Come stabilire se il contribuente persona fisica risiede davvero in Italia o all'estero? Concreti spunti difensivi

si sta aprendo la campagna per la riedizione della Voluntary Disclosure, può essere fondamentale stabilire se “fiscalmente” il contribuente risiede davvero all’estero o può essere conderato residente in Italia; in particolare le relazioni affettive e familiari sono decisive ai fini della dimostrazione della residenza fiscale in Italia? Proponiamo un utilissimo e pratico approfondimento di 12 pagine con anche utili spunti difensivi in caso di contenzioso

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Da molti anni l’Agenzia delle Entrate sviluppa specifiche iniziative volte ad arginare il fenomeno delle fittizie residenze in Paesi a fiscalità privilegiata, cui si collega la sottrazione di materia imponibile da assoggettare a tassazione in Italia. Per l’amministrazione finanziaria la caccia ai cittadini italiani fittiziamente emigrati all’estero costituisce obiettivo rilevante al fine di perseguire, nel concreto, il dettame costituzionale del “concorso di tutti alle spese pubbliche”. La fictio della residenza estera costituisce uno stratagemma che consente a colui che lo ponga in essere di evitare di essere assoggettato a tassazione in Italia sui redditi ovunque prodotti (vd. articolo 23 del TUIR n. 917/86)

Segnalazione dei Comuni

Il decreto fiscale 193/2016, collegato alla legge di bilancio, prevede che i comuni dovranno inviare all’Agenzia delle entrate i dati delle persone che presentano la richiesta d’iscrizione all’Aire; ciò al fine di consentire all’amministrazione finanziaria di formare delle liste selettive «per i controlli relativi ad attività finanziarie e investimenti patrimoniali esteri non dichiarati». I controlli dell’Agenzia delle entrate, pertanto, mireranno a verificare se il soggetto trasferito possa essere comunque considerato residente o domiciliato in Italia tanto da essere considerato debitore d’imposta nello Stato.Tali controlli non riguarderanno solo i soggetti che trasferiranno la propria residenza all’estero dopo la pubblicazione del decreto ma saranno effettuati anche nei confronti delle persone fisiche che hanno richiesto l’iscrizione all’Aire a decorrere dal 1 gennaio 2010. In particolare ,ai fini della formazione delle liste selettive l’Agenzia delle entrate «terrà conto dell’eventuale mancata presentazione delle istanze» di adesione alla Voluntary disclosure (chi non ha aderito alla prima operazione di capitali diventa sospetto).

In buona sostanza, il trasferimento della residenza in altro Stato e la mancata adesione alla procedura di collaborazione volontaria sono considerati dal legislatore indici di pericolosità fiscale tali da rendere necessario l’esercizio dei poteri ispettivi da parte dell’amministrazione finanziaria al fine di accertare l’eventuale omessa tassazione in Italia di capitali detenuti all’estero.

Tassazione

Soltanto i contribuenti che sono considerati come residenti (ai fini fiscali) in Italia, ai sensi dell’art. 2 del T.U.I.R., sono imponibili sull’insieme dei loro redditi, ovunque prodotti nel mondo (collegamento di natura personale).

I soggetti non residenti possono essere tassati soltanto su quegli elementi di reddito (a loro riferibili) prodotti in Italia (collegamento di natura territoriale), ai sensi dell’art. 23 del T.U.I.R.

Talvolta, la residenza viene trasferita in Paesi a bassa o addirittura nulla fiscalità, con l’esclusivo scopo di acquisire un indebito beneficio dal più favorevole regime impositivo dello Stato estero e di sottrarre all’imposizione progressiva in Italia i complessivi redditi ovunque prodotti.

