L’applicazione del criterio di cassa per la determinazione del reddito delle imprese minori

un approfondimento sulla nuova contabilità per cassa per le imprese minori: le variazioni al TUIR ed il loro impatto sulla determinazione del reddito d’impresa, la gestione pratica del nuovo regime contabile, l’opportuna eliminazione degli studi di settore incompatibili col nuovo regime

semplificate-2017

La nuova normativa in materia di adozione del criterio di cassa per le imprese minori (art. 66 TUIR) presenta molte criticità, a partire dalla “selettività” del suo funzionamento che prevede la tassazione per cassa, in concreto, solamente per i componenti positivi e negativi espressamente indicati dalla norma (ricavi, dividendi, interessi attivi e spese sostenute nell’esercizio dell’attività d’impresa).

Il restyling dell’art. 66 è stato effettuato con l’art. 1, commi 17-19, della legge di bilancio 2017 (legge 11.12.2016, n. 232).

In particolare, come è stato osservato da diversi autori, nel primo periodo in cui il reddito di impresa viene determinato per cassa devono essere dedotte integralmente (alla stregua di costi) le rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il criterio di competenza.

A causa di ciò, l’esercizio potrebbe chiudersi con una perdita che non potrà essere riportata negli anni successivi, ma solo in deduzione dal reddito complessivo del periodo di imposta.

Va comunque premesso che, essendo una disciplina all’esordio, operante per le imprese in contabilità semplificata a partire dal 2017, per comprenderne meglio la portata e le soluzioni occorrerà attendere indicazioni e istruzioni ufficiali.

In particolare si attende il decreto attuativo, che dovrebbe essere emanato (anche se la norma primaria dice che “possono” – e non “devono” essere adottate disposizioni attuative) entro la fine del mese di gennaio 2017 (art. 1, comma 23, legge n. 232/2016).

Il testo normativo

L’art. 66, c. 1, del TUIR nella nuova versione, vigente dall’1 gennaio dell’anno in corso, stabilisce quanto segue.

Il reddito delle imprese in contabilità semplificata è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi (art. 85) e degli altri proventi (art. 89 – dividendi e interessi) percepiti nel periodo di imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività di impresa; la differenza è aumentata dei ricavi di cui all’art. 57, dei proventi di cui all’art. 90, comma 1, delle plusvalenze realizzate ai sensi dell’art. 86 e delle sopravvenienze attive di cui all’art. 88, e diminuita delle minusvalenze e sopravvenienze passive di cui all’art. 101.

Secondo quanto è stato posto in luce da Confindustria nella sua circolare 22.12.2016, i soggetti interessati dalla nuova normativa sono:

  • le imprese individuali, comprese quelle familiari;

  • le società commerciali di persone;

esonerate dalla tenuta della contabilità ordinaria ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 600/1973.

Come ricordato nella circolare, il regime di contabilità semplificata è previsto per i contribuenti che hanno conseguito nell’anno precedente un ammontare di ricavi non superiore

  • a 400.000 euro per le imprese aventi ad oggetto prestazioni di servizi;

  • a 700.000 euro per le imprese aventi ad oggetto altre attività.

Per effetto dell’innovazione normativa, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31.12.2016, il reddito imponibile dei soggetti in contabilità semplificata viene determinato come differenza tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi (utili, dividendi e interessi) “percepiti” nel periodo di imposta e le spese “sostenute” nel periodo stesso, computati secondo il principio di cassa.

Il principio di competenza rimarrà applicabile ai fini della determinazione degli altri componenti reddituali (plusvalenze e sopravvenienze attive, minusvalenze e sopravvenienze passive, proventi immobiliari, ammortamenti e accantonamenti di quiescenza e previdenza).

Tra i ricavi imponibili per cassa è incluso il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore, mentre dal computo del reddito imponibile vengono escluse le variazioni delle rimanenze di magazzino, le quali possono essere dedotte in sede di determinazione del reddito nel primo anno di applicazione del regime.

Con la finalità di evitare salti o duplicazioni di imposta, il comma 19 regolamenta le ipotesi di passaggio da un periodo di imposta soggetto al regime semplificato di tassazione per cassa ad un periodo soggetto al regime ordinario di tassazione per competenza, e viceversa.

I componenti reddituali che sono già stati computati ai fini della determinazione del reddito imponibile in base alle regole vigenti nell’anno precedente non assumono rilevanza ai fini della determinazione del reddito degli anni successivi.

Le nuove regole di determinazione del reddito per cassa, sono applicabili dalle imprese in contabilità semplificata anche ai fini della determinazione della base imponibile IRAP.

Le imprese minori che optano per il regime di contabilità ordinaria continueranno comunque a determinare la loro base imponibile secondo il criterio di competenza.

Obblighi contabili

Il comma 22 dell’articolo riscrive l’articolo 18 del D.P.R. n. 600/1973, al fine di uniformare gli obblighi contabili alla nuova disciplina di tassazione per cassa.

È ora previsto in particolare che, ai fini della verifica dei limiti reddituali di accesso al regime semplificato, va fatto riferimento, nel primo anno di applicazione della nuova disciplina, ai ricavi conseguiti per competenza, mentre negli anni successivi assumeranno rilevanza i ricavi percepiti per cassa.

Le imprese minori hanno ora la facoltà di tenere, alternativamente i seguenti registri:

  1. registri dei ricavi percepiti e delle spese sostenute nell’esercizio (con annotazione cronologica degli incassi, delle spese e delle relative informazioni);

  2. registri IVA integrati con le annotazioni richieste ai fini del nuovo regime per cassa;

  3. registri IVA, senza operare annotazioni relative ad incassi e pagamenti: tale ultima opzione, vincolante per un triennio, comporta l’obbligo di separata annotazione delle operazioni non soggette a registrazione IVA; in questa ipotesi opera una presunzione legale, secondo cui la data di registrazione della operazione ai fini IVA coincide con quella di incasso o di pagamento ai fini IRPEF.

