Il calcolo ACE dopo la Manovra Correttiva 2017

l’approvazione della manovra correttiva ha modifciato la normativa e aumentato i dubbi sul calcolo ACE, vediamo: i principi generali del calcolo, l’ACE dei soggetti IRPEF, il problema dell’abuso del diritto, gli acconti di imposta coi nuovi parametri in vigore per il 2017

Spesometro

L’agevolazione ACE (aiuto alla crescita economica), introdotta dall’art. 1 del D.L. 6.12. 2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla L. 22.12.2011 n. 214, consente alle imprese di ottenere un sensibile beneficio fiscale commisurato al rendimento nazionale del nuovo capitale proprio (secondo una percentuale fissata dalle norme per i vari periodi di imposta).

La decorrenza della norma agevolativa venne fissata dal periodo di imposta in corso al 31.12.2011, mentre le disposizioni attuative, anche ai fini antielusivi, sono state emanate con decreto ministeriale del 14.3.2012.

L’art. 1 cc. 549 – 553 della L. 11.12.2016 n. 232 (legge di bilancio 2017) ha modificato la disciplina dell’ACE (art. 1 del DL 6.12.2011 n. 201, conv. L. 22.12.2011 n. 214) sotto diversi aspetti.

Le novità interessano, in particolare, i seguenti profili:

  • modifiche al coefficiente di remunerazione del capitale proprio;
  • eliminazione del regime di favore per le società neoquotate;
  • riduzione della base ACE in ragione degli incrementi delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni;
  • equiparazione delle modalità di calcolo dell’agevolazione per gli imprenditori individuali e per le società di persone in contabilità ordinaria a quelle previste per le società di capitali;
  • introduzione di apposite limitazioni per il riporto delle eccedenze ACE nell’ambito delle operazioni straordinarie.

Più di recente, l’ACE è stata ulteriormente innovata a opera del D.L. n. 50/2017 (c.d. “manovrina” 2017).

Le nuove questioni e criticità (conseguenti sia alla legge di bilancio che al D.L. n. 50) vengono focalizzate nelle pagine seguenti.

Le variazioni rilevanti nel calcolo ACE

L’ACE viene calcolato come variazione della dotazione patrimoniale di un’impresa a scopo di investimento nella stessa da parte dell’imprenditore / dei soci. A tale riguardo è opportuno rammentarne brevemente il funzionamento, per quanto riguarda i soggetti IRES.

La variazione in aumento del capitale proprio che da’ diritto all’agevolazione è sempre quella riferita al capitale esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31.12.2010 (questa data rimane fissa). Tale variazione è costituita dalla somma algebrica, se positiva, degli elementi indicati ai commi 2 e 3 dell’art. 5 del decreto attuativo (D.M. 14.03.2012).

La somma algebrica, dalla quale scaturisce la base ACE, deve quindi essere eseguita tra i seguenti elementi.

ELEMENTI POSITIVI (art. 5, c. 2):

  • conferimenti in denaro versati dai soci o partecipanti nonché quelli versati per acquisire la qualificazione di soci o partecipanti; si considera conferimento in denaro la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società nonché la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale. I conferimenti eseguiti in attuazione di una delibera di aumento di capitale rilevano se tale delibera è assunta successivamente all’esercizio di riferimento (cioè all’esercizio precedente quello in cui si registra la variazione in aumento rilevante ai fini ACE);

  • utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili.

ELEMENTI NEGATIVI (art. 5, c. 3):

  • riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti. Per i soggetti che applicano i principi contabili internazionali la riduzione del patrimonio netto conseguente all’acquisto di azioni proprie rileva nei limiti della variazione in aumento formata dagli utili di cui alla lettera b) del secondo comma. Negli stessi limiti rilevano gli incrementi del patrimonio netto a seguito di cessione di tali azioni.

Secondo quanto precisato dall’art. 11 del D.M., la variazione in aumento (incrementi – decrementi) del capitale proprio non può essere superiore al patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie.