Il contribuente, cancellato dall’anagrafe della popolazione residente e iscritto all’AIRE. ai fini dell’ottenimento di vantaggi fiscali ha solo fittiziamente trasferito all’estero la propria residenza e pertanto può essere ritenuto “fiscalmente residente” in Italia, con ogni consequenziale provvedimento. La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’AIRE non sono elementi sufficienti a determinare l’esclusione della residenza fiscale del contribuente nel territorio dello Stato, posto che, al fine di escludere la residenza in Italia, occorreva che il soggetto in questione dimostrasse, di non avere in Italia né la residenza, né il domicilio. Il contribuente ha mantenuto in Italia e, più precisamente, nella città di Latina la generalità dei rapporti, ricompresi quelli di carattere familiare, sociale, morale, oltre a quelli di natura patrimoniale. La locazione di un immobile, poi acquistato, le relative spese condominiali e l’allaccio di utenze, un abbonamento ad una palestra e gli ulteriori esigui elementi forniti dal contribuente non sono bastevoli e quindi sufficienti ad affermare che il contribuente era validamente considerato fiscalmente residente nel Regno Unito.

La difesa e la documentazione allegata dal contribuente non sono in grado di dimostrare come questo abbia trascorso la maggior parte degli anni in oggetto in Italia. La documentazione fornita dalla parte appare, di fatto, inconsistente e comunque non rappresentativa al punto da provare che il contribuente si era realmente trasferito nel Regno Unito, ovvero in grado di avallare la tesi dallo stesso sostenuta e superare le risultanze fornite dall’Ufficio (numerosissime apparizioni televisive e radiofoniche gestite da società italiane; la prevalenza dell’attività artistica esercitata in Italia rispetto a quella svolta nel Regno Unito; l’utilizzo di carte di credito, praticamente quotidiano, per acquisti effettuati in Italia; voli aerei; uso di uno studio di registrazione sito a Milano; notizie stampa; profondi legami familiari testimoniati peraltro dalla ricostruzione dei numerosi viaggi effettuati da e verso Latina; la preminenza dei redditi ritratti dall’attività di artista in Italia rispetto alle dichiarazione dei redditi presentate nel Regno Unito…).Le società estere hanno rappresentato effettivamente meri schermi societari e sono state costituite al solo scopo di far non apparire titolare dei compensi il contribuente; appare del tutto inverosimile che il contribuente possa essere ritenuto quale mero lavoratore dipendente. In definitiva emerge chiaramente l’intento evasivo, consistente nell’aver fittiziamente assunto la residenza fiscale nel Regno Unito, creando una complessa compagine sociale finalizzata a fungere da schermo e favorire l’occultamento in Italia della reale capacità contributiva del contribuente (CTR Roma 21-01-2014 n. 206 sez. 39).

Il trasferimento della residenza anagrafica rappresenta un espediente posto in essere da cittadini italiani che di fatto hanno mantenuto la residenza o il domicilio in Italia.

Prassi

Secondo la circolare n. 304/97 i fenomeni di fittizia emigrazione all’estero coinvolgono principalmente cittadini italiani che svolgono attività artistica, sportiva, professionale o imprenditoriale. Le linee operative dettate dalla circolare agli uffici periferici concernono in concreto le effettive modalità di reperimento delle prove della residenza o del domicilio in Italia e forniscono una serie di indicazioni tipo, non esaustive, sulle indagini da effettuare.

Fra queste si evidenziano:

1) consultare e reperire tutti i documenti e le informazioni utili dall’anagrafe dell’ultimo comune di residenza del soggetto;

2) acquisire copia di tutti gli atti compiuti dal soggetto quali: compravendite, donazioni, costituzioni di società, conferimenti…;

3) esaminare attentamente i rapporti dallo stesso intrattenuti con le controparti degli atti di cui sopra o con i soggetti con esso cointeressati (esempio altri soci);

4) acquisire informazioni di natura finanziaria inerenti ai movimenti di denaro, il luogo di emissione di assegni bancari, gli investimenti effettuati in titoli e obbligazioni italiane, i movimenti di denaro da e per l’estero…

L’attività investigativa deve consentire di reperire elementi di prova dai quali sia possibile desumere l’esistenza di legami familiari o affettivi e più in generale un attaccamento all’Italia da parte del soggetto indagato, l’esistenza nel nostro paese di interessi economici in base ai quali tenere o far rientrare in Italia i proventi delle prestazioni svolte all’estero nonché l’intenzione, anche futura, ad abitare in Italia.

