Una holding di partecipazioni che, durante la vigenza di un piano concordatario, si limiti, oltre che a beneficiare del regime del consolidato e a percepire utili da una controllata, a dismettere ordinatamente le proprie partecipazioni, non può beneficiare del regime del concordato con continuità aziendale, non essendo l’attività svolta in concreto qualificabile come oggetto sociale caratterizzante una holding di partecipazioni.
Un caso emblematico che ridefinisce i requisiti sostanziali della continuità nel concordato preventivo.
La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di concordato in continuità aziendale, con specifico riferimento al caso di una holding di partecipazioni.
Il caso: concordato in continuità della holding
Nel caso di specie una società aveva depositato proposta di concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 186-bis Legge fallimentare.
La proposta, poi modificata rispetto a quella originaria, prevedeva – tra l’altro – la continuità aziendale quale holding di partecipazioni e la dismissione e liquidazione sia degli asset non strategici, sia degli immobili, con il mantenimento della partecipazione strategica in altra società.
La proposta era assistita, inoltre, dal supporto finanziario di terzi e degli azionisti di riferimento della debitrice e prevedeva altresì l’emissione di strumenti finanziari partecipativi agganciati alla partecipazione strategica, da destinare al soddisfacimento del ceto chirografario, che veniva soddisfatto nella misura del 15,50%.
Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda di concordato e dichiarava pertanto il fallimento della società, rilevando l’incompletezza della documentazione in punto di soddisfacimento del ceto chirografario, nonché di supporto dei terzi e di emissione degli strumenti finanziari. Il Tribunale osservava poi che non era stata illustrata adeguatamente la convenienza della proposta concordataria rispetto all’alternativa liquidatoria fallimentare e che la ricorrente aveva comunque abusato dello strumento concordatario.
La Corte di Appel