Il fisco può verificare sul posto se l'immobile è di lusso

il Fisco può richiedere l’accesso all’abitazione del contribuente per verificare dal vivo se l’immobile acquistato con le agevolazioni prima casa ricade nelle casistiche di immobile di lusso

villaCon la sentenza n. 13145 del 24 giugno 2016 (ud. 8 giugno 2016) la Corte di Cassazione, nell’affrontare ancora una volta la problematica dell’agevolazione prima casa di lusso, nel vecchio regime, esamina, per la prima volta, la questione dei poteri di controllo esterni in materia di imposta di registro.

 

La sentenza

In apertura, la Corte prende atto della difficoltà interpretativa della norma e dell’assenza di precedenti.

La disciplina degli accessi contenuta nell’art. 52 D.P.R. n. 633/72, “cui finisce per rimandare il doppio rinvio ex art. 53 bis D.P.R. n. 131 cit. e art. 33, comma 1, D.P.R. n. 600 cit., non si presenta all’evidenza del tutto compatibile con la disciplina dell’accertamento dell’imposta di registro. E, in particolare, perchè soggetti all’imposta di registro non sono sempre e soltanto imprenditori e professionisti a cui specificatamente si rivolge invece la disciplina degli accessi contenuta nell’art. 52 D.P.R. n. 633 cit..

Di fatto, le soluzioni sono due: o ritenere possibili gli accessi predisposti all’accertamento dell’imposta di registro, soltanto nei confronti di imprese e professionisti aventi partita IVA, oppure verificare se e in quale misura l’art. 52 D.P.R. n. 633 cit. contenga disposizioni compatibili con un accesso predisposto all’accertamento dell’imposta di registro nei confronti di chi non è imprenditore o professionista.

La Corte “ritiene che debba essere innanzitutto valorizzata la chiara intenzione del legislatore di estendere i poteri d’accesso anche nei confronti di chi non è imprenditore o professionista soggetto IVA. Un’intenzione che per es. emerge con una qualche certezza dalla considerazione che già l’art. 51, comma 4, D.P.R. n. 131 cit. ammetteva gli accessi in azienda, con la conseguente illazione secondo cui la aggiuntiva previsione di cui all’art. 53 bis D.P.R. n. 131 cit. non può che essere spiegata con la volontà legislativa di generalizzare il potere di accesso in discussione. E a tal riguardo l’unica disposizione che si presenta compatibile con l’accesso strumentale all’accertamento dell’imposta di registro nei confronti di chi non è soggetto IVA, deve essere rinvenuta nell’art. 52, comma 2, D.P.R. n. 633 cit. che permette di effettuare accessi anche in private abitazioni previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni fiscali”.

In ordine alla questione se l’immobile possa essere considerato di lusso o meno, la Corte ribadisce che la questione della “abitabilità” dei vani non incide su quella della “superficie utile complessiva“, in base alla quale devesi stabilire se un’abitazione sia o no di lusso ai sensi dell’art. 6 D.M. del 1969 cit, ed essendo unicamente rilevante quello della sua “utilizzabilità” e “come in effetti è stato correttamente statuito dalla CTR quando quest’ultima ha fatto riferimento alla semplice utilizzazione, di spazi dichiarati come accessori, che erano di fatto abitati e assimilabile agli altri vani principali dell’abitazione (Cass. sez. trib. n. 1173 del 2016; Cass. Sez. trib. n. 25674 del 2013)”.

 

La norma

L’art. 53-bis, del D.P.R. n. 131/86, ha esteso al comparto registro i poteri propri delle imposte sui redditi e dell’Iva. In pratica, le attribuzioni ed i poteri di cui agli artt. 31 e ss. de D.P.R. n. 600/73 possono essere esercitati anche ai fini dell’imposta di registro, nonché delle imposte ipotecaria e catastale.