Per questi fini può essere utile anche monitorare costantemente la stampa locale e nazionale, i servizi televisivi e ogni pubblicazione utile a ricavare dichiarazioni del soggetto in esame che possono avvalorare le tesi investigative dell’ufficio.

Alla fine dell’attività investigativa e dall’insieme degli elementi di prova raccolti dovrà emergere una “valutazione d’insieme” circa i molteplici rapporti intrattenuti dal soggetto con l’Italia che consenta di poter stabilire che la sede principale degli affari e degli interessi di quest’ultimo è situata all’interno del territorio dello stato. Utili alla suddetta ricostruzione possono rivelarsi anche il possesso in Italia di beni mobili e immobili, la partecipazioni a riunioni d’affari, l’assunzione di cariche sociali, l’iscrizione a circoli, club e simili, l’organizzazione della propria attività e dei propri impegni direttamente o tramite strutture operanti sul territorio dello stato. Esiste una “lista positiva” attraverso la quale è possibile dimostrare la residenza fiscale in Italia di un soggetto iscritto nell’anagrafe italiana dei residenti all’estero.

Tali fatti sono costituiti, per esempio:

dalla disponibilità di un’abitazione permanente nel territorio italiano ovvero dalla detenzione all’interno della stessa di documentazione amministrativo contabile afferente la ditta estera;

da linee telefoniche o fax aziendali i cui prefissi telefonici sono collegati con il territorio italiano;

dalla presenza dei propri familiari;

dalla disponibilità di rapporti bancari sui quali sono accreditati i proventi ovunque conseguiti;

dalla titolarità di cariche sociali

Presupposti per il non trasferimento della residenza fiscale all’estero delle persone fisiche

L’art. 2 del T.U.I.R., c.2 2, precisa che “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile” . Non è, dunque, il comma 2-bis dell’articolo 2 del T.U.I.R., relativo alla presunzione di residenza sul territorio italiano dei cittadini “emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato1, bensì il comma 2 della predetta norma, che determina, in via ordinaria, i soggetti passivi d’imposta su base mondiale. Poiché i tre presupposti sono indicati dall’articolo in via alternativa, è sufficiente che uno soltanto di essi si realizzi (essere iscritti all’Anagrafe della popolazione residente; avere in Italia il proprio domicilio, cioè la sede principale dei propri affari o interessi; avere in Italia la residenza, cioè, secondo il Codice civile, la propria dimora abituale) per “la maggior parte del periodo d’imposta”, ovverosia per un periodo di tempo di almeno sei mesi e un giorno nel corso dell’anno fiscale , per rendere il soggetto imponibile su base mondiale, in Italia.

Alternatività

L’art. 2, c. 2, D.P.R. n. 917 del 1986, individua, affinché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti in via del tutto alternativa. Il primo, di natura formale, è rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, mentre gli altri due, di fatto, sono costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile. Ne consegue che l’iscrizione2 del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere3 la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali4. L’iscrizione anagrafica è un atto formale destinato a prevalere sulla sostanza e costituisce, in linea di principio, una presunzione assoluta.

Tutti e tre i requisiti ex art. 2, c. 2, T.U.I.R. devono risultare combinati con l’elemento temporale che è integrato dal perdurare delle situazioni giuridiche così delineate “per la maggior parte del periodo d’imposta”. Tale locuzione va intesa semplicemente come lasso di tempo superiore a 183 giorni nell’arco di un anno solare, che diventano 184 qualora l’anno fosse bisestile L’art. 10 della Legge 23 dicembre 1998, n. 448 ha ampliato la categoria, dei soggetti passivi d’imposta di cui all’art. 2 del T.U.I.R. Per effetto di tale modifica sono considerati residenti nel territorio dello Stato, e pertanto soggetti a tassazione, non solo le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile, ma anche “i cittadini italiani cancellati dalla Anagrafe della Popolazione Residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. In particolare, la disposizione de qua si applica nei confronti di quei soggetti per i quali ricorrono, contemporaneamente, le seguenti condizioni: l’essere cittadino italiano, l’essersi cancellato dall’Anagrafe della Popolazione Residente, l’essere emigrato in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato.

