “insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa”.

E un avviso del deposito era stato notificato proprio al difensore dell’imputato, che quindi aveva potuto prendere visione degli atti sia per la difesa dell’imputato nel corso dell’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.c. e sia per redigere la richiesta di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p..

La deduzione del controricorrente in ordine alla mancata conoscenza da parte della moglie del contribuente degli atti del procedimento era inoltre inammissibile, in quanto sollevata per la prima volta solo in sede di giudizio di legittimità.

E, comunque, evidenzia a tal proposito la Corte, in caso di dichiarazione dei redditi congiunta, solo il marito ha diritto a ricevere l’avviso di accertamento, benchè la moglie possa presentare ricorso avverso l’avviso (Cass., 11 gennaio 2018, n. 462).

E se non vi è un obbligo di notifica dell’avviso di accertamento, allora non vi è neppure l’obbligo di comunicare gli atti che fondano tale avviso.

E questo anche considerato che per la Corte costituzionale non v’è lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., in quanto alla moglie è garantita la possibilità di tutelare i propri diritti entro i termini decorrenti dalla notifica dell’avviso di mora, o del diverso atto con il quale venga per la prima volta a legale conoscenza della pretesa avanzata dall’Amministrazione finanziaria in via solidale, e ciò anche al fine di contestare, eventualmente, nel merito l’obbligazione tributaria del coniuge (Corte Cost., 3 maggio 2000, n. 128).

E nel processo in esame, del resto, la moglie, presentando il ricorso unitamente al marito, avendone la legittimazione attiva, si era limitata a condividere le doglianze del marito in ordine alla nullità dell’avviso di accertamento allo stesso notificato, dimostrando di conoscere perfettamente il merito della controversia.

Né, infine, secondo la Cassazione, vi era stata una mutatio libelli, quando l’Agenzia delle entrate, nel corso del giudizio, dopo aver qualificato come sintetico l’accertamento, ai sensi dell’art. 38 comma 4 del D.P.R. 600 del 1973, aveva poi fatto riferimento all’art. 37 comma 3 del medesimo D.P.R., in tema di interposizione.

Infatti, già nell’avviso di accertamento, in virtù del rinvio espresso alla segnalazione della Guardia di finanza allegata, si faceva riferimento alla intestazione fittizia delle quote societaria a soggetti, che, in realtà, non erano che meri prestanome del contribuente, a cui andavano invece riferite le quote nella realtà dei fatti.

L’art. 37 comma 3 del D.P.R. 600 del 1973, del resto, aggiunge la Corte, costituisce una peculiare modalità di dimostrazione della disponibilità dei beni da parte del contribuente, anche se formalmente intestati a società terze, o della effettiva titolarità delle quote societarie, anche se formalmente intestate a meri prestanome.

E, tra l’altro, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere la esatta pretesa della Finanza, individuata nel suo petitum e nella causa petendi, risultando ricostruiti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, senza che sia, a tal fine, necessaria l’indicazione delle specifiche disposizioni di legge che si assumono violate, ne’ la specificazione di tutti gli elementi di prova, che l’Amministrazione finanziaria può produrre nel corso del successivo giudizio.

 

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Giovambattista Palumbo

10 ottobre 2018