Delega di firma: l'eccezione va fatta in primo grado

secondo questa interpretazione il difetto di firma dell’avviso di accertamento non può essere eccepito per la prima volta in appello atteso che non è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio: tale vizio di sottoscrizione dell’atto accertativo deve essere proposto con il ricorso di primo grado e non può essere rilevato d’ufficio dal Giudice

giudice2-immagineIl difetto di firma dell’avviso di accertamento non può essere eccepito per la prima volta in appello atteso che non è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.

Il principio è contenuto nella sent. n. 381/2016 Cass. da cui emerge che il vizio di sottoscrizione dell’atto deve essere proposto con il ricorso di primo grado e non può essere rilevato d’ufficio dal giudice

Giurisprudenza

La questione in esame, divenuta oggetto di vari pronunciamenti della Corte di Cassazione, riguarda un considerevole numero di funzionari (circa 800) a cui è stato conferito un incarico dirigenziale dall’Agenzia delle entrate prorogato più volte nel tempo.

Trattasi di incarichi a contratto concessi dall’Agenzia delle entrate senza il superamento di una procedura concorsuale nonché il sistema di assegnazione dei incarichi dirigenziali ai funzionari – ciò che fino a qualche anno fa poteva effettuarsi facendo ricorso all’istituto della cd Reggenza -, secondo l’applicazione non conforme alla legge dell’art. 19, comma 6, del D Lgs n. 165/2001 secondo cui è possibile assegnare incarichi dirigenziali a funzionari interni, sulla base del presupposto di essere funzionari.

Gli incarichi di cui trattasi sono previsti dall’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate e hanno consentito il conferimento di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non in possesso della relativa qualifica (fino al 2010). Tali dirigenti a vario titolo sono i direttori provinciali “reggenti”; i dirigenti “incaricati” che sottoscrivono gli atti su delega dei reggenti.

La vicenda, com’è noto, trae origine dalla decisione n. 37/2015 della Corte Costituzionale che ha ritenuto l’illegittimità costituzionale delle posizioni occupate dai suddetti funzionari.

La Corte di Cassazione con le sentenze nn. 18448/2015, 22800, 22803 e 22810 ha affermato che gli atti firmati dagli “ex dirigenti” incaricati, decaduti a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, purché trattasi di capi dell’ufficio fiscale che non devono necessariamente essere dirigenti, a condizione che fosse legittimato da una particolare delega, e che le forme di invalidità non sono rilevabili d’ufficio né si possono far valere per la prima volta nel giudizio di cassazione.

Con successiva sentenza la Suprema Corte ha ritenuto che gli accertamenti sono nulli tutte le volte che gli avvisi non risultano sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un funzionario validamente delegato. L’accertamento, in particolare, è nullo ai sensi dell’art. 42, del Dpr n. 600/1973 se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo ufficio titolare ma di un funzionario della carriera direttiva, incombe all’Amministrazione dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega. I giudici di legittimità, nel precisare che solo in alcune specifiche ipotesi opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio è adottato, hanno affermato che l’orientamento in rassegna non è contraddetto dalla sent n. 22800/2015 che, seppur ponendo l’accento sull’impiegato della carriera direttiva, ribadisce che se viene contestato un specifico atto di delega da parte del capo ufficio incombe all’Amministrazione fornire la prova della non sussistenza dell’atto. Quanto precede sia in virtù del principio di leale collaborazione che grava sulle parti processuali che in virtù del principio della vicinanza della prova, non essendo consentito nemmeno al giudice attivare d’ufficio poteri istruttori (Cass n. 18758/2014; 1704/2013). (Cass. n. n. 24492/2015 ).

Si segnala, non da ultimo, l’ord . n. 21307/2015 Cass secondo cui nel giudizio di legittimo non può trovare riconoscimento per la prima volta la sottoscrizione dell’accertamento, sia per le norme che regolano il processo tributario sia per i principio che disciplinano il giudizio di Cassazione.

Sull’argomento in esame si annoverano numerosi pronunciamenti di merito tra cui la sentenza n. 184/13/2015 della CTR di Milano, sentenza che si aggiunge ad altro analogo intervento della CTP di Milano (sent. n. 3222/25/2015); della CTP di Frosinone sentenza n. 414/02/2015; della CTP di Brescia sentenza n. 277/1/2015 ed alle sentenze 1789/02/2015 e 1790/02/2015 della CTP di Lecce.

Fattispecie

Nel caso in esame il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento eccependo, soltanto in appello, la mancata notifica della delega insieme all’accertamento nonché di non aver provato l’appartenenza alla carriera direttiva del funzionario firmatario dell’atto, In primo grado il ricorso non è stato accolto mentre i giudici di appello hanno ritenuto la fondatezza e l’ammissibilità del ricorso atteso che, pur essendo un motivo “nuovo” proposto per la prima volta in appello, escluderebbe una nullità rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado. L’ufficio finanziario ha proposto ricorso per cassazione.

I giudici di legittimità hanno rilevato che la sentenza della Commissione di appello – in cui si evidenzia che la sottoscrizione apposta sull’avviso di accertamento da un funzionario delegato dal Direttore Provinciale, seppur presentandosi come “nuovo” in quanto non proposto in primo grado, affronta la questione di una nullità insanabile che può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio -, si pone in contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte.

La sanzione prevista dall’art. 42, comma 3, del Dpr n. 600/1973 (“L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione…”) in caso di accertamento privo di firma non è applicabile il regime riguardante i vizi di “nullità” dell’atto amministrativo. Da ciò consegue che si pone in contrasto con il sistema normativo tributario l’affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo nullo, il contribuente possa far valere tale vizio per la prima volta impugnando l’atto conseguenziale ovvero che possa essere fatto rilevato d’ufficio dal giudice tributario.

Alla luce di quanto precede la sentenza impugnata non ha risposto al principio di cui sopra e la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’ufficio finanziario, rinviando la causa ad altra sezione della commissione tributaria regionale.

Abbiamo dedicato un dossier al contenzioso contro i dirigenti privi di delega

26 marzo 2016

Enzo Di Giacomo