La presunzione stabilita dal comma 2-bis dell’articolo 2 del T.U.I.R., lungi dal creare un ulteriore status di residenza fiscale, i cui presupposti sono già compiutamente contemplati dal comma 2 dello stesso art. 2, introduce soltanto un ulteriore criterio rivelativo ai fini dell’individuazione della residenza stessa. In sostanza, con l’introduzione del comma 2-bis citato, il legislatore, utilizzando lo strumento delle presunzioni relative, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, al fine di evitare che risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti di ordine sostanziale.

E’ possibile utilizzare qualsiasi mezzo di prova di natura documentale o dimostrativa, ad esempio la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare, l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero, lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l’esercizio di una qualsiasi attività economica con carattere di stabilità. Nel fornire la prova contraria, al cittadino italiano deve essere riconosciuta “la più ampia possibilità di esplicazione del concreto esercizio del diritto di difesa del contribuente anche nella fase extraprocessuale, ferma restando l’esclusione del giuramento e della prova testimoniale”. Nella prassi tale prova si considera raggiunta da parte del contribuente attraverso qualsiasi mezzo di prova (“positiva”), atto a stabilire l’esistenza di:

i) contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione;

ii) fatture o ricevute di erogazione di acqua, gas, luce, telefono, spese di istruzione e di altri canoni tariffari, pagati nel Paese estero;

iii) movimentazioni a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero;

iv) contratti di lavoro a carattere continuativo che certifichino l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità nello stesso Paese estero.

La prova contraria prevista dal comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir, si può ricondurre a tre macrocategorie, costituite dalla presenza nel territorio estero di emigrazione di documentati vincoli di natura: familiare; economico-finanziaria; sociale e culturale.

Domicilio inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali

L’iscrizione all’Anagrafe comunale determina la residenza fiscale del contribuente; occorre ,tuttavia, precisare che la cancellazione dalle predette liste anagrafiche, anche se accompagnata dall’iscrizione all’AIRE (l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), non è un elemento sufficiente, neppure per invertire l’onere della prova5. Infatti, tale atto amministrativo non può, di per sé, far perdere la qualifica di residente fiscale in Italia, allorché “il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali”.

Il domicilio consiste principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede dei propri affari ed interessi.

L’inciso “affari ed interessi”, di cui all’art. 43, c. 1, c.c., deve intendersi nel senso più ampio, e quindi comprensivo, non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica, ma anche morali, sociali e familiari. La residenza fiscale in Italia si concretizza qualora “la famiglia dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all’estero” o, comunque, nel caso in cui “emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto ha quivi mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi6. Devono, in definitiva, essere considerati fiscalmente residenti in Italia i soggetti che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantengano, nei termini sopra illustrati, il centro dei propri interessi familiari e sociali in Italia.

Il domicilio può anche prescindere dall’effettiva presenza fisica del soggetto in uno specifico posto, dal momento che i suoi affari e interessi non si riducono ai soli rapporti di tipo patrimoniale ed economico, ma comprendono anche quelli morali, sociali e familiari. È sufficiente quindi mantenere in Italia il centro dei propri interessi, sia personali che di altro genere, per essere considerati fiscalmente residenti. In particolare, tra i fatti “sintomatici” dello status di residente fiscale sono la disponibilità di un’abitazione permanente, la presenza della famiglia, l’accreditamento dei propri guadagni indipendentemente dal luogo in cui sono stati conseguiti, il possesso di beni anche mobiliari, la partecipazione a riunioni di lavoro e persino l’iscrizione a circoli e club. Questi e altri elementi devono essere presi in considerazione nel momento in cui si pone il problema di definire la residenza fiscale.

.Ai fini della determinazione del luogo della residenza normale ovvero della complessiva considerazione della posizione del contribuente , devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l’art. 7, n. 1, c. 2, della Direttiva 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali (Cassazione sentenza n. 12311 del 15 giugno 2016). Nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua ‘normale residenza’, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali.