Anche se l’innovazione era volta “a fin di bene”, per evitare che le piccole imprese debbano anticipare il pagamento delle imposte con riferimento a componenti positivi non ancora incassati ed in mancanza della provvista finanziaria, la sua concreta attuazione secondo la normativa in commento genera effetti svantaggiosi che sono stati già ampiamente analizzati dalla pubblicistica. Occorre tuttavia precisare che si attendono le norme attuative e l’interpretazione ufficiale, dalle quali potrebbero derivare opportuni accorgimenti correttivi e di adeguamento.

Convenienza relativa

Gli imprenditori che adottano il regime di contabilità semplificata, avendo nel 2016 ricavi inferiori alle soglie normativamente previste, ai fini della determinazione del reddito a decorrere dal 2017, si trovano di fronte a una duplice possibilità: entrare nel regime per cassa oppure optare per la contabilità ordinaria?

Come è stato rilevato, il criterio di cassa “sarebbe” in linea di massima favorevole, giacché consente di determinare il reddito sulla base dei ricavi incassati, meno le spese sostenute (anche se a tale regola non soggiacciono i componenti reddituali che continuano a rispettare il principio di competenza, come le plusvalenze).

In linea ipotetica vantaggioso è anche il meccanismo operante nel primo anno di applicazione del regime, in quanto le rimanenze finali presenti vengono integralmente dedotte in tale periodo di imposta. I problemi sorgono, con tutta evidenza, quando (per effetto di tale meccanismo) il reddito finisce “sotto zero”, generando una perdita che non può essere riportata in avanti (dato che ci troviamo in un sistema di contabilità semplificata), e quindi viene definitivamente perduta.

Negli anni successivi, la vendita dei beni costituenti rimanenze genererà invece ricavi imponibili in toto.

Per evitare queste conseguenze, chiaramente, può essere adottata la contabilità ordinaria (che consente di mantenere equilibrio nella distribuzione del reddito fiscale nel tempo mediante l’imputazione delle rimanenze finali per competenza nei vari periodi di imposta), ma ciò comporta maggiori costi amministrativi, obbligando altresì in primo luogo alla predisposizione della situazione patrimoniale di partenza (cfr. D.P.R. 23.12.1974, n. 689 – disposizioni integrative e correttive al D.P.R. n. 600/1973).

Il problema delle rimanenze

Come sopra accennato, le rimanenze finali non nuovo regime vengono escluse dal reddito.

In particolare è stato stabilito che:

  • non assumono rilevanza ai fini della determinazione del reddito né le rimanenze finali né quelle iniziali, in applicazione del principio di cassa su cui poggia l’intero sistema di determinazione del reddito;

  • per il primo periodo di imposta di applicazione del regime di cassa il reddito è determinato mediante una decurtazione dello stesso per un importo pari alle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente in base al principio di competenza.

Questa scelta legislativa, indotta dall’esigenza di evitare la possibile duplicazione di base imponibile nel primo periodo di imposta di applicazione del regime, può determinare come si diceva l’emersione di importanti perdite in capo alle imprese minori, che sono impossibilitate a riportarle in avanti.

In sostanza, per quanto è stato posto finora in luce dalla pubblicistica, l’eventuale perdita virtuale del primo periodo di applicazione, generata dalle rimanenze, sarebbe fiscalmente irrilevante, mentre (al contrario) assumerebbe piena rilevanza il reddito virtuale degli anni successivi (generato dall’irriportabilità della perdita, e quindi proprio da quel meccanismo di eliminazione contabile – fiscale delle rimanenze che avrebbe dovuto evitare la doppia imposizione). Divengono quindi di fatto indeducibili i costi sostenuti dall’impresa, afferenti ai componenti reddituali positivi emergenti nei periodi di imposta successivi1.

Problemi con gli studi di settore

Come è noto, gli studi di settore verranno sostituiti a partire dal 2017 con appositi indici sintetici di affidabilità fiscale (art. 7-bis, D.L. 22.10.2016, n. 193, convertito dalla legge 01.12.2016, n. 225).

Questa innovazione è ora ostacolata proprio dall’entrata in vigore contestuale del criterio “naturale” di cassa per le imprese in contabilità semplificata.

Occorre infatti considerare, come è stato osservato, che gli indicatori predisposti dalla Sose sono stati costruiti sulla base di una metodologia aziendalistica di natura economica e non finanziaria.

Ciò a fronte di una situazione che ora caratterizza le imprese in contabilità semplificata, per le quali, a partire dall’1 gennaio dell’anno in corso, i concetti di rimanenze, di costo del venduto e financo di ricavo complessivo annuo si svuotano di significato.

In sintesi: la volontà di superare gli studi di settore introducendo indici di affidabilità si marca economica non si concilia con la parallela iniziativa del legislatore, che rendendo obbligatoria (per i soggetti “semplificati”) la contabilità per cassa, sguarnisce le imprese proprio degli elementi – base necessari per poter verificare il rispetto di tali indici2.

12 gennaio 2017

Fabio Carrirolo

1 Cfr. S. Morina, T. Morina – “Regime di cassa, tilt sulle perdite”. Il Sole 24 Ore, 5 gen. 2017, p. 31.

2 Cfr. A. Bongi, F. G. Poggiani – “Regime di cassa senza studi”. Italia Oggi, 5 gennaio 2017.