Il valore delle perizie UTE nel contenzioso sui valori immobiliari, spunti pratici per ricorsi

Nel contenzioso relativo ai valori immobiliari spesso il Fisco basa le sue valutazioni sulle perizie dell’UTE: che valore hanno queste perizie all’interno del conseguente processo tributario? Come possono essere contestate con successo dal contribuente?

contenzioso sui valori immobiliariLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10223 del 18.5.2016, ha chiarito il valore giuridico delle perizie dell’ente impositore, le perizie UTE.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, a conferma della prima decisione, aveva ritenuto illegittimo l’avviso di rettifica e liquidazione notificato al contribuente a titolo di maggiore imposta di registro su compravendita di una villa nobiliare assoggettata a vincolo di interesse storico-culturale ex L. 1089/39, e sottoposta dall’Amministrazione finanziaria a valutazione con criterio sintetico.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamentava dunque violazione degli articoli 51, terzo comma, e 52, primo comma, d.P.R. 131/86 per avere la Commissione Tributaria Regionale erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria avesse inammissibilmente modificato in corso di causa (da ‘sintetico-comparativo’ a ‘sintetico-diretto’) il criterio estimativo nella specie adottato, laddove il mutamento era stato invece, a suo dire, solo terminologico, fermi restando i presupposti giuridici e fattuali della stima, così come desumibili dalla perizia del Territorio allegata all’avviso.

Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamentava poi insufficiente ed illogica motivazione della sentenza per avere la CTR comunque escluso l’ammissibilità nella specie, trattandosi di bene fatiscente sottoposto a vincolo culturale, tanto del criterio sintetico-comparativo quanto di quello sintetico-diretto. In particolare, secondo la ricorrente la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente ritenuto inapplicabile il criterio del valore dell’edificio realizzabile sul terreno, previa demolizione dell’esistente e ricostruzione, con abbattimento del 75% (dunque, con attribuzione al terreno di un quarto del valore dell’immobile realizzabile).

Questi due motivi di ricorso, secondo la Suprema Corte, erano tuttavia infondati, in quanto inidonei a sovvertire il ragionamento di fondo della Commissione, secondo cui il criterio di stima indicato nell’avviso di rettifica e liquidazione (indipendentemente dal fatto che esso dovesse qualificarsi ab initio come ‘sintetico-diretto’ ovvero ‘sintetico-comparativo’) era comunque tale da invalidare l’accertamento di maggior valore.

La ratio decidendi della sentenza impugnata, in definitiva, affermano i giudici di legittimità, travalicava l’aspetto puramente procedurale (inammissibilità del mutamento del criterio di stima nel corso del giudizio), per attestarsi su un aspetto sostanziale e tipicamente di merito, costituito dal fatto che il criterio del valore edificabile del terreno, previo abbattimento dell’esistente e ricostruzione, non era in grado di dare conto di una fattispecie del tutto peculiare, risolvendosi in definitiva in un parametro astratto e perciò non in grado di sostenere il maggior valore in concreto accertato.

Questo ragionamento non si poneva peraltro in conflitto con i criteri di stima di cui al terzo comma dell’articolo 51 d.P.R. 131/86, il quale, ricorda la Corte, è mirato a far sì che la valutazione dell’immobile sia quanto più possibile conforme, sulla scorta di elementi di valutazione non già apodittici e stereotipati, bensì concreti ed obiettivi, a quello ad esso commercialmente attribuibile.

Nemmeno, del resto, trovava riscontro la doglianza di natura motivazionale, avendo la Commissione Tributaria Regionale chiaramente individuato ed esplicitato i suddetti elementi di tipicità della fattispecie, rappresentati, nel caso di specie, dalla sussistenza sulla villa di un vincolo storico-culturale ex L. 1089/39, dalla preclusione normativa alla sua totale demolizione e ricostruzione ex novo, dallo stato di fatiscenza e degrado e dalle notevoli dimensioni dell’immobile.

Era quindi evidente che queste circostanze fattuali erano tali – per un verso – da precludere l’adozione di un criterio valutativo di tipo sintetico comparativo e – per altro verso – da rendere di per sé inadeguato un criterio (quale quello proposto dall’Amministrazione finanziaria) basato proprio sulla edificabilità del terreno (ancorché con abbattimento fino ad un quarto del valore dell’immobile realizzabile su di esso).

Anche il terzo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia deduceva violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 d.lgs. 42/04, per avere la Commissione escluso a priori la demolizione del fabbricato esistente e la ricostruzione di altro fabbricato, posto che tale operazione, ancorché relativa ad un bene vincolato, poteva pur tuttavia essere autorizzata dal ministero per i beni culturali, con conseguenze anche ai fini fiscali, era secondo la Cassazione infondato, dato che, anche in tal caso, l’Agenzia delle Entrate aveva richiamato una possibilità puramente teorica ed astratta, senza però dedurre in giudizio elementi tali da far ritenere attuale e concreta questa eventualità e senza neppure dare conto dell’incidenza economica di questa possibile demolizione/ricostruzione.