Nell’ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell’interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali, l’apertura da parte del contribuente di numerosi conti correnti in Italia, le numerosissime tracce di frequenti soggiorni in Italia, la circostanza che i numerosi contratti di sponsorizzazione prevedano come foro competente in caso di controversie quello italiano, l’avvenuta stipula di polizze assicurative in Italia, la circostanza del recapito della corrispondenza ad un indirizzo in Italia,la presenza di immobili (anche se non qualificabili come “dimora abituale”) e di autovetture a completa disposizione, la presenza di attività sociali e sportive svolte in modo regolare.

Sussiste, quindi, la necessità di procedere a una attenta valutazione dei legami personali per assicurare una corretta determinazione del domicilio fiscale effettivo dei contribuenti.

Il presupposto soggettivo del “domicilio’’, di cui all’art. 2 del T.U.I.R., è una situazione giuridica che prescinde dall’effettiva presenza del soggetto nel luogo, e che si fonda sulla sua “volontà di stabilire e mantenere in una determinata località la sede principale dei propri affari ed interessi”.

Il domicilio, di cui all’art. 43 c.c., deve intendersi in senso ampio, “comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari… da ciò discende che deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga il ‘centro’ dei propri interessi familiari e sociali in Italia”.

Al fine della determinazione dell’unicità del domicilio, ciò che conta “non è la presenza continuativa in un luogo… quanto la volontà di rimanervi e ritornarvi appena possibile … e di mantenervi le proprie relazioni familiari e sociali”.

Sussistenza di elementi certi e concreti ai fini dell’accertamento dell’effettiva residenza fiscale in Italia, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche

La sola registrazione all’AIRE non è di per sé determinante per escludere la residenza fiscale in Italia. Ciò che infatti rileva è la circostanza che in Italia vi sia il domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali In sostanza, la mera cancellazione dall’Anagrafe della Popolazione Residente e la conseguente iscrizione all’AIRE non costituisce certamente elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova, anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici.

Non rileva il trasferimento della residenza fiscale all’estero sino a quando non risulti la cancellazione dall’Anagrafe di un Comune italiano. Infatti, il soggetto che ha stabilito la propria dimora abituale all’estero senza aver provveduto, anche per mera dimenticanza, alla cancellazione dall’Anagrafe dei residenti, è considerato per presunzione assoluta residente in Italia.

Difesa del contribuente

Il contribuente deve fornire la piena dimostrazione della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel Paese estero.

Esso deve provare la sua residenza estera, potendo utilizzare ogni mezzo di prova7 di natura documentale o dimostrativa idoneo a stabilire:

– la sussistenza della dimora abituale nel Paese estero;

– la sussistenza della dimora abituale nel Paese estero del coniuge e dei figli;

– la residenza nel Paese estero del coniuge e dei figli;

– l’iscrizione e l’effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici di formazione del Paese estero;

– lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese estero;

– l’iscrizione ad associazioni o circoli sportivi o ricreativi nel Paese estero da parte del soggetto trasferito o dei familiari;

– l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;

– la stipula di contratti di acquisto o locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione;

– l’esistenza di fatture o ricevute di erogazione di acqua, gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel Paese estero;

– la titolarità nel Paese estero di un conto corrente e la movimentazione dello stesso;

– la titolarità di partecipazioni o strumenti finanziari del Paese estero;

– la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero;

– l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese di immigrazione;

– in presenza di immobili sia in Italia che all’estero, la rilevazione dalle utenze di consumi minimi nel nostro Paese e consistenti all’estero;

– l’assunzione di incarichi in società estere;

– la titolarità nel Paese estero della proprietà di auto o altri mobili registrati;

– la titolarità nel Paese estero dell’assicurazione auto e di parcheggi per i residenti;

– la corresponsione dell’abbonamento TV e di una tassa assimilabile all’ICI nel Paese di immigrazione.

