Il mancato incasso di affitti da parte di società, che devono dichiarare ugualmente i ricavi maturati: analisi del problema e possibili soluzioni

il reddito imponibile delle società commerciali viene dichiarato in base al principio di competenza: ciò significa che i componenti reddituali positivi devono essere comunque inclusi nella base imponibile, indipendentemente dall’effettiva percezione; tale normativa causa problematiche fiscali in relazione all’ipotesi di mancato incasso di canoni di locazione

 

Aspetti generali

Come è noto, il reddito imponibile delle società commerciali viene dichiarato in base al principio di competenza: ciò significa che i componenti reddituali positivi devono essere comunque inclusi nella base imponibile, indipendentemente dall’effettiva percezione.

Tale situazione causa in particolare alcune problematiche in relazione all’ipotesi di mancato incasso di canoni di locazione, salvo che non sia già intervenuta una formale procedura di sfratto.

Questa regola tuttavia vale solamente per gli immobili abitativi in attuazione delle disposizioni generali in materia di locazioni; al contrario, se l’immobile è strumentale all’attività di impresa, ovvero «merce» perché commercializzato dall’impresa stessa, i canoni locativi vanno comunque dichiarati in base al principio di competenza fino al verificarsi della formale risoluzione del contratto.

Tipologie immobiliari per le imprese

Le imprese possono possedere immobili che concorrono in vario modo all’attività, ovvero non vi concorrono e sono semplicemente tenuti a disposizione.

Sotto il profilo tributario, i beni immobili delle imprese – fabbricati e terreni – si suddividono in:

  • strumentali per destinazione (art. 43, primo comma, primo periodo, TUIR);

  • strumentali per natura (art. 43, primo comma, secondo periodo, TUIR);

  • immobili «merce», produttivi di ricavi secondo le previsioni dell’art. 85 del TUIR;

  • «patrimoniali» (art. 90, TUIR).

Si rammenta che sono strumentali:

  • per destinazione, tutti gli immobili – civili o commerciali – utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’impresa da parte del loro possessore;

  • per natura, gli immobili che, per le loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, anche se non utilizzati o concessi in locazione o in comodato.

Gli immobili-merce, ovvero immobili del «magazzino», sono iscritti nel conto economico nell’attivo circolante e non tra le immobilizzazioni materiali, e sono tipicamente detenuti dalle imprese di costruzione e rivendita immobiliare.

Sotto il profilo civilistico un bene immobile può essere «non strumentale» se esso, già destinato all’attività economica dell’impresa, è temporaneamente non utilizzato nell’attività produttiva, ed eventualmente concesso in locazione. Sotto il profilo fiscale, invece, il bene materiale o è «strumentale», e pertanto partecipa al reddito dell’impresa indirettamente, concorrendo alla produzione dei ricavi ottenuti concorrendo allo svolgimento dell’attività economica propria, oppure esso è un «bene-merce», costituente il «magazzino», poiché destinato a essere impiegato nella vendita, oppure nella trasformazione o comunque nella predisposizione di operazioni atte a produrre direttamente un beneficio economico, inquadrabile nella definizione di «ricavo» ex art. 85 del TUIR.

Sono invece «patrimoniali» gli immobili che non sono né strumentali, né «merce», i cui redditi concorrono al reddito complessivo dell’impresa secondo i coefficienti catastali, ovvero, se superiori, in ragione dei canoni locativi percepiti.

Il reddito degli immobili patrimoniali

Gli immobili situati in Italia, diversi da quelli strumentali e da quelli costituenti il «magazzino» (tipicamente, dell’impresa di costruzioni) concorrono alla formazione del reddito d’impresa secondo criteri catastali, e le spese ad esse afferenti sono fiscalmente indeducibili (art. 90, TUIR). La cessione di tali immobili genera plusvalenze imponibili ai sensi dell’art. 86 del TUIR.

L’indeducibilità dei componenti reddituali negativi appare giustificata dal fatto che si tratta di beni in qualche modo isolati dal compendio patrimoniale impiegato nell’esercizio dell’attività d’impresa, e per tale motivo le relative spese sono oggetto dell’«abbattimento» forfetario del 15% (25% per Venezia e le isole) del canone di locazione (art. 37, comma 4-bis, TUIR), o si intendono comunque «assorbite» dall’utilizzo del criterio catastale (art. 37, primo comma, TUIR).

