Smart working o lavoro agile: la nuova frontiera del lavoro dipendente

il lavoro agile (o smart working nella dizione inglese) da poco disciplinato dalla legge, introduce anche in Italia la possibilità di lavorare in posti e orari diversi rispetto a quelli tipici del lavoro subordinato, allo scopo di consentire una migliore conciliazione tra tempi di vita e lavoro: come funziona nello specifico? Quali sono i requisiti e le modalità per accedere a questa nuova modalità di lavoro?

Commercialista_Telematico_Post_1200x628px_GiornalaioPremessa

Lo smart working o lavoro agile, ossia il lavoro al di fuori dai locali aziendali, espletato con mezzi informatici, è ormai entrato a tutti gli effetti all’interno del mondo del lavoro. Anche in Italia, grazie alla emanazione della Legge 22 maggio 2017 n. 81, è ora possibile introdurre definitivamente tale strumento all’interno dei luoghi di lavoro italiani, al fine di consentire una maggiore possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Dopo la recente entrata in vigore della L. n. 81/2017, a decorrere dal 14 giugno 2017, lo smart-working è così ufficialmente divenuto operativo e disciplinato dalle leggi dello Stato.

Il cosiddetto lavoro agile, destinato ora a essere conosciuto sempre più nella versione inglese “smart working”, e che rappresenta un’evoluzione della già conosciuta versione del “telelavoro”, altro non è che la possibilità per i lavoratori di effettuare la propria prestazione comodamente da casa, permettendo loro di conciliare i tempi di vita e di lavoro. Nonostante la disposizione normativa contenuta nella L. n. 81/2017 sia entrata in vigore da circa tre mesi ancora lo smart working non riesce ad affermarsi in Italia, risultando così in piena contrapposizione con altri Paesi europei in cui tale modalità di agevolare il lavoro giornaliero, risulta essere estremamente utilizzata.

La prima regolazione completa di tale modalità di lavoro si è compiuta però in Italia in tempi estremamente recenti, cosicché appare riduttivo fare una stima dell’effettivo appeal che hanno tali tipologie di attività lavorative, anche in considerazione del fatto che è necessario ancora che tutti i contratti collettivi di lavoro si adeguino alle modifiche introdotte.

La normativa

Il 13 giugno 2017 è stata ufficialmente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 135 la Legge 22 maggio 2017, n. 81 (c.d. Jobs Act Lavoratori Autonomi), recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

Come già sottolinea il titolo della Legge in esame, è chiaro che l’obiettivo è quello di agevolare i lavoratori dipendenti nello svolgimento delle proprie attività, cercando però di contemperare le esigenze di vita privata con quelle di lavoro: ciò significa, in altre parole, permettere tramite un accordo tra le parti, di organizzare il lavoro tra datore e dipendente, come forma di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro, utilizzando degli strumenti tecnologici per lo svolgimento della propria attività. La prestazione viene eseguita in parte nei locali aziendali in parte all’esterno, fermo restando che devono essere rispettati i limiti di durata massima dell’orario di lavoro sia giornaliero che settimanale, derivanti non solo dalla legge ma anche dai contratti collettivi di settore.

Lo smart-working trova la sua regolamentazione e definizione nell’ambito dell’art. 18 (Capo II) della L. n. 81/2017, la quale disciplina tutte le casistiche che in qualche modo vanno a interferire o ad avere qualche ingerenza nello svolgimento di tale attività; gli articoli successivi vanno poi a definire le modalità per accedervi, le modalità di recesso, il controllo e il potere disciplinare, e la loro applicazione nei confronti del prestatore di lavoro, il trattamento che può essere corrisposto al lavoratore, e tutte le disposizioni necessarie per la sicurezza sul lavoro e per l’assicurazione contro gli infortuni e malattie professionali. Come già si può capire da una breve disamina di tutti gli aspetti che sono stati regolati dalla Legge in esame, si può notare come il Legislatore abbia cercato di fornire delle linee guida chiare alle quali anche i contratti collettivi dovranno attenersi nella ulteriore gestione di tali attività di lavoro.

Andiamo a questo punto ad esaminare come funziona lo smart-working.

L’accordo

Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 18 della più volte menzionata legge, lo smart-working può essere attivato tramite un accordo tra le parti, e in questo caso non sarà necessario apporre dei vincoli di orario o di luogo di lavoro, e sarà ovviamente possibile utilizzare degli strumenti tecnologici per svolgere l’attività. Tale attività può essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali, e in parte all’esterno, con il limite dell’orario massimo giornaliero di lavoro e settimanale.

