La cassa negativa: cosa accade in caso di verifica fiscale?

Il saldo di cassa non può mai essere negativo, tuttavia a volte capita che la contabilità lo evidenzi; in questi casi l’errore contabile attrae inevitabilmente un accertamento induttivo ma vediamo anche quali possono essere le concrete prove contrarie.

verifiche fiscali e cassa negativaE’ noto che, nel corso di una verifica fiscale, l’esame delle movimentazioni di cassa, e precisamente le registrazioni giornaliere delle entrate e delle uscite di denaro e mezzi finanziari o monetari, può far emergere che le operazioni registrate come uscite di cassa siano di ammontare superiore a quelle registrate come entrate, con la conseguenza che il saldo risulta di segno negativo.

Tale evento induce la giurisprudenza di legittimità a ritenere che tale anomalia di ordine contabile debba corrispondere ad una presunzione di esistenza di ricavi non contabilizzati di ammontare corrispondente a quello del disavanzo di cassa rilevato (Cass., 31 maggio 2011, n. 11988).

L’assimilazione della omessa contabilizzazione di un’attività al conseguimento di ricavi non registrati (sul presupposto che da tale attività sarebbe stata acquisita un’entrata monetaria sufficiente ad eliminare il deficit di cassa rilevato) costituisce, secondo l’insegnamento del giudice di ultima istanza, una deduzione cui si giunge senza “alcuna forzatura logica” ed inoltre (ex plurimis Cass., 5 ottobre 2012, n. 17004), nei casi di saldi negativi di cassa l’Ufficio non è tenuto a fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati non contabilizzati, operando il regime delle presunzioni dell’art. 54, c. 2, d.p.r. n. 633 del 1972, e dell’art. 39, c. 2, d.p.r. n. 600 del 1973.

Ci si è chiesti se la sola presenza di un conto cassa con saldo negativo possa legittimare l’ente impositore a provvedere all’accertamento della dichiarazione dell’Iva e delle imposte sui redditi senza l’ulteriore concorso di altre prove certe e dirette.

Ebbene, tale dubbio è stato sciolto (nella richiamata decisione della Corte di Cassazione n. 17004/2012) con una motivazione intesa a dare continuità al principio secondo cui

“in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg e Iva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo (Sez.5, nn. 11998 del 2011, 27585 del 2008, 24509 del 2009). La dottrina ragionieristica e, con essa, la giurisprudenza di questa Corte hanno chiarito che, siccome la chiusura ‘in rosso’ di un conto di cassa significa, senza possibilità di dubbio, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degl’introiti registrati, non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura logica, l’esistenza di altri ricavi, non registrati.

Si deve conseguentemente ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di attività (almeno equivalente al disavanzo).

Di talchè, atteso il riparto degli oneri probatori regolato dal regime di presunzioni del D.P.R. n. 633, art. 54, comma 2, e del D.P.R. n. 600, art. 39, comma 2, l’Ufficio non era tenuto fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati. Com’è noto, in questi casi, l’onere della prova s’inverte dovendo la società contribuente offrire prove contrarie merce la dimostrazione di ulteriori componenti positive del reddito (es. a titolo di prestiti e/o conferimenti, corrispondenti al suddetto saldo di cassa e di provenienza diversa rispetto ai ricavi contabilizzati), ovvero dimostrare errori di scritturazione e/o problemi d’impostazione contabile”.

Va comunque notato che (nel rapporto tra giacenza di cassa e dato contabile su cui valutare il sostenimento di una spesa) la prima deve giocoforza essere di entità almeno pari alla spesa che si intende sostenere; deve inoltre (nel contempo) considerarsi che non si può discorrere di una giacenza di cassa che non esiste, come nel caso di saldo negativo di cassa1, atteso tra l’altro che la possibilità di riportare il saldo nel segno positivo non è rimessa ad un terzo ovvero ad un istituto di credito che mette a disposizione il denaro per pagare il debito conseguente al sostenimento di una spesa.

Anche queste considerazioni hanno indotto la dottrina2 ad identificare la prova contraria del contribuente dell’ammissibilità di un saldo negativo che sia frutto dei seguenti errori contabili:

  • registrazione di un pagamento di un fornitore nel conto cassa anziché nel conto banca;

  • registrazione dell’incasso di un credito nella voce banca anziché nel conto cassa;

  • registrazione cronologica prima delle uscite e successivamente delle entrate;

  • registrazione di uscite di cassa nei primi giorni dell’anno, in assenza della registrazione del saldo iniziale della cassa all’1 gennaio;

  • mancata registrazione nel conto cassa di apporti in denaro del titolare per fronteggiare temporanee esigenze di denaro contante.

La circostanza che l’Ufficio non è tenuto a fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e ricavi omessi e accertati, a seguito della costatazione del saldo negativo del citato conto, parte dall’assunto che esista una presunzione di legge analoga a quella prevista all’art. 32 del decreto n. 600, relativamente ai movimenti bancari. Il riferimento al regime delle presunzioni dell’art. 39, c. 2, del decreto n. 600, e dell’art. 54, c. 2, del decreto n. 633.

In tempi più recenti (Cass. civ. Sez. V, Sent., 17/04/2015, n. 7838) la forza calamitante tra saldo negativo di cassa e accertamento induttivo è stato poi affermata richiamando i principi generali che sottintendono tale tipologia di atto impositivo; a tal proposito, si è argomentato che non si può escludere, in presenza di contabilità formalmente corretta, la possibilità di un accertamento induttivo fondato esclusivamente sul saldo negativo delle scritture contabili, poiché

“la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico- induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente, essendo in tali casi consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova contraria a carico del contribuente, nonchè affermando altresì che il citato art. 39, comma 1, lett. d), consente l’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza, potendo il giudizio di non affidabilità della documentazione fiscale essere determinato dall’abnormità dell’espressione finale (v. Cass. n. 13976 del 2001; n. 6337 del 2002; n. 1711 del 2007), ed ulteriormente precisando che la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva, con la conseguenza che il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (v. tra le altre Cass. n. 14428 del 2005; n, 20422 del 2005 e 21536 del 2007)”.

 

1 febbraio 2017

Antonino Russo

 

1 Cfr. F. Dezzani – L. Dezzani, Cass., n. 24509 del 20 novembre 2009 – Cassa negativa uguale ricavi non contabilizzati. Ipotesi alternative?, in Il fisco n. 31/2010, 4935.

2 F.Dezzani – L.Dezzani, cit.; tale dottrina è stata richiamata da A.Borgoglio sulle pagine di questa Rivista (“I saldi negativi del conto cassa legittimano l’accertamento fiscale al contribuente”, 11-10-2012)