Sul punto, la circolare n. 6/E del 6 febbraio 2007 (p. 2.2), peraltro citata e interpretata dalla Cassazione, rileva che “l‘innovazione in esame consente ai funzionari dell’Amministrazione Finanziaria, muniti di apposita autorizzazione, di eseguire accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi ove viene esercitata un’attività commerciale, agricola, artistica o professionale, quando l’attività stessa abbia riflessi sull’imposta di registro”.

Ma a nostro avviso, come peraltro evidenziato nella stessa circolare citata, l’accesso in luoghi diversi da quelli indicati sopra può essere sempre eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, in caso di gravi indizi di violazione della normativa che disciplina i tributi in argomento (e come vedremo nel prosieguo ribadito nella circolare n. 16/2016).

La materia dei controlli ai fini del registro oggi è sotto i riflettori. Sul punto, la citata circolare n. 16/2016, con la quale sono stati diramati gli indirizzi operativi per il corrente anno, ha invitato gli uffici operativi a prestare particolare attenzione alla fase della selezione degli atti da sottoporre a controllo concentrando, in tal modo, le risorse disponibili sulle fattispecie con significativi ed elevati profili di rischio ed incontrovertibilmente interessanti, sia dal punto di vista della proficuità che della sostenibilità della pretesa tributaria.

A tal fine, con riferimento agli atti aventi ad oggetto immobili, segnala l’opportunità per i responsabili delle Direzioni provinciali di coinvolgere gli Uffici Provinciali-Territorio (oggi incardinati nell’ambito delle DP delle Entrate) nella delicata fase degli atti da sottoporre a controllo, “mediante la costituzione di appositi gruppi di lavoro, che facilitino lo scambio di informazioni e permettano la condivisione delle conoscenze e delle esperienze”.

Tra i possibili criteri selettivi, la circolare n. 16/2016 segnala l’importanza dello scostamento esistente tra il valore dichiarato nell’atto e i valori OMI, ricavabile tramite l’apposito applicativo che consente agli uffici di procedere autonomamente all’analisi e selezione degli atti da sottoporre a controllo, previa individuazione di una soglia di scostamento ritenuta critica.

Tuttavia, gli estensori del documento di prassi in esame, sottolineano “che le quotazioni OMI – pur costituendo un punto di riferimento importante perché derivanti da puntuali analisi del mercato immobiliare – rappresentano solo il dato iniziale ai fini dell’individuazione del valore venale in comune commercio, per cui dovranno essere necessariamente integrate anche dagli ulteriori elementi in possesso dell’ufficio o acquisiti tramite l’attività istruttoria”, e quindi richiamano quanto previsto dall’art. 51, del D.P.R. n. 131/86, sopra visto.

Per quanto riguarda le modalità istruttorie, viene sottolineata, anche per tale settore impositivo, pur non essendovi obbligo normativo, “l’inderogabile necessità di utilizzare l’istituto del contraddittorio con il contribuente prima dell’emissione dell’avviso di rettifica, quale efficace metodo per il rafforzamento della quantificazione della pretesa tributaria e la riduzione della conflittualità nel rapporto con il contribuente. Il confronto preventivo, infatti, costituisce la modalità istruttoria più valida, poiché consente al contribuente di fornire chiarimenti e documentazione utili a inquadrare in modo più realistico la fattispecie oggetto di stima e, nello stesso tempo, permette all’Amministrazione finanziaria di pervenire a valutazioni più trasparenti e sostenibili”.

Inoltre, viene ricordato nella circolare in esame che, nell’ambito delle attribuzioni e dei poteri previsti dall’art. 53-bis del TUR, che ha reso applicabili ai settori impositivi in esame gli artt. 31 e seguenti del D.P.R.n.600/73, è possibile procedere anche all’accesso presso l’immobile (con le garanzie previste per gli accessi presso le abitazioni private) o l’azienda oggetto del controllo al fine di reperire ulteriori informazioni non ricavabili esclusivamente attraverso la documentazione o gli elementi in possesso dell’ufficio. Tale modalità istruttoria, risulterà particolarmente utile nei casi di elevato scostamento tra il valore dichiarato e quello stimato. Naturalmente, in particolare per le aziende, gli accessi dovranno essere programmati in un lasso temporale strettamente ravvicinato alla data di stipulazione dell’atto sottoposto a controllo.

