E' la superifice a definire la casa di lusso

nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi dell’abitabilità

Con l’ordinanza n.12471 del 17 giugno 2015, la Corte di Cassazione determina il lusso sulla base dei vani e della superficie complessiva.

 

La sentenza

La Corte, dopo aver preso atto che in base all’art. 6, d.m. n. 1072 del 2.08.1969, sono classificate come abitazioni di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)“, ha confermato che “… a) nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi dell’abitabilità, in quanto requisito non richiamato dal DM 2 agosto 1969; b) non è possibile alcuna interpretazione che ne ampli la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica (cfr, Cass. n. 10807 del 2012; Cass. 17439/2013; Cass. n. 12942/2013, Cass. n. 8992/2013; Cass. n. 5692/14; Cass. n. 7158/2014)”.

Inoltre, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della “prima casa“, occorre fare riferimento alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, “in forza del quale è irrilevante il requisito dell’abitabilità” dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello “dell’utilizzabilità” degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere ‘lussuoso’ di un’abitazione – Cass. n. 25674/13; Cass. n. 23591/12; Cass. n. 10807/12”.

Brevi indicazioni

Il complesso quadro normativo (legge 22 aprile 1982, n. 186), peraltro illustrato dalla circolare n. 18/2013, prevede l’applicazione di benefici fiscali per gli atti a titolo oneroso che comportano il trasferimento della piena proprietà o della nuda proprietà, abitazione, uso ed usufrutto relativi ad unità immobiliari non aventi le caratteristiche di abitazioni di lusso, secondo quanto previsto dal D.M. del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969.

Il regime agevolato (cfr. art. 3, c. 131, della legge n. 549/95 e art. 7, c. 6, della legge n. 488/99) offre l’applicazione dell’imposta di registro in misura ridotta o alternativamente l’Iva con aliquota ridotta, e le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa, sempre che:

  • l’abitazione oggetto di trasferimento sia un’abitazione “non di lusso “;

  • l’immobile sia ubicato nel Comune in cui l’acquirente abbia o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza o nel Comune nel quale svolga la propria attività, incluse quelle senza remunerazione;

  • nell’atto di acquisto (o nel contratto preliminare, al fine di usufruire dell’aliquota agevolata sin dagli acconti eventualmente corrisposti) l’acquirente dichiari di voler stabilire la residenza nel comune dell’acquisto, se non vi si trova già o se in questo non si trova la sua sede dell’attività (vedi sopra);

  • di non essere titolare, esclusivo o in comunione con il coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso o abitazione di altra casa di abitazione nel comune dove è situato l’immobile acquistato (se si è già goduto dei benefici prima casa è possibile goderne nuovamente se quanto acquistato in passato non è più nella titolarità del soggetto acquirente, all’atto del nuovo acquisto);

  • di non essere titolare, neppure per quote di comproprietà o in regime di comunione legale, in tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, anche nuda, o di diritti reali di godimento su altra casa di abitazione acquistata dall’acquirente o dal coniuge con le agevolazioni “prima casa“, a partire da quelle previste dalla legge 22.04.82 n.168 (la titolarità di una sola quota di altra casa, non in comunione con il coniuge, non impedisce l’acquisto agevolato).

Evidenziamo che, l’art. 33 del D.Lgs. n. 175 del 21 novembre 2014 ha modificato i criteri per l’individuazione delle case di abitazione per le quali è possibile fruire dell’agevolazione “prima casa”.

In particolare, per effetto delle modifiche apportate dalla citata disposizione al numero 21 della Tabella A, parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, l’aliquota IVA del 4 % si applica, ricorrendo le ulteriori condizioni previste a tal fine, agli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione (anche in corso di costruzione) classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse dalle seguenti:

  • cat. A/1 – abitazioni di tipo signorile;

  • cat. A/8 – abitazioni in ville;

  • cat. A/9 – castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici.

 

L’applicazione dell’agevolazione IVA “prima casa” viene, quindi, vincolata alla categoria catastale dell’immobile, non assumendo più alcun rilievo le caratteristiche previste dal decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, che contraddistinguono gli immobili “di lusso”.