In generale, l’agevolazione consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile il componente negativo derivante dal rendimento nozionale attribuito al finanziamento delle imprese mediante capitale proprio: un rendimento determinato dal l’applicazione di un’aliquota percentuale alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio precedente.

Le modalità di determinazione della base ACE per i soggetti IRPEF sono molto differenti: l’art. 8, c. 1, del D.M. 14.3.2012, afferma che, per le persone fisiche e le società personali, occorre considerare, in luogo della variazione in aumento del capitale proprio, il patrimonio netto risultante dal bilancio al termine di ciascun esercizio.

Le disposizioni antiabuso

L’art. 10 del D.M. 14.03.2012 prevede alcune disposizioni antiabuso, la cui finalità è di evitare, soprattutto nell’ambito dei gruppi societari, effetti moltiplicativi del beneficio. La disposizione richiamata si rivolge ai soggetti IRES e IRPEF che sono controllanti (ex art. 2359 c.c.) di altri soggetti IRES o IRPEF, ovvero che sono controllati, anche insieme ad altri soggetti, dallo stesso controllante.

Si tratta di un controllo di tipo molto ampio, giacché l’art. 2359 c.c. prevede ipotesi anche di controllo non formale (di fatto).

In tali ipotesi, la variazione in aumento del capitale proprio è ridotta dei conferimenti in denaro effettuati, successivamente alla chiusura del periodo d’imposta in corso al 31.12.2010, a favore di soggetti controllati o sottoposti a controllo del medesimo controllante o divenuti tali a seguito di conferimento.

La riduzione deve essere apportata a prescindere dalla sussistenza del rapporto di controllo alla chiusura dell’esercizio. Di conseguenza, la riduzione della base imponibile ACE permane anche se il rapporto di controllo viene meno.

La variazione in aumento, al netto della riduzione di cui all’art. 5, c. 3, del D.M., non ha effetto fino a concorrenza:

  • dei corrispettivi per l’acquisizione di aziende o di rami aziendali già appartenenti ai predetti soggetti;

  • dei corrispettivi per l’acquisizione o per l’incremento di partecipazioni in società controllate già appartenenti ai predetti soggetti;

  • dei conferimenti in denaro da parte di: soggetti non residenti, se controllati da soggetti residenti; soggetti domiciliati in Stati o territori “black list”1;

  • dell’incremento dei crediti di finanziamento nei confronti dei predetti soggetti, rispetto a quelli risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2010 (secondo la relazione introduttiva al decreto attuativo, sono crediti di finanziamento quelli che non sono connessi all’operatività bancaria e finanziaria della società del gruppo che viene finanziata, né derivanti dalla sottoscrizione di titoli di debito; a titolo esemplificativo, tra tali crediti rientrano quelli derivanti da erogazioni in denaro a scopo di mutuo con durata superiore a 18 mesi).

L’intento di questa normativa antiabuso è di evitare la possibilità di effetti moltiplicativi della base ACE (ad esempio, mediante incrementi di capitale agevolati che attraverso successivi conferimenti vadano a incrementare “a cascata” il capitale di altri soggetti, i quali pure ottengano l’agevolazione, o che servano a finanziare l’aumento di capitale utile a generare base ACE in capo ad altri soggetti).

La disapplicazione delle disposizioni antiabuso può essere richiesta dai contribuenti mediante uno specifico interpello, che, per effetto delle innovazioni apportate dal D.Lgs. 14.09.2015, n. 156, è stato riconfigurato come interpello probatorio (art. 11, c. 1, lett. c, legge n. 212/2000). L’interpello ACE, con decorrenza dall’1 gennaio 2016, ha perso il carattere dell’obbligatorietà (superando quindi l’interpretazione precedentemente fornita con circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 2010). La risposta deve essere fornita dall’Agenzia delle Entrate entro il termine di 120 giorni (art. 11, c. 3, legge n. 212/2000).