In ogni caso, evidenzia la circolare n. 16/2016, “si ritiene opportuno acquisire conoscenza diretta dello stato esteriore e delle caratteristiche degli immobili e della zona in cui sono ubicati, acquisibile anche tramite un sopralluogo o con gli strumenti informatici disponibili in ufficio ed anche accedendo ad Internet. Ciò consente di evidenziare meglio le analogie e le differenze tra l’immobile da valutare e quelli presi come riferimento, sulla base delle principali caratteristiche che influenzano i prezzi di mercato della tipologia di immobile in esame. L’allegazione all’avviso di rettifica dell’immagine dell’immobile può costituire un ulteriore supporto alla motivazione della rettifica”. Quindi, in alternativa al sopralluogo diretto, potrebbe essere utilizzato Google Maps, che consente di avere una rappresentazione virtuale dell’immobile o della zona in cui insiste.

Anche in ordine ai controlli sull’occultamento di corrispettivo, viene evidenziato che “la presenza di una notevole differenza percentuale tra il corrispettivo dichiarato per l’immobile trasferito e il valore OMI di riferimento può costituire solo un indizio di evasione. Pertanto, è necessario individuare ulteriori elementi a sostegno della pretesa, facendo ricorso anche ad altri strumenti istruttori, come le indagini finanziarie con le cautele sopra indicate” ( vengono richiamate le istruzioni fornite con la circolare n. 6/E del 6 febbraio 2007).

 

I precedenti giurisprudenziali sul “lusso” della Corte di Cassazione

Il “lusso” è stato più volte oggetto di esame da parte della Cassazione. Segnaliamo gli interventi più recenti e significativi, su alcuni aspetti dell’immobile:

  • la sentenza n. 10807 del 28 giugno 2012 (ud. 18 aprile 2012) con cui la Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di agevolazioni prima casa, anche il piano interrato, non conforme ai regolamenti edilizi, fa parte della superficie utile per far scattare il cd. lusso;

  • la sentenza n. 21791 del 5 dicembre 2012 (ud. 17 ottobre 2012) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che l‘applicazione dell’agevolazione fiscale contemplata per l’acquisto della prima casa postula che l’abitazione sia considerata non di lusso al momento dell’acquisto, e non già in quello della costruzione;

  • la sentenza n. 12517 del 22 maggio 2013 con cui la Corte di Cassazione rileva che anche nell’ipotesi in cui la casa diventa di lusso si perdono le agevolazioni;

  • la sentenza n. 12942 del 24 maggio 2013 (ud. 4 aprile 2013) dove la Corte di Cassazione richiama e fa sua la precedente giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 23591/ 2012, 10807/2012 e 22279/2011), che “si è, di recente, ormai, attestata nel senso di ritenere che, nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso, debba computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorchè privi dell’abitabilità (in questo caso, da intendersi come conformità alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità – oggi agibilità, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 24), in quanto: a) tale requisito, nel senso qui specificato, non è richiamato dal D.M. 2 agosto 1969; b) quel che unicamente rileva ai fini del computo della superficie utile è l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana; c) non è possibile alcuna interpretazione che amplii la sfera operativa della disposizione, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere, in materia fiscale, non sono passibili di interpretazione analogica”;