Come rilevato dalla circolare n.31/E del 30 dicembre 2014, la norma introdotta allinea la nozione di “prima casa” rilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA del 4 % “alla definizione prevista dalla disciplina agevolativa in materia di imposta di registro (i.e. aliquota nella misura del 2 per cento per i trasferimenti delle case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9). Pertanto, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, in sede di stipula dell’atto di trasferimento o di costituzione del diritto reale sull’abitazione per il quale si intende fruire dell’aliquota IVA del 4 per cento, deve essere dichiarata la classificazione o la classificabilità catastale dell’immobile nelle categorie che possono beneficiare del regime di favore (cat. A/2 – abitazioni di tipo civile; cat. A/3 – abitazioni di tipo economico; cat. A/4 – abitazioni di tipo popolare; cat. A/5 – abitazioni di tipo ultra popolare; cat. A/6 – abitazioni di tipo rurale; cat. A/7 – abitazioni in villini; A/11 – abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi), oltre all’attestazione della sussistenza delle ulteriori condizioni prescritte per usufruire dell’agevolazione (cfr. Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131)”.

Precisano gli estensori del documento di prassi citato, “qualora in sede di stipula di contratto preliminare di vendita sia stata effettuata la classificazione dell’abitazione come immobile ‘di lusso’ ai sensi del decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, con la conseguente applicazione dell’imposta agli acconti sul prezzo di compravendita con un’aliquota superiore all’aliquota del 4 per cento, è possibile rettificare le relative fatture mediante variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, al fine di applicare l’aliquota IVA del 4 per cento sull’intero corrispettivo dovuto (cfr. risoluzione 7 dicembre 2000, n. 187). Resta inteso che l’agevolazione IVA ‘prima casa’ non trova applicazione in relazione ai trasferimenti di immobili non abitativi, quali quelli rientranti nella categoria catastale A/10 – uffici e studi privati”.

 

Sul punto “lusso”, si segnalano una serie di interventi della Cassazione.

  • La sentenza 26 marzo 1988, n. 2595, che ha rilevato che i “… simboli delle categorie non hanno la specifica funzione di distinguere le abitazioni di lusso dalle altre, ma soltanto di indicare una rendita catastale proporzionata al tipo di abitazione...”.

  • L’ordinanza n. 22009 del 27 ottobre 2010 (ud. del 6 luglio 2010), ove è stato affermato che “la fruizione delle agevolazioni tributarie derivanti dall’acquisto della prima casa è collegata dal D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 2, come convertito dalla L. 5 aprile 1985, n. 118, alla possibilità di includere gli immobili trasferiti fra le abitazioni non di lusso, secondo i criteri di cui al D.M. 2 agosto 1969, e segnatamente quelli fissati dagli artt. 1 e 6, indipendentemente dalla data della loro costruzione (Cass. nn. 16366/2008 e 13064/2006)”.

  • L’ordinanza n. 23112 del 7 novembre 2011 (ud. del 13 ottobre 2011), ove la Corte di Cassazione ha confermato che “al fine dell’inapplicabilità dei benefici fiscali in materia di imposta ipotecaria e di registro, previsti dalla L. 2 luglio 1949, n.408, art. 17 con riguardo all’atto di trasferimento di alloggio non di lusso, occorre fare riferimento ai requisiti fissati dal D.M. 2 agosto 1969 per le case di lusso, in relazione alla struttura e destinazione dell’immobile al momento dell’atto stesso, ed a prescindere dalla sua concreta utilizzazione successiva, nonché tenere conto che le varie lettere del suddetto art. 5 indicano situazioni alternative e non concorrenti, nel che la sussistenza di una di esse è sufficiente all’individuazione dell’abitazione di lusso (cass. Sez. 1, sentenza n. 6618 del 15/12/19819)”.

  • L’ordinanza n. 5027 del 28 marzo 2012 (ud. 7 marzo 2012), dove la Corte di Cassazione ha attribuito alla stima Ute il valore di perizia di parte, riconoscendo, di conseguenza, le agevolazioni prima casa nell’ipotesi di abitazioni ritenuta di lusso attraverso la predetta stima.

