La Cassazione ribadisce che possedere una casa nello stesso comune, anche in comunione ordinaria con il coniuge, impedisce di accedere alle agevolazioni per la prima casa finché dura la convivenza. Anche una quota minima può precludere il beneficio. L’acquirente può ampliare o unire abitazioni esistenti per conservare l’agevolazione, ma occorrono tempistiche precise e documentazione a supporto. Inoltre è trattato il caso dell’idoneità abitativa della casa precedente.
Prima casa e comunione con il coniuge: stop alle agevolazioni finché dura la convivenza
Possedere una casa nello stesso comune in comunione col coniuge, anche ordinaria, impedisce di usufruire delle agevolazioni prima casa finché persiste la convivenza.
La Cassazione in questi ultimi mesi è intervenuta più volte sull’interpretazione delle norme che disciplinano le agevolazioni per l’acquisto della prima casa.
Sappiamo che per goderne, e abbattere l’imposta di registro dal 9% al 2 % o l’IVA dal 10% al 4%,
– oltre a risiedere nel comune
– o obbligarsi a farlo nei 18 mesi, (art 1 tariffa I, nota II bis comma 1, lett. a)
– occorre non avere altre case per cui si sia goduto delle stesse agevolazioni (lett. c)
– e non averne, anche non agevolate, nello stesso comune, purché in titolarità esclusiva o, “in comunione col coniuge” (lett. b).
La norma non precisa che debba trattarsi di comunione legale (come fa invece alla lett. c) e la sentenza di pochi giorni fa, Cassazione 3 settembre 2025, la interpreta restrittivamente: basta essere in comproprietà, anche ordinaria, col coniuge, e le agevolazioni si possono scordare.
La Cassazione prende le distanze da alcuni suoi precedenti (Cassazione n. 9647/1999; 10984/2007), che motivavano l’estensione con l’inidoneità