  • la sentenza n. 14162 del 5 giugno 2013 (ud. 17 aprile 2013) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che se il magazzino diventa pinacoteca il contribuente perde le agevolazioni prima casa. Secondo l’Ufficio, l’abitazione, pur non oltrepassando i mq. 240, doveva comunque ritenersi di lusso in relazione ad un magazzino di mq. 496, trasformato in galleria d’arte, che non poteva essere considerato pertinenza. In effetti, rileva la Corte, “la CTR non ha sufficientemente spiegato l’affermazione di esistenza del fatto costitutivo del rapporto di pertinenza dedotto in lite, questo rappresentato dalla indispensabile esistenza di una oggettiva subordinazione funzionale della galleria d’arte rispetto all’abitazione (Cass. sez. 2 n. 9911 del 2006; Cass. sez. 2 n. 4599 del 2006). La insufficiente motivazione circa l’esistenza del ridetto fatto decisivo e controverso della subordinazione funzionale, impone di cassare con rinvio”;

  • la sentenza n. 22945 del 9 Ottobre 2013, dove la Corte di Cassazione ha confermato che superati i 240 mq, la prima casa acquistata, è da ritenersi “di lusso”. Per la Corte, “la superficie utile” dell’immobile “va computata sottraendo dall’estensione globale indicata nell’atto di acquisto, sottoposto all’imposta, gli ambienti espressamente esclusi (balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchine)”. Inoltre, rilevano i giudici, non appare possibile non ritenere di lusso una abitazione come quella in questione, individuata come “villa unifamiliare su due piani fuori terra e seminterrato, composta di ben tredici vani”;

  • la sentenza n. 25674 del 15 novembre 2013 (ud. 18 settembre 2013), ove la Corte di Cassazione ha affermato che la “superficie utile complessiva” non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile” (Cass. sez. trib. n. 1087 del 2012; del resto, anche l’anteriore Cass. sez. 1 n. 6466 del 1985, aveva considerato l’abitabilità un criterio non esclusivo al fine dellindividuazione della categoria giuridica della “superficie utile complessiva” di cui al D.M. 02/08/1969, art. 6). In effetti, osserva la Corte, “la utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dalla sua abitabilità; ed è quello più idoneo ad esprimere il carattere lussuoso o meno di una casa. Cosicchè, la possibilità di conseguire una facile abitabilità, mediante, per esempio, un semplice adeguamento dei rapporti aereo-illuminanti, consente di ritenere utile la superficie abitativa; e, il tener conto di questa marcata potenzialità abitativa, si ripete, meglio consente di individuare ciò che è di lusso o meno sul piano del mercato immobiliare, che, come noto, una tale disponibilità di superficie valorizza”;

  • l’ordinanza n.12471 del 17 giugno 2015, dove la Corte di Cassazione determina il lusso sulla base dei vani e della superficie complessiva. La Corte, dopo aver preso atto che in base all’art. 6, d.m. n. 1072 del 2.08.1969, sono classificate come abitazioni di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)“, ha confermato che “… a) nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi dell’abitabilità, in quanto requisito non richiamato dal DM 2 agosto 1969; b) non è possibile alcuna interpretazione che ne ampli la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica (cfr. Cass. n. 10807 del 2012); Cass. 17439/2013; Cass. n. 12942/2013,Cass. n. 8992/2013; Cass.n. 5692/14; Cass.n.7158/2014”. Inoltre, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della “prima casa“, occorre fare riferimento alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, “in forza del quale è irrilevante il requisito dell’abitabilità dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” di un’abitazione – Cass.n.25674/13; Cass. n.23591/12;Cass.n. 10807/12”;

