Il giudicato a favore di una società di persone vale nei confronti dei soci

se una società di persone ed i soci ricorrono contro un accertamento fiscale per maggiori redditi non dichiarati, il giudicato favorevole alla società si ripercuote sui soci (Corte di Cassazione)

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 marzo 2015, n. 5336

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società F. s.a.s di M.S. un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2003 per il recupero a tassazione del maggior valore, rispetto al dichiarato, della plusvalenza realizzata in conseguenza di una cessione di azienda. Emetteva, inoltre, due avvisi di accertamento nei confronti dei soci O.S.M. e C.M. per l’imputazione pro quota del reddito così realizzato, in applicazione del principio di trasparenza.

La pretesa fiscale in questione muove dalla rettifica in aumento del valore dell’avviamento, quale componente del corrispettivo percepito per la cessione, fondata sul valore accertato ai fini dell’imposta di registro, al quale aveva, peraltro, aderito il cessionario.

 

Tanto la società quanto i soci impugnavano i rispettivi avvisi di accertamento e i tre procedimenti giudiziari in tal guisa instaurati, ancorché non riuniti né in primo né in secondo grado, procedevano parallelamente, giacché tutti e tre i ricorsi dei contribuenti venivano parzialmente accolti in primo grado e pienamente in secondo grado, in accoglimento dell’appello incidentale dei contribuenti, con tre sentenze pronunciate in pari data dalla medesima sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. Il giudice d’appello ha ritenuto sfornita di prova la pretesa erariale contenuta nell’avviso di accertamento rivolto alla società, annullando quindi tale avviso, ed ha accolto l’impugnativa degli atti impositivi emessi nei confronti dei soci (ai quali la plusvalenza accertata in capo alla società era stata imputata per trasparenza ex art. 5 TUIR) richiamando la propria decisione di annullamento dell’atto impositivo emesso nei confronti della società.

Le sentenze della Commissione Tributaria Regionale sono state tutte impugnate per cassazione dall’Agenzia delle entrate.

 

Il ricorso proposto nei confronti della società si articola in un unico motivo concernente la violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 86, D.P.R. 917/86, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella quale la Commissione Regionale sarebbe incorsa disattendendo il principio in forza del quale spetta al contribuente provare di aver percepito un corrispettivo inferiore rispetto a quello che risulta di dai valori dichiarati o accertati ai fini dell’imposta di registro.

I due ricorsi proposti nei confronti dei soci, di identico contenuto, riproducono, come quarto motivo, la doglianza svolta nel ricorso proposto nei confronti della società, sopra sintetizzata; inoltre propongo altri tre motivi, con i quali le due sentenze emesse nei confronti dei soci vengono censurate lamentando – sia sotto il profilo del vizio di violazione di legge con riferimento all’articolo 132 cpc (primo motivo), sia sotto il profilo dell’error in procedendo (secondo motivo), sia sotto il profilo dell’insufficiente motivazione (terzo motivo) – come tali sentenze siano motivate per relationem alla sentenza emessa nei è confronti della società, senza alcuna precisazione in ordine al rapporto di dipendenza dei giudizi relativi ai soci rispetto al giudizio relativo alla società.

Né la società né i soci si sono costituiti in sede di legittimità.

I tre ricorsi per cassazione sono stati assegnati al medesimo relatore e, dopo il deposito delle rispettive relazioni ex art. 380 bis cpc, regolarmente notificate all’Agenzia delle entrate, sono stati discussi e decisi nell’adunanza di camera di consiglio del 19.2.15.

 

Motivi della decisione

In via preliminare va osservato che, versandosi in ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr. SSUU 14805/08), tutti i giudizi introdotti dalla società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento emessi nei rispettivi confronti dovrebbero essere dichiarati nulli, perché celebrati a contraddittorio non integro; tale esito può tuttavia essere evitato riunendo in questa sede i tre procedimenti, giacché essi sono caratterizzati da identità oggettiva di “causa petendi”, sono stati proposti simultaneamente avverso un accertamento sostanzialmente unitario costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci, sono caratterizzati da identità di difese, sono stati simultaneamente trattati innanzi ad entrambi i giudici del merito e sono stati decisi da detti giudici in termini sostanzialmente identici (cfr. Cass. 3830/2010, Cass. 16223/2010, Cass. 22122/2010).

