L'efficacia del giudicato esterno sull'accertamento sintetico

analizziamo il valore che può assumere il giudicato esterno a tutela del contribuente in caso di processo che parte da un accertamento sintetico

valutazioniLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14509 del 15.07.2016, ha espresso considerazioni che meritano un approfondimento.

Nel caso di specie la CTR rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della CTP, che aveva confermato la legittimità della rettifica del reddito operata dall’ufficio, con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, comma 4, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in ragione del riscontrato possesso di beni ed elementi ritenuti indicativi di maggiore capacità contributiva (un’autovettura di 20 cavalli fiscali e un’abitazione adibita a residenza secondaria, della superficie di 150 metri quadri), nonché dell’attribuzione per la quota di un quinto del maggior reddito presuntivamente calcolato sulla base di spese per incrementi patrimoniali sostenute dalla contribuente.

I giudici di secondo grado ritenevano fondata e assorbente l’eccezione di giudicato esterno opposta dall’ufficio appellato con riferimento alla sentenza di rigetto del ricorso proposto avverso avviso di accertamento emesso, sulla base degli stessi elementi, con riferimento all’anno d’imposta precedente.

Secondo la CTR infatti il giudicato contenuto nella sentenza riguardava quegli stessi presupposti e, quindi, rendeva non più contestabili gli elementi costitutivi della pretesa tributaria anche per gli anni successivi, non rilevando in contrario il principio dell’autonomia dei periodi di imposta.

Avverso tale sentenza la contribuente proponeva allora ricorso per cassazione, denunciando, tra le altre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., e censurando, sotto vari profili, l’attribuzione di efficacia di giudicato alla sentenza separatamente pronunciata con riferimento ad avviso di accertamento emesso, sulla base dei medesimi presupposti, con riferimento ad altro anno d’imposta.

Rilevava infatti la ricorrente che tale giudicato non riguardava alcuna qualificazione giuridica della fattispecie, né alcun presupposto suscettibile di acquisire rilevanza duratura e permanente nella produzione dei redditi della contribuente, essendosi formato esclusivamente sulla valutazione di insufficienza probatoria degli elementi in quella sede dedotti dalla contribuente per contrastare la presunzione dì maggior reddito nell’anno 2000.

Il giudicato riguardava quindi esclusivamente una valutazione probatoria, come tale insuscettibile di precludere una diversa valutazione in altro processo e comunque la CTR aveva presupposto un inesistente rapporto di pregiudizialità/dipendenza tra obbligazione di imposta determinata in via definitiva per l’anno 2000 e quella relativa all’anno seguente, laddove, peraltro, l’accertamento caduto in giudicato aveva riguardato un evento, rappresentato dagli investimenti patrimoniali effettuati nell’anno 2002, che poteva al massimo considerarsi quale elemento incidente sulla capacità contributiva della contribuente, restando quest’ultima comunque un fatto variabile di periodo in periodo.

In conclusione il contenuto precettivo del giudicato, separatamente formatosi, era necessariamente circoscritto nei limiti del mancato superamento da parte della contribuente, per l’anno 2000, della presunzione di maggior reddito e non escludeva che la prova contraria alla presunzione del maggior reddito potesse ragionevolmente essere offerta con riferimento ad altri anni di imposta.

Nel decidere sul ricorso così proposto, la Corte evidenzia che tutte le censure ripropongono la questione dei limiti nel processo tributario dell’istituto del giudicato esterno.

E per affrontare il tema i giudici di legittimità richiamano allora i principi affermati dalle sezioni unite con la sentenza n. 13916 del 16/06/2006, laddove la Corte ha affermato che:

«qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo»; e «tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato».

La Corte ha poi precisato che:

  1. il processo tributario non è un giudizio sull’atto (da annullare), ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed è quindi un giudizio che inevitabilmente si estende al merito e, dunque, anche all’accertamento del rapporto;

     

  2. si deve pertanto escludere che il giudicato (salvo che il giudizio non si sia risolto nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione) esaurisca i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e se ne deve ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili, nei limiti della «specificità tributaria», da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile;

     

  3. se è vero che l’autonomia dei periodi d’imposta comporta l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori del periodo considerato, è altrettanto vero che una siffatta indifferenza trova ragionevole giustificazione solo in relazione a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo: ma ben vi possono essere elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie per una pluralità di periodi di imposta.

Tra questi: le qualificazioni giuridiche (che individuano vere e proprie situazioni di fatto) di «ente commerciale», «ente non commerciale», «soggetto residente», «soggetto non residente», «bene di interesse storico- artistico»…, assunte dal legislatore quali elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell’obbligazione per una pluralità di periodi d’imposta (a valere, cioè, fino a quando quella qualificazione non sia venuta meno fattualmente, come, ad esempio, in caso di trasformazione dell’ente non commerciale in ente commerciale, o normativamente).

In conclusione, oltre alla pacifica esclusione, in radice, della configurabilità del giudicato esterno in relazione a controversie relative ad imposte diverse, nonché a quelle concernenti l’IVA quando ciò impedisca il contrasto dell’abuso del diritto (in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia), si è dunque precisato che la sentenza del giudice tributario, che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta, fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore «condizionante», inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicché, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorché siano coinvolti tratti storici comuni (ex plurimis, Cass. nn. 22941 del 2013, 1837 del 2014).

