Assegnazione beni ai soci: è più conveniente il valore catastale o quello normale?

I contribuenti e i consulenti devono valutare anche la convenienza delle assegnazione di beni ai soci: la scelta fra valore catastale o valore normale deve tenere conto anche delle prospettive future dei beni assegnati.

In piena campagna dichiarativa i contribuenti e i consulenti sono tenuti a valutare anche la convenienza delle assegnazione beni ai soci.

Devono essere valutate le opportunità offerte dal legislatore beneficiando, in presenza dei relativi presupposti, della riduzione degli oneri fiscali.

Una di questa opportunità è rappresentata dall’assegnazione agevolata dei beni d’impresa la cui disciplina è contenuta dall’articolo 1, commi da 115 al 120, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità del 2016).

La principale richiesta (ed obiettivo) dei contribuenti riguarda la possibile riduzione degli oneri fiscali dovuti all’atto dell’assegnazione, ma nel valutare la convenienza dell’operazione deve essere effettuata anche una valutazione prospettica.

La legge sulle assegnazioni attribuisce la possibilità di determinare il valore dei beni oggetto dell’operazione ricorrendo al valore catastale che, solitamente, risulta ben inferiore rispetto al valore normale. In questo caso la scelta e la richiesta, diversamente dal meccanismo conosciuto come “prezzo valore” e applicabile nel caso di acquisto di fabbricati a destinazione abitativa, deve essere effettuata dalla società assegnante tenuta al versamento dell’imposta sostitutiva.

La determinazione del valore di assegnazione sulla base dei dati catastali risulta solitamente più conveniente, ma non sarà sempre così.

Si consideri ad esempio l’operazione di assegnazione di un immobile abitativo il cui costo ammonta a 30.000 euro.

Il valore catastale è pari a 200.000 euro, mentre il valore normale (non determinato su base catastale) ammonta a 500.000 euro.

La società assegnante, avendo scelto il valore catastale, determinerà la plusvalenza pagando l’imposta sostitutiva sulla base imponibile di 170.000 euro (200.000 – 30.000 euro).

In questo caso l’onere tributario, pari all’8%, ammonterà a 13.600 euro.

Viceversa, se la plusvalenza fosse stata determinata in base al valore normale, la base imponibile sarebbe pari a 470.000 euro e l’onere tributario da versare sarebbe risultato pari a 37.600 euro.

Conseguentemente la scelta di far valere il valore catastale determinerebbe un risparmio di imposta pari a 24.000 euro.

E’ necessario però avere una visione prospettica e, ove possibile, verificare prima di procedere all’operazione di assegnazione, le intenzioni del soggetto assegnatario.

Se, dopo aver ricevuto l’immobile, il soggetto assegnatario persona fisica dovesse procedere alla vendita del bene senza far decorrere il periodo di monitoraggio di cinque anni, sussisterebbe il concreto rischio di realizzare una plusvalenza tassabile.

L’art. 67, c. 1, lett. b, del TUIR qualifica come redditi diversi “

le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari…”.

Conseguentemente, se da una parte la determinazione del valore di assegnazione in base al dato catastale consente di minimizzare la tassazione in capo alla società (con l’applicazione dell’imposta sostitutiva), dall’altra la realizzazione del plusvalore in capo alla persona fisica assegnataria vanificherà completamente il beneficio fiscale.

Si consideri, ad esempio il caso in cui l’assegnatario dovesse successivamente vendere l’immobile a 500.000 euro. La plusvalenza dovrà essere determinata effettuando la differenza tra il corrispettivo di 500.000 euro ed il valore catastale di partenza (di assegnazione) pari a 200.000 euro. Il plusvalore sarà così pari a 300.000 euro.

Ipotizzando ancora che il cedente opti per l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 20 per cento sulla plusvalenza, l’onere fiscale sarà pari a 60.000 euro. In buona sostanza, considerando l’operazione di assegnazione nel suo complesso (assegnazione e successiva cessione), se da una parte la società ha risparmiato (scegliendo il valore catastale) 24.000 euro, la persona fisica che successivamente ha venduto l’immobile ha dovuto sostenere un onere di 60.000 euro.

Il maggior onere complessivo ammonta a 36.000 euro (60.000 – 24.000 euro).

In alternativa la società avrebbe potuto scegliere in sede di assegnazione dell’immobile di determinare la plusvalenza partendo dal valore venale di 500.000 euro. In tale ipotesi l’imposta sostitutiva dell’8 per cento a carico della società avrebbe dovuto essere applicata su 470.000 euro (500.000 euro – 30.000 euro).

L’onere fiscale (l’imposta sostitutiva) sarebbe risultato pari in questo caso a 37.600 euro. L’aggravio rispetto alla scelta del valore catastale è di 24.000 euro, ma la maggiore tassazione sarebbe stata ampiamente compensata dal risparmio che si sarebbe realizzato nel caso di vendita da parte della persona fisica.

In questo caso il valore di assegnazione è pari a 500.000 euro ed è in grado di azzerare la plusvalenza effettuando (la persona fisica assegnataria) una vendita di pari importo. In questo caso il risparmio è di ben 60.000 euro in parte controbilanciato dall’aggravio di 24.000 euro, ma l’operazione, considerata nel suo complesso, determinerà un risparmio della tassazione pari a 36.000 euro.

Per tale ragione le scelta da effettuare in sede di assegnazione devono essere considerate avendo riguardo ad una visione prospettica.

 

19 luglio 2017

Nicola Forte