Giacché i redditi degli immobili patrimoniali (non strumentali né «magazzino»), se situati in Italia, seguono le regole del Titolo I del TUIR, per essi operano sia le disposizioni in materia di esclusione dal reddito in caso di sfratto, sia quelle in materia di credito di imposta.

Gli immobili delle società non operative

Il possesso di beni immobili da parte delle imprese, e in particolare delle imprese societarie, può porre dei problemi sotto il profilo della normativa speciale delle società non operative (art. 30, L. n. 724/1994), e delle più recenti disposizioni che a queste assimilano le società in perdita [c.d. sistematica] per cinque periodi di imposta consecutivi, ovvero per quattro periodi, se in un ulteriore periodo del quinquennio di osservazione dichiarano un reddito inferiore a quello minimo presunto calcolato sulla base del medesimo art. 30.

Sono considerate non operative, con i conseguenti notevoli svantaggi fiscali, le società che non conseguono un ammontare minimo di ricavi, altri proventi e incrementi delle rimanenze, determinato secondo l’applicazione di percentuali fisse ai beni dell’attivo immobilizzato (immobili, titoli, altre immobilizzazioni).

Se non viene superato il c.d. test di operatività ,dette società devono adeguarsi al c.d. reddito minimo presunto, a sua volta determinato attraverso percentuali fisse (minori di quelle del testdi operatività).

Le penalizzazioni cui vanno incontro questi soggetti sono notevoli, e consistono, oltre che nell’applicazione della «super IRES», nell’obbligo di dichiarare il reddito minimo presunto (che si riflette anche sulla determinazione della base IRAP), e nel vincolo all’utilizzo del credito IVA.

Finora, l’unico modo per liberarsi delle presunzioni legali, e delle indicate conseguenze, consisteva nel ricevere una risposta positiva dalla competente direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate, in esito alla procedura di disapplicazione ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, il cui esperimento, tramite apposita istanza, veniva configurato dalla stessa Agenzia come obbligatorio [circolare dell’Agenzia delle Entrate 14.6.2010, n. 32/E].

Il c.d. decreto interpello, attualmente in itinere [A.S. 184], prevede l’introduzione di nuove disposizioni (inserite nel testo del citato art. 30), in forza delle quali l’obbligatorietà dell’istanza viene abbandonata a favore di una facoltatività che prevede la possibilità di sostituire l’istanza stessa con una indicazione in dichiarazione (art. 7, c. 12, dello schema di decreto)1.

Ma come «gioca» la presenza di immobili nel patrimonio delle società non operative, ovvero delle società in perdita sistemica?

Quella delle «immobiliari» in generale è una delle categorie maggiormente coinvolte nell’applicazione della normativa speciale (ci si riferisce sia alle disposizioni in materia di società non operative «classiche», sia a quelle in materia di «perdite sistemiche»), giacché la loro attività è legata a cicli di produzione e vendita pluriennali, e soprattutto nel presente periodo di crisi protratta del mercato i costi sostenuti non sono sempre fronteggiati da adeguati ricavi.

Va detto a tale riguardo che le immobiliari di compravendita detengono gli immobili nell’attivo circolante, e quindi non sono particolarmente danneggiate dall’applicazione dell’art. 30 della L. n. 724/1994, però possono facilmente trovarsi in situazione di perdita sistemica.

In questo contesto il mancato incasso di canoni locativi, a causa della morosità del conduttore, può causare notevoli problemi dal momento che la società continua a rimanere per il fisco non operativa anche se non percepisce alcun «flusso economico», dato che i proventi della locazione comunque entrano nel conto economico con le relative conseguenze tributarie.

L’intassabilità in caso di sfratto e il credito di imposta

In base all’art. 26, primo comma, secondo periodo, del TUIR nel testo attualmente vigente [già art. 23, primo comma, secondo periodo], i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.

Tale regola, che si applica ai soli canoni di locazione ad uso abitativo di immobili, è stata introdotta dall’art. 8, quinto comma, della L. 9.12.1998, n. 431, e risulta applicabile sia per i soggetti IRPEF, sia per le società e gli enti soggetti all’IRES.

Come si è visto, le disposizioni del TUIR prevedono che i redditi da locazione di immobili abitativi, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti, secondo quanto accertato nel procedimento di convalida di sfratto per morosità, è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.

Tale circostanza non è prevista per gli immobili strumentali, come è stato recentemente confermato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 11.5.2014, n. 11/E.

Con riferimento alle locazioni di immobili abitativi, l’esclusione dei canoni non riscossi dall’imponibile opera solamente in presenza delle seguenti condizioni:

  • l’immobile risulta locato a uso abitativo;

  • il conduttore risulta moroso rispetto ai canoni locativi;

  • si è concluso il procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto.