  • La sentenza n. 10807 del 28 giugno 2012 (ud. 18 aprile 2012) con cui la Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di agevolazioni prima casa, anche il piano interrato, non conforme ai regolamenti edilizi, fa parte della superfice utile per far scattare il cd. Lusso.

  • La sentenza n. 21791 del 5 dicembre 2012 (ud. 17 ottobre 2012) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che l‘applicazione dell’agevolazione fiscale contemplata per l’acquisto della prima casa postula che l’abitazione sia considerata non di lusso al momento dell’acquisto, e non già in quello della costruzione. La Corte richiama un precedente analogo (Cassazione 28 luglio 2010, n. 17600) che ha statuito il principio secondo il quale “la fruizione delle agevolazioni tributarie derivanti dall’acquisto della prima casa è collegata dal D.L. numero 12 del 1985, art. 2, come convertito dalla L. n. 118 del 1985, alla possibilità di includere gli immobili trasferiti fra le abitazioni non di lusso secondo i criteri di cui al D.M. 2 agosto 1969; a questa conclusione si deve pervenire anche nella vigenza dell’articolo della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dal D.L. n. 155 del 1993, art. 16, convertito con modificazioni dalla L. n. 243 del 1993, senza che si possa attribuire rilievo contrario al fatto che nella nuova disposizione non sia stato riprodotto l’inciso indipendentemente dalla data della loro costruzione, dovendo ribadirsi il principio che, secondo ragionevolezza ed equità contributiva, al fine di stabilire la spettanza o meno dell’agevolazione, occorre fare riferimento alla nozione di abitazione non di lusso vigente al momento dell’acquisto, e non a quello della costruzione“. In particolare, quanto alla rilevanza del fatto che la nuova disposizione dettata dal D.L. n. 155 del 1993, art. 16, che ha modificato l’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, non abbia riprodotto l’inciso “indipendentemente dalla data della loro costruzione“, la Corte ha chiarito che la norma in esame va intesa nel senso che essa opera, al fine di individuare le caratteristiche delle abitazioni “non di lusso” (ai cui atti di trasferimento si può applicare il beneficio fiscale in questione), un rinvio non all’intero testo del D.M. 2 agosto 1969, bensì ai soli “criteri” in esso contenuti, ossia ai requisiti (dettati negli articoli da 1 a 8 del provvedimento) al cospetto dei quali le abitazioni acquistano la qualifica “di lusso“. Si deve ritenere, quindi, che il rinvio non comprenda l’articolo 10, norma di natura transitoria, la cui portata applicativa, destinata a regolamentare la fase di passaggio dalla disciplina dettata dal previgente D.M. 4 dicembre 1961, al D.M. 2 agosto 1969, ha in ciò esaurito la sua funzione e si deve considerare ormai sostanzialmente caducata. Pertanto, alla soppressione, nel D.L. n. 155 del 1993, art. 16, dell’inciso sopra riportato (contenuto nel previgente D.L. n. 12 del 1985, art. 2), non si può attribuire alcun significato ermeneutico, contenendo esso una precisazione che evidentemente il legislatore del 1993 ha ritenuto e che effettivamente era superflua.

  • La sentenza n.12517 del 22 maggio 2013 con cui la Corte di Cassazione rileva che anche nell’ipotesi in cui la casa diventa di lusso si perdono le agevolazioni. Il fabbricato oggetto di trasferimento era stato edificato con licenza edilizia ed erano state successivamente presentate istanze di sanatoria per opere eseguite in difformità della iniziale licenza (la superficie utile è quindi di mq. 262,38, a cui va aggiunta una piscina scoperta di mq. 80 e un terreno a corredo del fabbricato di oltre 4000 mq.). Osserva la Corte che, “in tema di imposta di registro, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa, occorre fare in ogni caso riferimento ai requisiti fissati dal d.m. lavori pubblici 2 agosto 1969 (vedi testualmente l’art. 1, 4° co., del t.u. n. 131/1986; e vedi in tal senso Sez. 5ª n. 22279/11; n. 13064/06; n. 8600/00). In forza del citato d.m., sono da considerare di lusso le case composte di uno o più piani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) e aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta (art. 5). Nel calcolo della superficie utile deve computarsi ogni volume a eccezione di quelli specificamente esclusi, ancorché privi del requisito dell’abitabilità o della regolarità edilizia”.