È necessario segnalare inoltre che l’articolo 23 della Legge n. 81/2017 prevede che debba essere stipulato per iscritto un accordo riguardante le modalità precise di svolgimento dello smart-working fermi restando i limiti già segnalati; ma non è tutto, in quanto il primo comma dell’articolo 23 prevede che tale accordo e tutte le modificazioni dello stesso debbano essere oggetto di comunicazione di cui all’articolo 9-bis del D.L. n. 510/1996, convertito con modificazioni dalla L. 608/1996 e ss.mm.: ciò significa che il datore di lavoro debba comunicare telematicamente attraverso il modello UNILAV l’accordo individuale di smart-working, segnalando all’interno dello stesso:

  • orario di lavoro (come detto non ci sono vincoli di orario, ma se presenti vanno considerati);

  • luogo di lavoro (può anche non essere l’abitazione del dipendente, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza);

  • attività lavorativa (organizzata anche per fasi, cicli oppure obiettivi);

  • limiti massimi di orario giornaliero e settimanale;

  • modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro;

  • disciplina dell’utilizzo degli strumenti informatici forniti al lavoratore;

  • i tempi di riposo e modalità attraverso le quali viene garantito il normale tempo di riposo per il dipendente;

  • i comportamenti sanzionabili.

L’accordo deve essere stipulato in forma scritta ai fini probatori, e può essere sia a tempo indeterminato che determinato.

Il recesso

Sempre per quanto riguarda l’accordo, è opportuno segnalare quali sono le modalità attraverso le quali è possibile procedere con il recesso: infatti, nel caso in cui si tratti di rapporto a tempo determinato, può essere attesa la naturale scadenza del contratto, mentre nel caso in cui si tratti di un rapporto a tempo indeterminato il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a 30 giorni; qualora si ravvisi invece un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può comunque recedere prima della scadenza del termine nel caso di rapporto a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.

Nel caso dei lavoratori disabili ex art. 1 della L. n. 68/1999, il termine di preavviso invece è di 90 giorni minimo per il datore di lavoro, al fine di consentire al lavoratore di riorganizzare correttamente il proprio percorso di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura.

La responsabilità datoriale

Il datore di lavoro rimane responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa. È importante notare che rimane in capo al datore di lavoro anche l’onere di concedere a tale tipologia di lavoratori la possibilità di ottenere tutti gli incentivi riguardanti gli incrementi di produttività e di efficienza del lavoro subordinato.

Il datore di lavoro è responsabile anche per quanto riguarda il trattamento economico per il lavoratore che si svolge la propria prestazione lavorativa in smart-working; in particolare, l’articolo 20, L. n. 81/2017 specifica che il lavoratore che svolge la propria prestazione di lavoro in modalità di lavoro agile, deve avere diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni all’interno dell’azienda: ciò significa che il prestatore di lavoro che svolge le proprie prestazioni da casa, ha diritto ad essere retribuito esattamente quanto i colleghi che lavorano all’interno del luogo di lavoro.

Ancora, al fine di eliminare le eventuali possibilità di alienazione ovvero di esclusione del soggetto dal luogo di lavoro, può essere riconosciuto in capo al lavoratore il diritto dell’apprendimento permanente, così come alla periodica certificazione delle competenze, in modalità formali, non formali, o anche informali; ciò si ritiene necessario perché lo smart-working potrebbe avere anche degli svantaggi, derivanti dal fatto che il lavoratore non si trova costantemente aggiornato ovvero incluso all’interno del luogo di lavoro, al punto che ciò potrebbe comportare un minor coinvolgimento del soggetto all’interno dell’attività lavorativa, un minore avvicinamento al team di lavoro, oltre che isolamento e alienazione per quanto riguarda i rapporti sociali sul luogo di lavoro.

Obblighi riguardanti la sicurezza sul lavoro

Rimangono in capo al datore di lavoro anche tutti gli obblighi riguardanti la sicurezza sul lavoro, specificati dall’articolo 22 della L. cit.: infatti, il datore di lavoro garantisce la salute e sicurezza del lavoratore che svolge la propria prestazione con il lavoro agile, consegnando al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, un’informativa nella quale vengono individuati i rischi generali e specifici connessi alla modalità di esecuzione di quel determinato rapporto di lavoro; tale documento deve essere consegnato con cadenza almeno annuale. In materia di salute e sicurezza sul lavoro, si pone un obbligo anche per il lavoratore: infatti egli ha l’obbligo di cooperare con il datore di lavoro per prevenire tutti gli eventuali rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.

Infortuni sul lavoro

Il datore di lavoro inoltre è tenuto a tutelare il lavoratore che si avvale del lavoro agile contro il rischio di infortuni sul lavoro e malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa, anche se resa all’esterno dei locali aziendali, ad essere tutelato contro gli infortuni di lavoro occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa fuori dai locali aziendali (sempre che la scelta sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità di conciliare esigenze di vita con quelle lavorative, e che risponda a criteri di ragionevolezza), nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell’articolo 2 del TU delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, D.P.R. n. 1124/1965 e ss.mm. Ciò significa che il lavoratore avrà tutela “in tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni, […] gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro […]”.

