Il principio d’inerenza dei costi nell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità

Il principio d’inerenza dei costi rappresenta uno dei pilastri concettuali nella determinazione del reddito imponibile d’impresa. In questo approfondimento – 18 pagine – si esamina la posizione della giurisprudenza di legittimità su tale questione sempre molto dibattuta

La definizione d’inerenza dei costi e la normativa di riferimento

Il principio d’inerenza dei costi rappresenta uno dei pilastri concettuali nella determinazione del reddito imponibile d’impresa.

Esso è individuato nell’109, comma 5, del Tuir (D.P.R. n. 917/1986), il quale dispone che:

  • le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”;
     
  • “se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi imponibili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili, in quanto esenti nella determinazione del reddito, sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi…”.

Pertanto, predetto articolo, detta le regole generali previste per la deduzione delle spese e degli altri componenti negativi dal reddito d’impresa.

In particolare, per espressa disposizione normativa, i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi di reddito, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.

Tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.

Con particolare riferimento al requisito dell’inerenza, le spese e gli altri componenti negativi di reddito diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi (art. 109, co. 5, D.P.R. n. 917/1986).

La prassi ministeriale (Circolare n. 30/9/944 del 07/07/1983 e Risoluzione n. 158/E del 28/10/1998) ha chiarito come il concetto di inerenza non sia legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività di questa e, pertanto, possono essere considerati deducibili anche costi e oneri sostenuti in proiezione futura, quali le spese promozionali e, comunque, quelle dalle quali si attendono ricavi in tempi successivi.

Sul punto, anche la giurisprudenza è unanimemente orientata a richiedere, per la deducibilità dei costi e degli oneri, che gli stessi siano rapportati come causa a effetto nel circuito della produzione del reddito, come vedremo meglio nei paragrafi successivi.

Conseguentemente, possiamo affermare che il giudizio di deducibilità di un costo per inerenza riguarda la natura del bene o del servizio e il suo rapporto con l’attività d’impresa, da valutarsi in relazione allo scopo perseguito al momento in cui la spesa è stata sostenuta e con riferimento a tutte le attività tipiche dell’impresa stessa e non, semplicemente, ex post in relazione ai risultati ottenuti in termini di produzione del reddito.

Con riferimento all’inerenza, autorevole dottrina ha ritenuto che il principio di inerenza non avrebbe un’espressa disciplina nel TUIR ma discenderebbe direttamente dal principio costituzionale di capacità contributiva e che la disposizione dell’art. 109, co. 5, D.P.R. n. 917/1986 si riferirebbe al solo profilo della coesistenza di proventi imponibili ed esenti.

Inoltre, l’accertamento dell’inerenza del costo deve essere condotto tenendo conto delle specifiche condizioni sulle quali si basa la scelta dell’imprenditore, al fine di verificare che il sostenimento del costo medesimo realizzi effettivamente un vantaggio economico per l’impresa.

Invero, l’inerenza rappresenta sia nella determinazione del reddito d’impresa, che in quello di lavoro autonomo, la regola che identifica il necessario collegamento che vi deve essere tra un componente economico e l’attività esercitata.

Pertanto, sulla base di quanto precedentemente illustrato, dal punto di vista fiscale l’inerenza coniuga il principio della capacità contributiva, in quanto la deduzione di un componente negativo di reddito, nella determinazione di quello d’impresa o di lavoro autonomo, interviene direttamente in funzione detrattiva nella determinazione del presupposto da sottoporre a tassazione.

Ciò posto, è corretto rilevare che la possibilità di dedurre i componenti negativi di reddito non rappresenta una norma di favore, ma è legata all’esigenza di misurare la capacità economica del presupposto d’imposizione.

Così, l’inerenza può essere definita come quel collegamento che vi deve essere tra i vari componenti, sia positivi che negativi, con la funzione economica svolta (imprenditoriale o professionale).

Inoltre, i criteri generali per la deducibilità dei costi di esercizio o dei componenti negativi di reddito sono subordinati al rispetto dei principi di competenza, di certezza ed obiettiva determinabilità e di inerenza (ex. art. 109, D.P.R. n. 917/1986).

Da ciò discende che, a livello generale, l’inerenza di un costo è un requisito indispensabile per la deducibilità di un componente negativo dal reddito di impresa, considerando che la mancanza dell’inerenza deve essere individuata, in particolare, in tutte quelle situazioni in cui non si rileva quel necessario collegamento tra il componente negativo di reddito e la logica economica adottata dall’impresa nella sua gestione, finalizzata alla produzione di reddito.

Una delle questioni principali nel giudizio d’inerenza, riguarda la “funzionalizzazione del costo alla produzione” del reddito, o al suo essere un atto di “destinazione” del reddito, al limite di una “liberalità”.

Precisamente, la Suprema Corte, con sentenza n. 10257 del 16 gennaio 2018, afferma che “nel bilancio di un’impresa si debbono distinguere le spese produttive ai fini del reddito – che sono ovviamente detraibili – e quelle in cui si concreta la “spesa” degli utili conseguiti, a fini estranei all’oggetto dell’impresa”.

L’inerenza, infatti, è un concetto da guardare in “negativo”, al fine principale di escludere la deducibilità di spese estranee all’impresa, destinate al consumo personale dell’imprenditore, dei soci e altri terzi.

Infatti, può accadere che vengano veicolate attraverso l’impresa spese di natura privata, sostenute nell’interesse di terzi o dello stesso imprenditore, ma non connesse all’attività d’impresa.

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Avv. Maurizio Villani

Avv. Lucia Morciano

18 luglio 2018

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