  • La sentenza n. 12942 del 24 maggio 2013 (ud. 4 aprile 2013) dove la Corte di Cassazione richiama e fa sua la precedente giurisprudenza (cfr. Cass. n. 23591 del 2012; n. 10807 del 2012, n. 22279 del 2011), che “si è, di recente, ormai, attestata nel senso di ritenere che, nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso, debba computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorchè privi dell’abitabilità (in questo caso, da intendersi come conformità alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità – oggi ‘agibilità’, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 24), in quanto: a) tale requisito, nel senso qui specificato, non è richiamato dal D.M. 2 agosto 1969; b) quel che unicamente rileva ai fini del computo della superficie utile è l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana; c) non è possibile alcuna interpretazione che amplii la sfera operativa della disposizione, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere, in materia fiscale, non sono passibili di interpretazione analogica”.

  • La sentenza n. 14162 del 5 giugno 2013 (ud .17 aprile 2013) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che se il magazzino diventa pinacoteca il contribuente perde le agevolazioni prima casa. Secondo l’Ufficio, l’abitazione, pur non oltrepassando i mq. 240, doveva comunque ritenersi di lusso in relazione ad un magazzino di mq. 496, trasformato in galleria d’arte, che non poteva esser considerato pertinenza. In effetti, rileva la Corte, “la CTR non ha sufficientemente spiegato l’affermazione di esistenza del fatto costitutivo del rapporto di pertinenza dedotto in lite, questo rappresentato dalla indispensabile esistenza di una oggettiva subordinazione funzionale della galleria d’arte rispetto all’abitazione (Cass. sez. 2′ n. 9911 del 2006; Cass. sez. 2′ n. 4599 del 2006). La insufficiente motivazione circa l’esistenza del ridetto fatto decisivo e controverso della subordinazione funzionale, impone di cassare con rinvio”.

  • La sentenza n. 22945 del 9 Ottobre 2013, dove la Corte di Cassazione ha confermato che superati i 240 mq, la prima casa acquistata, è da ritenersi “di lusso”. Per la Corte, “la superficie utile” dell’immobile “va computata sottraendo dall’estensione globale indicata nell’atto di acquisto, sottoposto all’imposta, gli ambienti espressamente esclusi (balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchine)”. Inoltre, rilevano i giudici, non appare possibile non ritenere di lusso una abitazione come quella in questione, individuata come “villa unifamiliare su due piani fuori terra e seminterrato, composta di ben tredici vani”.

  • La sentenza n. 25674 del 15 novembre 2013 (ud. 18 settembre 2013), ove la Corte di Cassazione ha affermato che la “superficie utile complessiva” non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile” (Cass. sez. trib. n. 1087 del 2012; del resto, anche l’anteriore Cass. sez. 1′ n. 6466 del 1985, aveva considerato l’abitabilità un criterio non esclusivo al fine della individuazione della categoria giuridica della “superficie utile complessiva” di cui al D.M. 2 agosto 1969, art. 6). In effetti, osserva la Corte, “la utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dalla sua abitabilità; ed è quello più idoneo ad esprimere il carattere ‘lussuoso’ o meno di una casa. Cosicchè, la possibilità di conseguire una facile abitabilità, mediante, per esempio, un semplice adeguamento dei rapporti aereo-illuminanti, consente di ritenere ‘utile’ la superficie abitativa; e, il tener conto di questa marcata potenzialità abitativa, si ripete, meglio consente di individuare ciò che è di ‘lusso’ o meno sul piano del mercato immobiliare, che, come noto, una tale disponibilità di superficie valorizza”.

 

13 agosto 2015

Roberta De Marchi