Inoltre, è stato affermato che l’efficacia preclusiva del giudicato esterno trova ostacolo in relazione alla «interpretazione giuridica» della norma tributaria, ove intesa come «mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto», poiché detta attività non può mai costituire un limite alla valutazione da farsi da parte di altro giudice (Cass. n. 23723 del 2013).

Altro tassello del quadro giurisprudenziale da tener fermo è infine quello rappresentato dalla pronuncia di Cass., Sez. 5, n. 4832 del 11/03/2015, che ha puntualizzato che:

  1. l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, IVA, vari tributi locali, ecc.), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta, ed in cui l’elemento della pluriennalità, come affermato dalle sezioni unite nella citata sentenza, costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d’imposta in una sorta di maxiperiodo: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa. E a tali casi può equipararsi quello in cui l’accertamento concerna la qualificazione di un rapporto contrattuale ad esecuzione prolungata (come nel caso deciso dalla citata Cass. n. 25762 del 2014);

  2. al di fuori di dette ipotesi, va esclusa l’efficacia estensiva del giudicato; e ciò anche per quelle fattispecie che le sezioni unite definiscono “tendenzialmente” permanenti (come le “qualificazioni giuridiche“), ma che, proprio per essere tali, ben possono variare di anno in anno e delle quali, quindi, per ciascun anno va accertata la persistenza (la natura di un ente può essere “commerciale” in un anno e non in un altro, un soggetto può essere “residente” in un anno e poi perdere tale requisito…): del resto, la stessa sentenza delle sezioni unite precisa che l’efficacia preclusiva del giudicato opera “fino a quando quella qualificazione … non sia venuta meno fattualmente o normativamente“, il che equivale a dire che il giudice tributario deve comunque accertarne l’esistenza in relazione all’annualità d’imposta in considerazione, senza essere vincolato da un giudicato concernente un periodo diverso.

Tanto premesso, venendo quindi al caso di specie (sussistenza ed eventualmente dei limiti dell’efficacia espansiva del giudicato esterno formatosi sul rigetto di ricorso proposto avverso avviso di accertamento fondato sulla presunzione di maggior reddito derivante dalla spesa per incremento patrimoniale, rispetto alla controversia relativa all’impugnazione di distinto avviso emesso per altro anno d’imposta sulla base del medesimo elemento indiziario, ossia della stessa spesa per incremento patrimoniale, in quanto per legge a base di una presunzione di maggior reddito spalmabile nell’anno in cui essa è sostenuta e nei quattro precedenti) i giudici di legittimità evidenziano che vi era la presenza di un fatto (la spesa per incremento patrimoniale) avente, per legge, efficacia pluriennale (con la conseguenza che, pur essendo unico, produce effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta, ed in cui l’elemento della pluriennalità costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d’imposta in una sorta di maxiperiodo) e che, però, da un lato tale fatto si caratterizza per indirizzare detti effetti non al futuro ma in direzione retrospettiva e in misura parcellizzata o frazionata anno per anno, e dall’altro concorre

potenzialmente con altri elementi, di segno opposto, in grado di paralizzarne o neutralizzarne in tutto o in parte gli effetti; elementi che non hanno analoghi caratteri di permanenza e durata nel tempo, ma sono anzi suscettibili di variare anno per anno.

La norma di cui all’art. 38, c. 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, vigente ratione temporis, stabiliva infatti che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti, dettando una presunzione (iuris tantum) di favore per il contribuente, per cui la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’ufficio si considera sostenuta dal contribuente con redditi conseguiti non nel solo anno in cui la spesa risulta effettuata (e in misura pari al suo intero ammontare), ma già a partire dai quattro anni precedenti in misura costante (e ovviamente minore) pari a un quinto dell’esborso, per ciascun anno.

Tale disciplina implica dunque necessariamente che, per ciascuno dei detti anni, la spesa per incremento patrimoniale autorizza la determinazione sintetica di maggior reddito, ma lascia intatti, per ciascun anno, la facoltà e l’onere per il contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, con documentazione idonea a comprovare l’entità di tali redditi e la durata de/loro possesso.

Nella prospettiva quindi del rapporto tra giudicato formatosi sulla controversia relativa all’accertamento condotto su detta base con riferimento ad uno dei cinque anni d’imposta potenzialmente interessati da detta presunzione e giudizi relativi agli altri anni d’imposta, secondo la Corte, possono prospettarsi tre ipotesi.