In caso di mancata presentazione dell’istanza di interpello, i contribuenti sono tenuti a fornire una comunicazione nella dichiarazione dei redditi circa la propria particolare condizione. Il comma 3-quinquies dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 471/1997 (inserito dall’art. 15, c. 1, lett. h, n. 4, del decreto sanzioni D.Lgs. n. 158/2015), individua, nel contesto delle disposizioni volte a punire le eventuali omissioni o incompletezze dei dati della dichiarazione, una sanzione fissa (da 2.000 a 21.000 euro) applicabile nei casi in cui il contribuente non abbia provveduto a effettuare le segnalazioni richieste.

L’impatto della legge di bilancio

Le modificazioni contenute nella legge di bilancio 2017 erano, in sintesi, le seguenti (prima delle recenti innovazioni del D.L. n. 50/2017):

  • sostituzione dei commi 2 e 3, e abrogazione del comma 2-bis2, dell’articolo 1 del D.L. n. 201/2011: dall’ottavo periodo di imposta l’aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio era fissata al 2,7%; in via transitoria, per il primo triennio di applicazione, l’aliquota era fissata al 3%; per i periodi di imposta in corso al 31.12.2014, al 31.12.2015, al 31.12.2016 e al 31.12.2017, l’aliquota era fissata, rispettivamente, al 4% cento, al 4,5%, al 4,75% cento e al 2,3%;
  • inserimento nello stesso articolo del nuovo comma 6-bis, per effetto del quale, come sopra anticipato, per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31.12.2010;
  • sostituzione del comma 7 con la previsione che art. 1 si applichi anche al reddito di impresa di persone fisiche, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria3;
  • previsione che, in deroga allo Statuto del contribuente, la disposizione antielusiva riferita agli incrementi di capitale contestuali agli incrementi dei titoli e quella sull’accesso all’ACE per imprenditori individuali e società di persone si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data del 31.12.2015;
  • previsione che le disposizioni di attuazione del comma 4 possono essere definite con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze da emanarsi in sostituzione del D.M. 14.03.2012 (che finora ha regolamentato l’agevolazione anche per quanto attiene agli aspetti antiabuso);
  • previsione che, per le imprese individuali e per le società personali, a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data del 31.12.2015, assuma rilevanza come incremento di capitale proprio la differenza fra il patrimonio netto al 31.12.2015 e il patrimonio netto al 31.12.2010.

Il comma 7 dell’articolo ha definito le modalità di determinazione dell’acconto per l’anno d’imposta 2017: ai fini dell’IRES il calcolo dell’acconto è effettuato considerando, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui al comma 4 (cioè, sembra, considerando le nuove aliquote decrementate).

 

Le successive modifiche del D.L. n. 50 convertito: il calcolo ACE dopo la Manovra Correttiva 2017

Al riguardo deve essere evidenziato che le aliquote previste dalla legge di bilancio sono superate, dato che il D.L. 24.4.2017, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 (art. 7), le ha ulteriormente ridotte per gli anni a venire.

È infatti ora stabilito che:

  • per il periodo di imposta in corso al 31.12.2016, l’aliquota ACE rimanga al 4,75%;
  • per il periodo di imposta 2017, passi all’1,6%;
  • a partire dal periodo di imposta 2018, si fissi la nuova aliquota a regime dell’1,5%.

Anche le previsioni in materia di determinazione dell’acconto 2017 sono state aggiornate dal D.L. n. 50/2017. Il senso rimane il medesimo, ma l’aliquota ACE da applicare nel calcolo dell’acconto dovuto sarà quella ulteriormente ribassata dell’1,7% (in luogo di quella del 2,3% prevista per il periodo di imposta 2017 dalla legge di bilancio).

Società di persone e imprese individuali

L’intervento probabilmente più significativo della legge n. 232/2016 è rappresentato dall’equiparazione delle regole di calcolo dell’ACE per gli imprenditori individuali e per le società di persone in contabilità ordinaria a quelle previste per le società di capitali.