  • con l’ordinanza n.21908 del 27 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha affermato che in presenza di una villa, con superfice inferiore a 240 mq ma dotata di piscina, quest’ultimo elemento è idoneo in astratto a configurare il carattere di lusso di un’abitazione ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 4 (e ciò è stato totalmente pretermesso dalla CTR che si è unicamente incentrata, per escludere il carattere lussuoso dei beni, sulla superficie dell’immobile e sulla sua cubatura). Inoltre, in tema di IVA, “nel caso in cui la cessione di una casa di abitazione di lusso venga assoggettata, usufruendo indebitamente dell’agevolazione per la prima casa, all’IVA con aliquota del 4%, ai sensi del disposto del n. 21) della parte seconda della Tabella A allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in luogo di quella ordinaria del 20%, l’Ufficio emette l’avviso di liquidazione della maggiore imposta dovuta direttamente nei confronti dell’acquirente dell’immobile medesimo, in quanto l’applicazione dell’aliquota inferiore da parte del venditore dell’immobile è derivata da una dichiarazione mendace dell’acquirente, la quale istituisce – ai sensi dell’art. 1 della nota II-bis della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, richiamato dalla seconda parte del predetto punto n. 21), – un rapporto diretto tra l’acquirente stesso e l’Amministrazione finanziaria – cfr. Cass. n. 26259/2010; Cass. n. 10807/2012“;

  • con la sentenza n.9202 del 6 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha ritenuto rilevante, ai fini del calcolo per l’immobile di lusso, l’utilizzabilità della superficie.

 

Il nuovo dettato normativo

L’art.33 del D.Lgs. n. 175 del 21 novembre 2014 ha modificato i criteri per l’individuazione delle case di abitazione per le quali è possibile fruire dell’agevolazione “prima casa” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (applicazione dell’aliquota ridotta del 4%).

In particolare, per effetto delle modifiche apportate dalla citata disposizione al numero 21 della Tabella A, parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, l’aliquota IVA del 4% si applica, ricorrendo le ulteriori condizioni previste a tal fine, agli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione (anche in corso di costruzione) classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse dalle seguenti:

  • cat. A/1 – abitazioni di tipo signorile;

  • cat. A/8 – abitazioni in ville;

  • cat. A/9 – castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici.

L’applicazione dell’agevolazione IVA “prima casa” viene, quindi, vincolata alla categoria catastale dell’immobile, non assumendo più alcun rilievo le caratteristiche previste dal decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, che contraddistinguono gli immobili “di lusso”.

Come rilevato dalla circolare n. 31/E del 30 dicembre 2014, la norma introdotta allinea la nozione di “prima casa” rilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA del 4% “alla definizione prevista dalla disciplina agevolativa in materia di imposta di registro (i.e. aliquota nella misura del 2 per cento per i trasferimenti delle case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9). Pertanto, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, in sede di stipula dell’atto di trasferimento o di costituzione del diritto reale sull’abitazione per il quale si intende fruire dell’aliquota IVA del 4 per cento, deve essere dichiarata la classificazione o la classificabilità catastale dell’immobile nelle categorie che possono beneficiare del regime di favore (cat. A/2 – abitazioni di tipo civile; cat. A/3 – abitazioni di tipo economico; cat. A/4 – abitazioni di tipo popolare; cat. A/5 – abitazioni di tipo ultra popolare; cat. A/6 – abitazioni di tipo rurale; cat. A/7 – abitazioni in villini; A/11 – abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi), oltre all’attestazione della sussistenza delle ulteriori condizioni prescritte per usufruire dell’agevolazione (cfr. Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131)”.

Precisano gli estensori del documento di prassi citato, “qualora in sede di stipula di contratto preliminare di vendita sia stata effettuata la classificazione dell’abitazione come immobile “di lusso” ai sensi del decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, con la conseguente applicazione dell’imposta agli acconti sul prezzo di compravendita con un’aliquota superiore all’aliquota del 4 per cento, è possibile rettificare le relative fatture mediante variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, al fine di applicare l’aliquota IVA del 4 per cento sull’intero corrispettivo dovuto (cfr. risoluzione 7 dicembre 2000, n. 187). Resta inteso che l’agevolazione IVA prima casa non trova applicazione in relazione ai trasferimenti di immobili non abitativi, quali quelli rientranti nella categoria catastale A/10 – uffici e studi privati”.

7 luglio 2016

Gianfranco Antico