come si applica la disciplina che prevede un pagamento minimo del 20% dei crediti chirografari in caso di concordato misto? La recente novità legislativa lascia aperti dubbi agli operatori del settore…
In tema di concordato una delle novità di principale rottura con il passato, introdotta con la L 132/2015, è l’inserimento della soglia minima del 20% di pagamento dei creditori chirografari.
La novità occupa l’ultimo comma (il quarto) dell’articolo 160 legge fallimentare.
Gli elementi di novità sono riferiti non solo all’evidenza che la quota minima di garanzia costituisce un’ulteriore condizione di ammissibilità del concordato, ma anche alla circostanza che lo strumento previsto per l’adempimento (il pagamento) nel suo ovvio pragmatismo si pone in realtà come una “controriforma” rispetto alla più elastica espressione “soddisfacimento” che pure è ancora presente all’art. 160 c. 1 l.f. e che permetteva un uso più disinvolto della fantasia ai professionisti che si occupano di questa materia.
L’applicazione della soglia di sbarramento è stabilita tuttavia in termini selettivi per i concordati che non rientrano nella nozione di continuità aziendale di cui all’art 186 bis l.f..
Questa divisione, che favorisce in termini di probabilità di successo (quantomeno all’ingresso) il concordato in continuità, ha ovviamente ravvivato la discussione su cosa stia nel perimetro della continuità aziendale o cosa ne rimanga fuori.
Da sempre si fronteggiano tre orientamenti di cui:
- il primo ritiene assorbita all’art 186 bis l.f. qualsiasi conduzione diretta od indiretta dell’azienda alla condizione che il debitore ne abbia l’esercizio al momento del deposito del piano (cfr. Trib. Monza 11/06/2013);
- un secondo orientamento ritiene applicabile la disciplina della continuità ai soli concordati con gestione diretta salvo la possibilità di un trasferimento successivo all’omologa (cfr. Trib. Busto Arsizio 1/10/2014);
- un terzo orientamento valorizza la continuità in termini oggettivi indipendentemente dal fatto che la continuazione del complesso produttivo avvenga direttamente da parte dell’imprenditore o indirettamente da parte di un terzo affittuario, cessionario o conferitario (cfr. Trib. Alessandria 18/01/2016).
La scelta di uno dei tre criteri si riflette anche sulla rilevanza della soglia di pagamento dei creditori di cui all’art 160 c. 4 l.f..
Ma le insidie relative all’applicazione della soglia del 20% sono legate anche ad altre variabili: come si pone la norma di fronte al caso del concordato misto?
Si qualifica “misto” il concordato che proponga ai creditori un piano secondo cui il soddisfacimento derivi non solo dalla prosecuzione dell’attività ma anche dalla liquidazione dei beni.
Già prima della novella di cui alla L 132/2015, la sussunzione di una tale ipotesi nella disciplina del concordato liquidatorio o in quella della continuità era rilevante in quanto solo nel primo caso la fase liquidatoria prevedeva l’adozione di procedure competitive per la vendita dei beni in forza dell’art 182 l.f..
In questo contesto alcuni Tribunali sostengono che la qualificazione del concordato non può che essere in termini di cessione dei beni ogni qualvolta il piano prevede la liquidazione anche solo di una parte del patrimonio (cfr. Trib. Roma 31/7/2015).
Altri (cfr Trib Mantova 19/09/2013; Trib Pistoia 29/10/2015) fanno appello al concetto della “prevalenza” per giungere ad affermare che il regime applicabile sarà quello liquidatorio ogni qual volta il ricavato dalla liquidazione dei beni estranei al segmento della continuità rappresenti la quota principale dell’attivo concordatario.
Il Tribunale di Ravenna (28/04/2015) e di Torre Annunziata (13/04/2016) hanno fatto ricorso ad un criterio diverso e definito “di combinazione” secondo cui il creditore verrà trattato nel rispetto del diverso regime della continuità aziendale (senza applicazione della soglia minima) o della procedura liquidatoria (che comporta il rispetto della soglia minima) a seconda che il soddisfacimento dei creditori derivi come frutto della continuità aziendale o della cessione di beni.
Il criterio offre lo spunto ad una piccola riflessione adesiva in quanto si pone in termini di coerenza rispetto alla causa concreta che il debitore ha impresso al piano concordatario.
Nel piano, il valore degli immobili destinati alla liquidazione può essere perfino rilevante, ma senza per ciò sottrarre al concordato il suo connotato di continuità aziendale ogni qual volta lo sforzo dell’imprenditore è volto a pagare i creditori con il ricavato dall’esercizio dell’attività o dalla sua cessione.
Peraltro gli immobili sono per lo più oggetto di ipoteche e assai difficilmente è possibile pervenire ad un soddisfacimento in danaro dei chirografari, frutto della loro liquidazione.
Senza dire che i chirografari sono coloro che votano e che esprimono il consenso alla prosecuzione dell’attività d’impresa in termini strumentali al proprio soddisfacimento, ritenendosi così coerente che la disciplina della continuità sia applicata interamente ad essi.
Il principio della prevalenza potrebbe essere, remotamente, applicata solo in quei rari casi in cui gli immobili conservassero un valore significativo al netto degli ipotecari, lasciando effettivamente aperta la valutazione se i creditori siano pagati con il ricavato della loro liquidazione o con quello della prosecuzione aziendale.
In tutti i casi (assai prevalenti) in cui sia chiaro od individuabile il filo causale che lega la prosecuzione aziendale al soddisfacimento dei creditori chirografari, il criterio della “prevalenza” deve soccombere di fronte a quello della “combinazione”; sarà in ogni caso utile che il proponente il concordato dia evidenza della fonte da cui i pagamenti traggono origine in modo da fornire al Tribunale elementi di sostegno per la disapplicazione della soglia minima prevista dall’art 160 c. 4 l.f..
30 agosto 2016
Gianfranco Benvenuto