Esclusi dalle indagini finanziarie i prelevamenti dei professionisti

la Cassazione ha (finalmente!) recepito la pronuncia della Corte Costituzinale che impedisce al Fisco, in caso di accertamento, di utilizzare presunzioni partendo dai prelievi bancari dei professionisti, che quindi non possono essere equiparati a ricavi in nero

 

La presunzione dei prelevamenti dei professionisti

Il comma 402, lettera a), numero 1.1, dell’art. 1, della legge n.311 del 30 dicembre 2004, con riferimento all’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 600 del 1973, ha esteso ai lavoratori autonomi la presunzione di “compensi” ai prelevamenti e agli importi riscossi per i quali non siano stati indicati i beneficiari, sempre secondo il generale principio dell’inerenza.

In sostanza, tale norma ha allargato, ai fini delle imposte sui redditi, ai lavoratori autonomi il regime presuntivo di imponibilità oltre che alle operazioni di accredito/versamenti anche a quelle di addebito/prelevamenti o somme riscosse1.

Inoltre, la circolare n.32/2006 aveva confermato l’efficacia retroattiva della nuova disciplina recata dalla legge (vedi anche circolare n. 10/E del 16 marzo 2005), trattandosi di norma avente natura meramente procedimentale e, quindi, applicabile anche per l’accertamento di annualità pregresse rispetto alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2005).

 

La sentenza della Corte Costituzionale

Come è noto, con la sentenza n.228 del 24 settembre 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. n.600/73, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004,n.311.

La Corte rileva che “anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo. Secondo tale doppia correlazione, in assenza di giustificazione deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati. Il fondamento economico-contabile di tale meccanismo è stato ritenuto da questa Corte (sentenza n. 225 del 2005) congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, il quale è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi. L’attività svolta dai lavoratori autonomi, al contrario, si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali”.

Aggiunge la Corte che “la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.

Pertanto, per la Corte Costituzionale, “nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.

L’adeguamento della Corte di Cassazione

Con la sentenza n.4585/2015 la Corte di Cassazione si adegua al pensiero della Corte Costituzionale, richiamandone sostanzialmente il contenuto, e affronta la questione dei conti cointestati, in ordine ai versamenti. 

La Corte rivela che “va peraltro corretta la motivazione della sentenza impugnata in quanto la mancata considerazione dei prelievi dal conto corrente va fondata non già sulla cointestazione del conto corrente, come affermato in sentenza, ma sulla necessità di trattare diversamente la situazione dell’imprenditore e quella del lavoratore autonomo, la cui attività si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, fermo restando che gli eventuali prelevamenti vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria, da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.

 

I conti contestati

Ulteriore questione affrontata dalla Suprema Corte nella sentenza che si annota investe la problematica relativa ai conti correnti cointestati, in particolare se la presunzione ex art. 2727 e 2728 c.c., contenuta nell’art. 32 c. 1 n. 2 Dpr 600/73, e la conseguente inversione dell’onere della prova, ex art. 2728 c.c., si applica solo ove l’Amministrazione finanziaria dia prova del fatto noto dei versamenti effettuati dal contribuente sottoposto a verifica o si applichi anche ai versamenti di cui non si sia raggiunta la prova dell’effettuazione da parte del contribuente sottoposto a verifica. La contribuente lamenta, infatti, che la CTR abbia considerato non soltanto i versamenti effettuali direttamente dalla contribuente ma anche quelli effettuali dal coniuge, escludendo unicamente gli stipendi del medesimo.

Per la Corte detta censura è infondata. “Ed invero, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1073, n. 600 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. A fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. 22502/2011). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare operazioni inerenti all’esercizio dell’attivitàprofessionale (Cass. 13035/12). Orbene tali principi devono ritenersi applicabili anche all’attività svolta dai lavoratori autonomi, ed ai versamentieffettuati dal coniuge cointestatario del conto corrente, gravando anche in tal caso sul contribuente l’onere di provare che i versamentieffettuati dal coniuge sul conto cointestato sono estranei all’attivitàprofessionale del contribuente. Ed invero, come questa Corte ha già affermato, una volta dimostrata la pertinenza del conto corrente all’attivitàprofessionale del contribuente, tutti i versamentieffettuati su detto conto corrente, ancorchè materialmente effettuati dal coniuge, si presumono inerenti alla suddetta attivitàprofessionale, salva prova contraria a carico del contribuente (Cass. 21420/2012)”.

 

30 aprile 2015

Francesco Buetto

1 Cfr. FERRANTI, Abolita la presunzione relativa ai prelevamenti bancari effettuati dai professionisti, in “il fisco”, n.41/2014, pag. 4007.