Esso può fornire ogni elemento probatorio di natura dimostrativa-documentale atto a fornire la prova negativa della sussistenza di elementi di collegamento con l’Italia, quindi ad esempio:

– della residenza italiana del coniuge o dei figli;

– della presenza di unità immobiliari tenute a disposizione nel nostro Paese;

– dell’esistenza di atti di donazione effettuati in Italia;

– dell’esistenza di movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie in Italia;

– della titolarità di conti correnti alimentati con accrediti di ogni genere;

– dell’esistenza di atti di compravendita effettuati in Italia a proprio nome o per interposta persona;

– dell’assunzione di incarichi in società italiane;

– della titolarità in Italia del diritto di proprietà (ma anche del semplice possesso) di veicoli o altri mobili registrati;

– dell’iscrizione nel nostro Paese a circoli o clubs;

– dell’organizzazione della propria attività della propria attività e dei propri impegni direttamente o attraverso soggetti operanti sul territorio italiano.

Giudizio di prevalenza

Occorre valutare se prevalgono8 gli elementi di collegamento con lo Stato estero di cui si assume essere effettivamente residenti, oppure prevalgono gli elementi di collegamento con l’Italia. In presenza di elementi di collegamento disomogenei occorre9 dare prevalenza agli elementi afferenti relazioni affettive e familiari10 (Cassazione sentenza 13 maggio 2015, n. 9723; Cassazione sentenza n. 5382/2012).

E’ minornitario l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le relazioni affettive e familiari on hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento (Cass. Sez. T. 31-03-2015 n. 6501).

Il giudice del gravame ha adeguatamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi ai fini di superare la presunzione di cui all’art. 2, c. 2-bis, del TUIR (residenza in Svizzera da tanti anni, passaporto elvetico, attività di lavoro dipendente in Svizzera…) (Cass. Sez. T. 31-03-2015 n. 6501). Al fine di vincere la presunzione di residenza fiscale in Italia dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, il contribuente deve dimostrare che è ubicata all’estero la sede principale dei suoi interessi vitali, non assumendo peraltro rilevanza prioritaria le relazioni familiari, quanto piuttosto la sede effettiva dell’attività (Cass. Sez. T. 31-03-2015 n. 6501) .

19 gennaio 2017

Isabella Buscema

1 L’art. 10 della L. 23.12.98, n. 448 ha introdotto una presunzione di residenza in Italia, con conseguente rovesciamento dell’onere probatorio a carico dei cittadini emigrati nei cosiddetti “paradisi fiscali Ai fini impositivi i criteri per la determinazione della residenza nel territorio dello Stato italiano sono indicati nell’art. 2del D.P.R. n. 917 del 1986, il quale individua, a tal fine, tre presupposti in via alternativa: il primo formale, rappresentato dall’iscrizione nell’anagrafica della popolazione residente per la maggior parte del periodo di imposta, gli altri due, di fatto, costituiti dal domicilio o dalla residenza nello Stato. Ai sensi del comma 2-bis si considerano, altresì, residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle Finanze, c.d. Paesi black list. Alla luce di tali principi, dunque, la residenza in Italia del ricorrente, iscritto all’AIRE e residente nel Principato di Monaco, va accertata alla stregua della normativa predetta che prevede una presunzione relativa di residenza in Italia, ovvero di fittizietà della residenza monegasca, superabile dall’interessato mediante prova contraria“ (Cass. civ. Sez. V, 30-09-2016, n. 19484).

2 L’effetto più importante dell’iscrizione all’AIRE è che i soggetti iscritti in questa Anagrafe non sono tenuti a dichiarare in Italia i redditi prodotti all’estero, in quanto residenti momentaneamente in altri Stati nei quali svolgono con carattere di durevolezza la loro attività lavorativa.

3 Il cittadino italiano che ha stabilito per il periodo d’imposta di riferimento il proprio domicilio fiscale in Italia, pur risiedendo all’estero, è considerato soggetto passivo d’imposta, ciò indipendentemente dalla relazione fisica con il luogo della sede principale dei suoi affari e a prescindere dall’iscrizione all’A.I.R.E.(Cass. civ. Sez. V, 13-05-2015, n. 9723).

4 L’art. 2, c. 2, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via del tutto alternativa: il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio netto Stato ai sensi del codice civile; ne consegue che l’iscrizione del cittadino nell’Anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (Cass. Sez. T 22-10-2010 n. 21689).