Il Collegio quindi preliminarmente riunisce al procedimento 10357/13, proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia 26/28/12, che ha accolto l’originario ricorso della società avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti;

– il procedimento 10358/13, proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia 27/28/12 che ha accolto l’originario ricorso del socio C.M. avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti;

– il procedimento 10848/13/10 proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia 28/28/12 che ha accolto l’originario ricorso della socia S.O.M. avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti.

 

In ordine al contenuto delle doglianze svolte nei ricorsi dell’Agenzia delle entrate, appare preliminare l’esame dell’unico mezzo di ricorso proposto nei confronti della società.

Il mezzo – con il quale, come sopra riferito, si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 86, D.P.R. 917/86, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa disattendendo il principio in forza del quale spetta al contribuente provare di aver percepito un corrispettivo inferiore rispetto a quello che risulta dai valori dichiarati o accertati ai fini dell’imposta di registro – appare inammissibile, perché non risulta pertinente alla ratio decidendi della sentenza gravata.

La sentenza gravata, infatti, non si fonda sull’affermazione in diritto che il valore del bene trasferito, come accertato ai fini dell’imposta di registro, sia astrattamente privo di qualunque rilevanza ai fini della prova presuntiva del relativo prezzo di trasferimento (come emerge chiaramente dal quinto capoverso della motivazione, ove si legge che il valore accertato ai fini del registro “non vincola in maniera assoluta né l’amministrazione (né il contribuente) e che, quindi, può portare a proprio favore tutte quelle prove ritenute utili e/o necessarie a dimostrare un diverso valore tra l’accertato e il dichiarato”) ma sull’accertamento in fatto – non censurabile in questa sede se non con il mezzo di cui al numero 5 dell’articolo 360 cpc, non proposto nel ricorso della difesa erariale – che il contribuente aveva dimostrato l’insussistenza del valore di avviamento dell’azienda venduta (vedi il settimo cpv. della motivazione: “IEBITA, che nel caso in esame – come documentato dal contribuente – è negativa (ossia l’azienda sta perdendo) 2 anni su 3”). La ratio decidendi della sentenza gravata, in sostanza, non si fonda sulla negazione, in linea di diritto, della esistenza di una presunzione di conformità tra il valore accertato ai fini dell’imposta di registro e il prezzo di trasferimento rilevante ai fini della tassazione della plusvalenza, ma sul giudizio di fatto – basato sull’apprezzamento delle risultanze istruttorie che rientra nei poteri del giudice di merito e non può essere sindacato in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione – che il contribuente aveva superato detta presunzione, dimostrando l’insussistenza del valore di avviamento dell’azienda ceduta mediante il deposito di “corretti e doverosi prospetti” basati su dati non contestati dall’Ufficio (ottavo cpv. della motivazione).

 

Il ricorso per cassazione contro la società, rubricato al numero 10357 R.G., va quindi rigettato, per l’inammissibilità del suo unico motivo.

Quanto ai ricorsi per cassazione contro i soci, rubricati ai nn. 10358 e 10848 R.G, il Collegio osserva che – poiché gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci sono basati sull’imputazione ai soci medesimi, pro quota, del reddito accertato nei confronti della società (art. 5 TUIR) e i soci hanno impugnato tali avvisi di accertamento non per ragioni personali, ma contestando l’accertamento operato nei confronti della società – la definizione dell’impugnativa dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società vincola la definizione dell’impugnativa degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci. Il giudicato che con la presente pronuncia si forma sulla sentenza di annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società (sent. n. 26/28/12) impone l’annullamento degli avvisi di accertamento emessi per trasparenza nei confronti dei soci, cosicché le sentenze della Commissione Tributaria Regionale che tali avvisi hanno annullato risultano conformi a diritto e i ricorsi per cassazione avverso tali sentenze vanno rigettati.

In definitiva, si devono rigettare tutti i ricorsi riniti.

Non vi è luogo a regolazione di spese, non essendosi gli intimati costituiti;

Non vi è luogo alla declaratoria di cui all’articolo 11, comma 1 quater, DPR 115/02, essendo ricorrente l’Agenzia delle entrate (Cass. SSUU 9938/14).

 

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi riuniti.