Il problema è costituito dal fatto che, in via transitoria, per il 2016, la determinazione della nuova base ACE per questi soggetti deve ora combinare le regole IRPEF con le regole IRES, cioè un sistema di calcolo fondato sul semplice raffronto tra i patrimoni netti di due periodi di imposta (2015 – 2010) e un sistema differente, che tiene conto di una serie di operazioni incrementative e decrementative.

Sul sistema di determinazione dei soggetti IRPEF ai fini dell’ACE, soccorre l’interprete la relazione illustrativa del D.M. 14.3.2012.

Sulla base di tale documento, “… si assume quale entità agevolabile agli effetti dell’ACE il patrimonio netto risultante al termine di ciascun esercizio. Nessuna rilevanza assume, pertanto, la variazione del capitale proprio di cui all’art. 5 del presente decreto; il mancato richiamo di tali regole è frutto di una precisa scelta operata al fine di dare diretta rilevanza all’entità contabile del patrimonio netto cosi come esistente alla chiusura dell’esercizio. In conseguenza di tale scelta, tutto il patrimonio netto contabile costituirà la base su cui applicare il rendimento nozionale, non assumendo alcun rilievo che si tratti di capitale di vecchia formazione (vale a dire, risultante dall’esercizio 2010) ovvero di nuova formazione, anche derivante da apporti in natura. Il riferimento al patrimonio netto include anche l’utile dell’esercizio; ovviamente tale entità va considerata al netto di eventuali prelevamenti in conto utili effettuati dall’imprenditore o dai soci. Rilevano, altresì, tutte le riserve di utile, a nulla influendo le specifiche disposizioni sul punto applicabili alle società di capitali e agli enti commerciali. Si tratta di una scelta dettata anche da esigenze di semplificazione in considerazione della estrema complessità che sarebbe derivata dall’applicazione ai soggetti IRPEF di regole analoghe a quelle previste per le società di capitali. Resta ferma l’applicazione delle disposizioni antielusive dell’art. 10, in quanto compatibili”.

L’Assonime (circolare n. 17 del 7.6.2012, paragrafo 5) ha ribadito questi principi affermando che: “… l’ACE si applica prendendo in considerazione, ai fini dell’individuazione del capitale agevolabile, non già gli incrementi del capitale proprio, ma solo lo stock del patrimonio netto contabile così come risultante al termine di ciascun esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010 (art. 8 del decreto attuativo).

Naturalmente, il patrimonio netto contabile viene quantificato al netto non solo dei prelevamenti e delle distribuzioni effettuate in favore dei soci o dell’imprenditore ma anche delle perdite subite, mentre rilevano tutte le riserve di utili.

Ai fini della determinazione della base ACE dei soggetti IRPEF, tuttavia, la regola di assunzione diretta del patrimonio netto contabile di fine esercizio va coordinata con la previsione espressa che fa salva, comunque, l’applicazione delle norme antielusive specifiche previste dall’art. 10 del decreto attuativo. Il primo comma dell’art. 10, infatti, stabilisce che le disposizioni dei successivi commi operano anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 8 del decreto, ossia dei soggetti IRPEF e ciò comporta che l’importo del patrimonio netto contabile di fine esercizio debba essere eventualmente ridotto in misura corrispondente ai componenti presi in considerazione da tali disposizioni. Per questo motivo, ad esempio, una società di persone che effettui conferimenti di denaro in favore di una propria società controllata dovrebbe vedersi corrispondentemente ridotta la base ACE di riferimento”.

 

La nuova ACE delle imprese IRPEF

Testualmente, la legge di bilancio 2016 (art. 1, c. 552) stabilisce che: “per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come sostituito dalla lettera e) del comma 550 del presente articolo4:

a) per il periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2015, rileva, come incremento di capitale proprio, anche la differenza fra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010;

b) a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019, rileva, come incremento di capitale proprio, anche la differenza fra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre del quinto periodo d’imposta precedente a quello per il quale si applica detto articolo 1”.