5 Circolare n. 304 del 2 dicembre 1997: “la cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione all’AIRE non costituisce elemento determinante per escludere la residenza o il domicilio dello Stato, ben potendo, questi ultimi, essere desunti con ogni mezzo di prova, anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici”.

6 La soggettività passiva alle imposte sui redditi del cittadino italiano in relazione alla residenza fiscale nello Stato deve essere verificata in ragione di tre presupposti, considerati in via alternativa: l’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, la residenza o il domicilio nello Stato, ai sensi dell’art. 43 c.c.. Conseguentemente, l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero (AIRE) non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorchè il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonchè delle proprie relazioni personali, in base a vari elementi presuntivi – fra i quali, l’acquisto di beni immobili, la gestione di affari in contesti societari, la disponibilità di almeno un’abitazione nella quale trascorra diversi periodi dell’anno, l’intestazione presso una banca avente sede in Italia di conti correnti continuamente implementati (Cass. civ. Sez. V, 15-03-2013, n. 6598).

7 La presunzione di residenza in Italia, prevista a carico dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, può essere legittimamente superata dalla positiva valutazione di elementi di fatto forniti dal contribuente, quali il contratto di affitto relativo ad un appartamento nel Paese estero, la regolare corresponsione di affitti e spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento, la stipulazione di utenze telefoniche, televisive, e di contratti bancari (Cass. civ. Sez. V, 04-09-2013, n. 20285).

8 Il contribuente residente nel Principato di Monaco non è tenuto a versare all’Erario le imposte per il solo fatto di essere amministratore di una società con sede in Italia e titolare di utenze elettriche e telefoniche. Trattasi , infatti ,di elementi insufficienti per giustificare la tesi della residenza in Italia (Cass. Sez. T. 03-03-2010 n. 5046 sez. T). Elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali sono la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali” (Sent. n. 9856 del 21 marzo 2008 dep. il 14 aprile 2008 della Corte Cass., sez. tributaria). E’ illegittimo l’accertamento effettuato nei confronti di uno sportivo che dichiara di risiedere in un paradiso fiscale, se prova di avere all’estero il centro delle proprie relazioni professionali ma, soprattutto, personali. A nulla valgono i continui spostamenti nel territorio italiano oppure il fatto di svolgere attività professionale su piano internazionale. Ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l’art. 7, n. 1, c. 2, della direttiva n. 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali. Nell’ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell’interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali (Cass. Sez. T. 04-09-2013 n. 20285). Occorre rilevare la permanenza in Italia del centro di affari, interessi e legami personali richiesti dall’art. 43 c.c. ai fini della definizione della residenza fiscale, avendo il contribuente (anagraficamente residente nel Principato di Monaco) mantenuto in Italia continui contatti con familiari, tifosi e media e dovendosi ricondurre alla volontà dello stesso di conservare il domicilio in Italia anche “l’intrecciarsi di rapporti economici e familiari attorno a lui e alle società estere” a lui riconducibili.(Cass. Sez. T. 21-01-2015 n. 961 sez. T). Per effetto della presunzione di residenza in Italia, è il contribuente, apparentemente emigrato verso Stati o territori indicati nella black-list, a dover dimostrare di aver reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato italiano, operando il principio dell’unicità del domicilio, ai cui fini ciò che conta non è la presenza continuativa in un luogo, quanto la volontà di rimanervi e ritornarvi appena possibile (animus revertendi) e di mantenervi le proprie relazioni familiari e sociali (Cass. civ. Sez. V, 21-01-2015, n. 961).

9 C.M. 2 dicembre 1997, n. 304/E: “la circostanza che il soggetto abbia mantenuto in italia propri legami familiari … deve ritenersi sufficiente a dimostrare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano” tale da far ritenere soddisfatto il requisito previsto dalla norma.

10 Deve riconoscersi preminenza ai legami personali su quelli professionali, rientrando tra i primi la presenza della persona fisica sul territorio, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano i suoi interessi patrimoniali (Cass. civ. Sez. V, 04-09-2013, n. 20285).