Il potere di controllo

È importante notare inoltre che il legislatore ha deciso di dotare le disposizioni riguardanti il lavoro agile anche di una precisa indicazione riguardante il potere di controllo e disciplinare da parte del datore di lavoro. La problematica non sembra essere di poco conto, e l’inserimento dell’articolo 21 lo conferma: esso ha un ruolo fondamentale per dirimere le eventuali controversie in merito. Infatti, considerato che il datore di lavoro ha in capo a sé stesso un potere di controllo nei confronti del lavoratore – strettamente collegato all’obbligo di diligenza e di fedeltà di quest’ultimo – è opportuno notare che se il lavoratore svolge la propria prestazione lavorativa in un posto diverso dal luogo di lavoro, potrebbe divenire impossibile l’esercizio del diritto del datore di lavoro di verificare che il lavoratore svolga la prestazione con diligenza, correttezza e buona fede.

Proprio per evitare quanto appena detto, l‘articolo 21 della L. 81/2017 specifica che l’accordo relativo alle modalità di lavoro agile deve anche disciplinare l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro, rispettando quanto previsto all’interno dell’articolo 4 della Legge 300 1970 e ss.mm. (in materia di controllo a distanza e videosorveglianza), per cui i lavoratori che svolgono la propria prestazione lavorativa al di fuori dai locali aziendali saranno soggetti a quanto previsto all’interno di tale articolo, sulla base di apposite direttive che saranno specificate dal datore di lavoro all’interno dell’accordo di cui all’art. 18. L’accordo contenente le modalità di esercizio del potere di controllo e del potere disciplinare a seguito di violazione degli obblighi di condotta da parte del dipendente, deve essere fornito al lavoratore all’atto dell’assunzione con l’accordo individuale di lavoro agile. Non sarà così possibile far valere disciplinarmente delle violazioni nei confronti del “lavoratore agile”, qualora non sia specificato all’interno dell’accordo quali sono gli obblighi e le violazioni punibili disciplinarmente, esattamente come accade normalmente nel lavoro privato ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.

Lavoro agile nella Pubblica Amministrazione

È da ricordare che ai sensi del comma terzo dell’articolo 18 della L. n. 81/2017, le disposizioni in questione si applicano non solo lavoro privato ma– finché compatibili – anche ai rapporti alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni di cui articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 e ss. mm., anche ai sensi di quanto previsto dalla recente Legge n. 124/2015. Con specifico riferimento al lavoro pubblico, è opportuno segnalare che è stata pubblicata una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri con la quale si forniscono considerazioni con riferimento alla riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche, e in particolar modo con riferimento alla fissazione di obiettivi annuali per l’adozione del telelavoro e della sperimentazione di nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa quali lo smart-working.

Sulla base di quanto detto, sono state predisposte e pubblicate delle apposite linee guida da utilizzare nel Pubblico Impiego, permettendo in tal modo il raggiungimento degli obiettivi, pur contemperando le esigenze personali dei lavoratori della Pubblica Amministrazione. Tali linee guida sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 17 luglio scorso, e hanno avuto l’obiettivo di introdurre delle misure organizzative sia per l’attuazione del telelavoro che dello smart-working: per quanto riguarda nello specifico tale ultimo strumento, è consentito a ciascuna Amministrazione nell’ambito della propria autonomia organizzativa di individuare delle modalità che possano rendere più facile conciliare esigenze di vita e di lavoro dei pubblici dipendenti, migliorando al contempo la qualità dei servizi erogati.

Le modalità di utilizzo dello smart-working nella Pubblica Amministrazione devono essere comunque con temperate anche con l’esigenza di non avere maggiori aggravi di spesa, ma possono essere svolte quasi con le stesse modalità utilizzate per il lavoro privato, cioè garantendo flessibilità spaziale e temporale della prestazione di lavoro, e individuando eventualmente delle strutture pubbliche quali asili nido e scuole dell’infanzia con cui stipulare delle convenzioni a sostegno della genitorialità. È da notare che le linee guida in questione intendono incentivare l’utilizzo dello smart-working nell’ambito del lavoro pubblico anche attraverso corsi di formazione nei confronti dei dipendenti e dei dirigenti pubblici allo scopo di studiare le varie opportunità che si pongono all’orizzonte per agevolare l’utilizzo di tale modalità di lavoro, e diminuire il cosiddetto “digital divide”.

12 settembre 2017

Antonella Madia