Ciò significa, in sostanza, che:

  • l’applicazione dell’ACE è ora estesa anche agli imprenditori individuali e alle società di persone, senza più alcun rimando alle modalità speciali previste dal D.M. 14.3.2012 (che legavano la base ACE al patrimonio netto al termine dell’esercizio, e non alle variazioni del capitale proprio);
  • opera una nuova previsione, per effetto della quale per i soggetti IRPEF rileva, come incremento di capitale proprio, anche la differenza tra il patrimonio netto al 31.12.2015 e quello al 31.12.2010.

A seguito dell’intervento della legge di bilancio, le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria dovranno applicare le regole previste per le società di capitali.

La base ACE di questi soggetti è ora rappresentata dalla somma algebrica di una componente statica, rappresentata dalla differenza tra il patrimonio netto al 31.12.2015 e il patrimonio netto al 31.12.2010, e di una componente dinamica, rappresentata dagli incrementi netti registrati dopo il 31.12.2015, calcolati secondo le regole delle società di capitali.

 

Come effettuare il calcolo ACE?5

Per le società di capitali, l’art. 1, c. 2, del D.L. n. 201/2011 prevede che il dato sul quale poi apportare le variazioni in aumento o in diminuzione previste per l’ACE sia rappresentato dal patrimonio netto contabile esistente alla chiusura del periodo d’imposta in corso al 31.12.2010 (al netto dell’utile di esercizio).

Per le società di persone è invece necessario guardare al menzionato art. 1, c. 552, della legge n. 232/2016, secondo cui “rileva, come incremento di capitale proprio, anche la differenza fra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010”.

Dovendo effettuare il calcolo per il 2016, per i non soggetti IRES non è necessario ricostruire le variazioni intervenute tra l’1 gennaio 2011 e il 31.12.2016 (come invece, accade per le società di capitali). Occorre invece:

  • assumere come dato fisso la differenza tra il patrimonio netto 2015 e il patrimonio netto 2010;
  • a questo dato fisso aggiungere (o sottrarre, a seconda dei casi) gli incrementi o i decrementi netti rilevati nel 2016.

La norma non precisa se il patrimonio netto 2015 e il patrimonio netto 2010 debbano essere assunti al netto o al lordo dei relativi utili d’esercizio. Nel primo caso, rileva come variazione in aumento l’accantonamento dell’utile 2015 (effettuato nel 2016); nel secondo, l’utile 2015 fa già parte della componente statica.

 

In merito al calcolo dell’ACE per le imprese in contabilità ordinaria soggette ad IRPEF, secondo alcuni interventi apparsi su testate specialistiche, nel patrimonio al 31.12.2015 dovrebbe essere compreso anche l’utile di tale anno, poiché la norma (art. 1, comma 552, legge n. 232/2016) non ne prevede l’esclusione. La stessa regola dovrebbe essere applicata per il patrimonio netto relativo all’ultimo anno, al fine di rendere il calcolo omogeneo.

Se i soggetti interessati adottavano il regime di contabilità semplificata in anni successivi al 2010, la differenza (secondo quanto è stato precisato nella relazione introduttiva) deve essere calcolata tra il patrimonio netto al 31.12.2015 e quello dell’esercizio in cui è avvenuto il passaggio al regime di contabilità ordinaria.

Sembra coerente, a livello sistematico e in considerazione della formulazione delle norme in rassegna, ritenere che il dato “fisso” PN 2015 – PN 2010 sia in blocco soggetto alle regole previgenti relative ai soggetti IRPEF “aceabili”. Si dovrebbe quindi ritenere che il confronto vada effettuato tra i due patrimoni netti includenti l’utile di esercizio, ma al netto di eventuali prelevamenti in conto utili effettuati dall’imprenditore o dai soci (come afferma la succitata relazione introduttiva al D.M.).

Insomma:

  • il dato fisso (PN 2015 – PN 2010) includerebbe l’utile di esercizio;
  • il dato relativo agli incrementi e decrementi 2016 richiede un calcolo uguale a quello effettuato per i soggetti IRES, e quindi non includerebbe l’utile di esercizio.

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