Con riferimento alla prima condizione, si rammenta che rientrano nel concetto di immobili ad uso abitativo tutti gli immobili classificati nella categoria catastale A, ad eccezione della categoria A/10.

È irrilevante che l’immobile abbia o meno la qualifica di lusso, essendo sufficiente la semplice destinazione d’uso del bene oggetto del contratto di locazione.

Per quanto riguarda la seconda condizione (ossia la morosità del conduttore), è necessaria una puntuale verifica fattuale, coordinando quanto stabilito nel contratto di locazione con le disposizioni di cui alla L. n. 392/1978 e in particolare con le disposizioni di cui all’art. 5, secondo cui il mancato pagamento del canone, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nei termini previsti, degli oneri accessori, quando l’importo pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell’art. 1455 c.c. e salva la sanatoria della morosità nel termine concesso ai sensi dell’art. 55 della legge del 19782.

Le situazioni possibili

Per quanto visto sopra:

  • se al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi è già intervenuta la sentenza di sfratto per morosità, il contribuente deve dichiarare i soli canoni percepiti, omettendo di dichiarare i canoni di locazione non riscossi;

  • se al momento della presentazione della dichiarazione non è ancora intervenuta la sentenza di sfratto per morosità, il contribuente è costretto a dichiarare i canoni non riscossi e a versare le relative imposte, ma ha la possibilità, in occasione della prima dichiarazione dei redditi utile e comunque entro il termine di prescrizione decennale, di fruire di un credito di imposta in ragione delle imposte versate sui canoni non riscossi.

Il locatore che concede in locazione un immobile strumentale (opifici – D/1, uffici – A/10….) non gode del medesimo regime di favore, dovendo versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso.

Questo principio è stato confermato dall’Agenzia delle Entrate, (C.M. n. 150/E/1999 e C.M. n. 101/E/2000) la quale ha affermato che «per gli immobili locati per uso diverso da quello abitativo, nonché in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone di locazione va comunque sempre dichiarato così come risultante dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tal caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo».

La stessa interpretazione è stata fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza 26.07.2000 n. 326, con la quale ha stabilito che:

  • i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e quindi risulta dovuto un canone locativo;

  • la tassazione può essere evitata quando la locazione è cessata oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, per specifica clausola risolutiva espressa), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile.

Queste ultime puntualizzazioni della Consulta, come si vedrà, sono la chiave per poter escludere dal reddito imponibile anche i canoni non riscossi per la locazione di immobili strumentali.

I canoni non riscossi per immobili strumentali

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/E del 21.5.2014 – paragrafo 1.3 – ha esaminato la problematica costituita dalla mancata riscossione di canoni relativi a un fabbricato di categoria catastale C1 (negozi e botteghe), a seguito della morosità del conduttore.

L’Agenzia ha richiamato al riguardo il predetto art. 26, primo comma, del TUIR, secondo il quale i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo del locatore indipendentemente dalla percezione.

Per il reddito da locazione non è quindi richiesta, ai fini dell’imponibilità del canone, la materiale percezione di un provento.

Se il reddito fondiario è costituito dal canone locativo, non rileva il canone effettivamente percepito dal locatore, bensì l’ammontare di esso contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento.

La rilevanza del canone pattuito, anziché della rendita catastale, opera fin quando è in vita il contratto di locazione. Solamente a seguito della cessazione della locazione, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto, il reddito è determinato sulla base della rendita catastale.

Per le sole locazioni di immobili ad uso abitativo è previsto che i relativi canoni, se non percepiti, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del locatore dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Conseguentemente, tali canoni non devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi se, entro il termine di presentazione della stessa, si è concluso il procedimento di convalida di sfratto per morosità.

Nel caso in cui il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti il provvedimento giurisdizionale, al locatore è riconosciuto un credito d’imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti.

Per le locazioni di immobili non abitativi non è stata prevista una disposizione analoga. Il relativo canone quindi, ancorché non percepito, deve essere comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo.

Le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.

Al riguardo l’Agenzia fa richiamo alla già citata sentenza della Consulta n. 362/2000, che nel ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 [ora 26] del TUIR per l’irragionevolezza delle norme in materia di locazioni non abitative ha motivato puntualizzando che per queste ultime che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione [dalla clausola risolutiva espressa ex art. 1456 del codice civile, alla risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454, all’azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss. del codice di procedura civile].