  1. Il contribuente prova (nel giudizio relativo all’accertamento condotto per uno dei cinque anni coperti dalla detta presunzione) di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare superiore non solo alla quota di maggior reddito presunta per quell’anno ma all’intero esborso, per essere ad esempio quei redditi (pur conseguiti in un solo anno) superiori alla spesa per incremento patrimoniale, e di averli posseduti fino alla data dell’esborso, riuscendo così a giustificarlo per la sua interezza.
    Tale prova priverà allora di fondamento la presunzione di maggior reddito in ipotesi fondata su quella spesa non solo per l’anno oggetto dell’accertamento impugnato, ma anche per gli altri anni cui la presunzione si estende, integrando a ben vedere quella prova contraria che la norma consente sia data al fine di superare la presunzione.
    Né sarà dubitabile che, in tal caso, il giudicato formatosi sulla decisione, che, sulla base di tale prova, accolga il ricorso del contribuente avverso l’avviso emesso, spiegherà effetto preclusivo e vincolante anche nei giudizi relativi agli accertamenti emessi, su tali basi, per ciascuno degli altri anni ai quali si estende la presunzione di maggior reddito, dal momento che il giudicato, in tal caso, incide direttamente sul meccanismo presuntivo delineato dalla norma, escludendone l’operatività retrospettiva e rendendo nel merito infondato l’accertamento di maggior reddito imponibile emesso anche per gli altri anni, ove fondato esclusivamente su tale presunzione (v. in tal senso Cass., Sez. 5, n. 5364 del 18/03/2015).

     

  2. Il contribuente prova (nel giudizio relativo all’accertamento condotto per uno degli anni coperti dalla detta presunzione) di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare pari a (o comunque idoneo a giustificare solo) la quota di maggior reddito presunta per quell’anno.
    Tale prova può evidentemente valere a superare la presunzione di maggior reddito per quell’anno ma non anche per ciascuno degli altri anni, precedenti o successivi.
    Correlativamente, il giudicato formatosi sulla decisione che, sulla base di tale prova, accolga il ricorso del contribuente avverso l’avviso emesso non potrà spiegare alcun effetto preclusivo e vincolante nei giudizi relativi agli accertamenti emessi per ciascuno degli altri anni ai quali si estende la presunzione di maggior reddito, dal momento che esso in tal caso riguarda esclusivamente la presunzione di maggior reddito per così dire «parcellizzata» per quel dato anno e la giustificazione per esso offerta, ma non incide in alcun modo sulla presunzione operante per gli altri anni.

     

  3. Nel giudizio relativo all’accertamento condotto per uno degli anni coperti dalla detta presunzione il contribuente non offre alcuna prova contraria, né idonea a superare la presunzione di accumulo dei redditi necessari a sostenere la spesa per quote costanti nell’anno in corso e nei quattro precedenti, né idonea a dimostrare di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare pari a (o comunque idoneo a giustificare) la quota di maggior reddito presunta per quell’anno.

Quest’ultima era dunque l’ipotesi in esame, nel qual caso l’accertamento negativo, ove passato in giudicato, spiegherà i medesimi effetti dei corrispondenti accertamenti positivi sopra visti rispettivamente nelle ipotesi prima e seconda.

Da un lato, infatti, per il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, il giudicato formatosi sul rigetto del ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento emesso per l’anno 2000 sulla base di una spesa per incremento patrimoniale effettuata nel 2002, copre anche l’accertamento negativo circa l’insussistenza di redditi o di circostanze in grado di escludere l’operatività della presunzione di maggior reddito retrospettivamente spalmata anche per tutti gli anni precedenti; per tale parte il giudicato è certamente in grado di produrre effetti espansivi anche nel giudizio relativo all’atto impositivo emesso sulle medesime basi per un altro anno (nel nostro caso nel 2001) e preclude, pertanto, la proponibilità di eccezioni e prove dirette a vincere la presunzione che le risorse necessarie a sostenere la spesa sono rappresentate da «redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti».

Dall’altro, così come il giudicato formatosi sull’esistenza, in uno dei cinque anni compresi nell’illustrato meccanismo, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare idoneo a giustificare solo la quota di maggior reddito presunta per quell’anno non può spiegare effetti preclusivi sull’accertamento relativo agli altri anni, allo stesso modo il giudicato negativo non può precludere per gli altri anni al contribuente di offrire (e al giudice di ritenere sussistente) prova idonea a superare la presunzione di maggior reddito parcellizzato.

In tale secondo caso, a differenza del primo, non potrebbe infatti invocarsi il principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile per obiettare che era interesse e onere del contribuente fornire nel primo giudizio prova idonea a giustificare il maggior reddito frazionatamente presunto anche per gli altri anni, dal momento che in realtà tale prova non avrebbe avuto alcun rilievo con riferimento al limitato oggetto di quel giudizio, né tanto meno avrebbe potuto condurre ad un accertamento relativo ad anno d’imposta diverso da quello posto ad oggetto della controversia.

In conclusione la Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto: in ipotesi di determinazione sintetica del reddito operata in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, il giudicato esterno formatosi sul rigetto del ricorso proposto avverso accertamento relativo ad uno degli anni cui si estende la presunzione, preclude, nel giudizio relativo all’accertamento eseguito sulle medesime basi per alcuno degli altri anni, la possibilità di ritenere insussistente il fondamento della presunzione medesima, ma non anche la possibilità di ritenere dimostrato, per ciascun anno oggetto di controversia, il superamento della presunzione di maggior reddito parcellizzato.

 

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Estensione del giudicato e solidarietà tributaria

Il giudicato esterno nel processo tributario

 

2 febbraio 2017

Giovambattista Palumbo