E infine, con il quarto motivo, quello che più interessa ai fini generali, l’Agenzia lamentava insufficiente ed illogica motivazione per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto inidoneo il criterio di stima adottato dall’ufficio, nonostante che quest’ultimo si basasse sull’accertamento dell’Agenzia dei Territorio e cioè di un soggetto terzo rispetto all’agenzia delle Entrate (anche se oggi in realtà l’Agenzia del Territorio è stata inglobata proprio all’interno dell’Agenzia delle Entrate), e particolarmente qualificato per i fini istituzionali da esso perseguiti.

Anche tale doglianza, secondo la Suprema Corte, non poteva trovare accoglimento, dato che, in materia di accertamenti tributari, la rettifica del valore di un immobile ben può fondarsi sulla stima dell’UTE o di altro organismo pubblico a ciò preposto nell’ambito delle sue finalità istituzionali, ma tale stima ha lo stesso valore di una perizia di parte, facendo piena prova soltanto della sua provenienza, ma non anche del suo contenuto valutativo.

Di conseguenza, il giudice investito dell’impugnativa dell’accertamento, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile solo perché proveniente da un’articolazione dell’Amministrazione finanziaria, nemmeno la poteva considerare di per sé (vale a dire, in ragione dei solo dato formale della sua provenienza ‘pubblica’) dirimente nel supportare l’atto impositivo, dovendo invece verificarne l’idoneità a superare le contestazioni dei contribuente, ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi.

E dunque, pur nell’ambito di un procedimento connotato da ampia incidenza di prove atipiche, il processo tributario, conclude la Corte, è comunque un processo nel quale l’Amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente.

Nel caso di specie, pertanto, la Commissione Tributaria Regionale aveva fatto corretta applicazione di tali principi, argomentando le fonti del proprio convincimento e, soprattutto, le ragioni per cui la stima dell’Amministrazione finanziaria, ancorché basata sull’accertamento di un organo certamente qualificato come l’Agenzia del Territorio, non poteva reputarsi adeguata.

Ancora, infine, con il quinto motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduceva la violazione dell’articolo 7 d.lgs. 546/92, per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso, pur dopo aver ritenuto inidoneo il criterio di stima sintetico-diretto, di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, ovvero altri accertamenti istruttori per verificare la correttezza della stima proposta.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia, tuttavia, sottolineano i giudici di legittimità, l’attivazione dei poteri istruttori ufficiosi di cui all’articolo 7 D.Lgs. 546/92 non costituisce un ‘diritto’ della parte, dal momento che anche nel processo tributario vige il principio generale sull’onere della prova ex articolo 2697 del cod.civ., restando in particolare a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare i presupposti in fatto del maggior valore accertato, inteso quale fondamento della pretesa tributaria dedotta in giudizio.

L’esercizio, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, di poteri istruttori ufficiosi ex art.7 cit. ha dunque natura non vincolata, ma discrezionale, rientrando nella delibazione del giudice di merito e tale esercizio, in ogni caso, non può sortire l’effetto di sollevare la parte dall’onere probatorio del quale è gravata, né di supplire alle carenze istruttorie alle quali la parte stessa abbia dato origine.

Il giudice di merito aveva dunque correttamente ritenuto che, in assenza della proposizione da parte dell’Amministrazione finanziaria di un valido criterio di stima, l’esercizio di qualsivoglia potere istruttorio si risolvesse, appunto, nell’indebita alterazione della regola sull’onere probatorio.

Conclusione non censurabile, anche considerato che la consulenza tecnica d’ufficio costituisce non già un mezzo di prova, ma un mezzo di valutazione tecnica di prove ritualmente acquisite nel giudizio nel rispetto della regola generale di cui all’articolo 2697 cod.civ..

Nella stessa giornata (un vero e proprio “perizia day”), peraltro, la Corte di Cassazione ha depositato altre due sentenze, che confermano i principi sopra evidenziati.

Con la sentenza n. 10222 del 18.5.2016 la Corte ha infatti ribadito che dinanzi al giudice tributario l’Amministrazione si pone sullo stesso piano del contribuente, sicché la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale, costituisce una relazione tecnica di parte e non una perizia d’ufficio.

In ogni caso, anche in quella fattispecie, la Corte evidenziava che la mancata formulazione di istanza di CTU non poteva ripercuotersi, ex se, quale regola di giudizio atta a fondare il convincimento decisorio in danno del contribuente, che peraltro non era nemmeno gravato dall’onere probatorio, laddove la carenza di elementi istruttori doveva piuttosto portare a disattendere la rettifica di valore rispetto al prezzo dichiarato, risolvendosi essa nel mancato assolvimento di un onere probatorio, che, in base alla regola generale di cui all’articolo 2697 c.c., era a carico dell’Amministrazione.

E infine anche con la sentenza n. 10224, sempre del 18.5.2016, i giudici affermavano che la stima dell’Ute non è del tutto priva di idoneità probatoria, ben potendo costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento, anche esclusivo, della sua decisione, ma, tuttavia, il giudice deve sempre spiegare le ragioni per le quali ritenga tale relazione (di parte) corretta e convincente: sia in sé, sia in rapporto a tutte le altre risultanze istruttorie comunque acquisite al giudizio.

Insomma, non basta una perizia, seppur di provenienza di un ente pubblico, a sovvertire gli ordinari criteri di onere probatorio.

15 Novembre 2016

Giovambattista Palumbo