Azionando tali rimedi civilistici, il locatore «non abitativo» – privato o impresa che sia – può rendere applicabile la regola generale di attribuzione del reddito fondiario fondata sulla rendita catastale.

Le locazioni poste in essere da imprese

Le conseguenze reddituali dei canoni locativi possono essere differenti a seconda che la locazione sia posta in essere da un soggetto esercente un’attività commerciale ovvero da un soggetto privato.

Mentre infatti nel primo caso emerge in capo al locatore un reddito di impresa, nella seconda situazione si configura un reddito di natura fondiaria.

Quanto ai redditi fondiari, la loro caratteristica comune è di avere una natura prettamente catastale, in quanto le rendite dei cespiti vengono determinate secondo un sistema forfetario, basato su tariffe d’estimo.

L’imputazione soggettiva dei redditi fondiari – che si presentano come dei «redditi medi ordinari» – è in funzione del possesso, qualificato dalla titolarità di un diritto reale e cioè proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.

Tali redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo, indipendentemente dalla percezione, nel periodo d’imposta in cui si è verificato il possesso.

Come si è visto, per i soli immobili abitativi opera una deroga alle regole generali, secondo la quale i redditi corrispondenti ai canoni non riscossi non concorrono all’imponibile se lo stato di morosità del conduttore risulta da un procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto concluso.

Le imposte versate su canoni che la suddetta procedura abbia accertato non essere stati riscossi danno diritto al credito di imposta di pari ammontare.

Resta comunque per fermo l’obbligo di dichiarare il reddito fondiario in base alla rendita catastale. La non imponibilità è infatti riferita ai canoni di locazione non percepiti e non al reddito (figurativo / catastale) dei fabbricati, per cui è sempre assoggettata a tassazione la rendita catastale.

Il calcolo del credito per le imposte già assolte deve essere effettuato ricalcolando le imposte risultanti da ogni dichiarazione dei redditi presentata negli anni precedenti, procedendo alla eliminazione del reddito derivante dal canone di locazione dichiarato [dovrà essere rideterminata per ogni anno l’imposta complessiva, in base alle regole vigenti in ogni periodo].

Per gli immobili locati ad uso diverso da quello abitativo, in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone deve essere comunque dichiarato sulla base delle risultanze contrattuali, ancorché non percepito, senza che sia previsto alcun credito di imposta a favore del locatore.

Le disposizioni sopra esposte rilevano, per effetto del rinvio di cui all’ art. 90 , comma 1, del TUIR, anche ai fini della determinazione del reddito d’impresa, anche se limitatamente ai soli immobili adibiti ad uso abitativo.

Si registra in generale una disparità tra le locazioni abitative (dotate di specifici rimedi in caso di morosità) e quelle commerciali, ma la sperequazione normativa risulta maggiormente intensa per i soggetti non imprenditori, in quanto per le imprese:

  • nel caso di immobili civili (se si tratta di immobili patrimoniali), per effetto del richiamo di cui all’art. 90 del TUIR valgono le regole esposte per i redditi fondiari;

  • nel caso di immobili commerciali, essendo il reddito di impresa di derivazione contabile, le maggiori imposte versate sul canone imputato per competenza a conto economico sono compensate dalla possibilità di cancellare dal bilancio i rispettivi crediti non riscossi, in funzione dei principi contabili comunemente accettati [art. 101, quinto comma, del TUIR, come modificato dall’art. 1, comma 160, della L. n. 147/2014].

     

Le perdite su crediti in generale

Si rammenta, con riferimento a quanto sopra evidenziato, che per effetto delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2014 (art. 1, comma 160, lett. b, L. 27.12.2013, n. 147), l’art. 101, c. 5, u.p., del TUIR stabilisce ora che gli elementi certi e precisi, atti a fondare il diritto alla deducibilità della perdita su crediti in ipotesi diverse dalle procedure concorsuali sussistono anche in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili.

Il generico riferimento ai «principi contabili» consente a tutti i soggetti (IAS e non IAS adopter) di procedere alla deduzione in presenza di eventi realizzativi che determinino la cancellazione del credito dal bilancio (cessione del credito pro soluto, transazione con rinuncia definitiva del debito, rinuncia del credito…), senza la necessità di dimostrare la sussistenza di elementi certi e precisi.

Si osserva che nell’ambito del reddito di impresa le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. 16.3.1942, n. 267.

Nell’ambito delle perdite su crediti che esulano da procedure concorsuali confluiscono sia le perdite per inesigibilità determinate internamente, tramite un processo di stima, sia quelle emergenti nel contesto di un atto realizzativo.

Il campo di applicazione della disposizione non è circoscritto né dal punto di vista oggettivo né sotto il profilo soggettivo: sono quindi potenzialmente riconducibili nell’ambito della disciplina in esame le perdite riferibili a tutti i crediti presenti in bilancio, senza distinzioni relative alla natura degli stessi o all’attività svolta dal creditore, né alla causa che ha comportato l’iscrizione a conto economico della perdita (valutazione del credito o cessione dello stesso).

L’ammontare della perdita deducibile deve essere determinato tenendo conto delle disposizioni di cui ai commi secondo e quinto dell’art. 106 del TUIR (Svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti).

Giacché la perdita dedotta determina un decremento del valore fiscalmente riconosciuto del credito, le eventuali somme ricevute in misura maggiore rispetto al credito residuo dopo la rilevazione della perdita, o le eventuali riprese di valore del credito stesso imputate a conto economico, concorrono alla determinazione del reddito imponibile come sopravvenienze attive (cfr. Risoluzione n. 9/016 del 1° aprile 1981)3.

I locatori non imprenditori di immobili commerciali

Sulla base di quanto si è visto sopra in relazione alla sentenza della Consulta del 2000, la locazione cessata per scadenza del termine, o per l’intervento di qualsiasi causa di risoluzione del contratto, non da’ luogo all’obbligo di dichiarare i canoni non riscossi.

La Corte Costituzionale in effetti, superando i precedenti orientamenti, ha ritenuto che la tassazione del reddito locativo sia correlata alla mera maturazione del diritto del locatore a percepire il reddito stesso.

Pertanto:

  • finché il contratto di locazione è in essere, i canoni non corrisposti sono rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile del reddito fondiario, in quanto questo concorre alla formazione del reddito complessivo in base alla mera titolarità del diritto reale sul fabbricato locato;

  • a seguito della risoluzione contrattuale, le disposizioni di cui all’ art. 26, primo comma, secondo periodo, del TUIR non sono applicabili, in quanto venendo a mancare il diritto del locatore a percepire il canone ne difettano i presupposti impositivi.

La presenza nel contratto di una clausola risolutiva espressa che preveda la risoluzione del negozio al ricorrere di determinati presupposti (quale appunto la morosità del locatario), è quindi sufficiente a escludere per il locatore l’obbligo di dichiarare i canoni non riscossi.

Una volta che la risoluzione si sia verificata, l’obbligazione del corrispettivo a carico del conduttore inadempiente per la restituzione ha natura risarcitoria [art. 1591 c.c.] e non di canone di una locazione ormai risolta.

In definitiva:

Secondo la Suprema Corte, infatti:

  • la rilevanza, ai fini delle imposte sui redditi, del canone di locazione sussiste esclusivamente in vigenza del contratto;

  • in presenza di una causa di risoluzione, rileva esclusivamente la rendita catastale;

  • le somme versate dal conduttore per l’occupazione dell’unità immobiliare, successivamente alla risoluzione del rapporto, rappresentano non un canone bensì un indennizzo a titolo di risarcimento per l’indebita occupazione4.

Abbiamo predisposto un formulario per la riduzione dei canoni di locazioni pattuiti e registrati

17 settembre 2015

Fabio Carrirolo

1 Secondo il «decreto sanzioni» in itinere [Revisione del sistema sanzionatorio – schema di D.Lgs. n. 183 in attuazione degli artt. 1 e 8, primo comma, della L. 23/2014] – cfr. art. 8, c. 3-ter, l’omessa o incompleta segnalazione nel modello di dichiarazione rende applicabile una sanzione fissa di importo variabile tra 2.000 e 21.000 euro.

2LEGGE 27 luglio 1978, n. 392 Disciplina delle locazioni di immobili urbani Art. 55 [Termine per il pagamento dei canoni scaduti].

La morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma e’ di centoventi giorni, se l’inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà.

Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta.

In tal caso rinvia l’udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato.

La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all’articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice.

Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto.

3 A questo riguardo l’Agenzia delle Entrate fa richiamo alla risoluzione ministeriale n. 9/016 del 1° aprile 1981.

4 «La disparità di trattamento tra locazioni abitative e commerciali in caso di morosità del conduttore», di Roberto Belotti e Simone Quarantini (in “il fisco” n. 16 del 2015, pag. 1-1535).