La possibilità di utilizzo della Lista Falciani da parte del Fisco è una spinta alla voluntary disclosure?

la Cassazione ha stabilito che è legittimo utilizzare la Lista Falciani per accertamenti contro contribuenti sospettati di detenere in banche off-shore patrimoni non dichiarati; per i nominativi inseriti nella lista la voluntary Disclosure diventa in pratica un obbligo

E’ legittimo l’utilizzo della “lista Falciani” ai fini dell’accertamento tributario atteso che il fisco può avvalersi di qualsiasi mezzo per contrastare l’evasione fiscale.

La Suprema Corte con le ordinanze nn 8605 e 8606, nell’affermare l’utilizzo di tale lista, ha ritenuto che i valori al diritto alla riservatezza e al segreto bancario sono sicuramente recessivi di fronte a quelli riferibili al dovere inderogabile. L’amministrazione finanziaria nelle sue attività istituzionali riguardanti l’attività di accertamento dell’evasione fiscale, può ricorrere ad ogni elemento con valore di indizio, con esclusione di quelli il cui utilizzo è vietato da una norma di legge o siano stati acquisiti in violazione di un diritto del contribuente

La lista in esame contiene un elenco di nomi sottratto da un ex dipendente (Falciani) ad un istituto di credito svizzero (HSBC) contenente i nominativi di correntisti esteri e presunti evasori (tra cui circa settemila contribuenti italiani). L’elenco di cui trattasi, sequestrato dalle autorità francesi, è stato poi diramato alle altre autorità europee in base alla direttiva 77/799/CEE in materia di cooperazione amministrativa, ed anche in Italia; la Guardia di Finanza e l’agenzia delle entrate hanno avviato i relativi controlli ed accertamenti.

La parola data dai giudici di legittimità pone fine, per il momento, alle diverse pronunce di merito che si erano espresse fino ad ora pro e contro l’utilizzabilità della lista in esame.

Voluntary Disclosure

E’ utile accertare se esiste un parallelismo tra la decisione assunta dalla Suprema Corte e l’istituto della collaborazione volontaria (cd. “voluntary dislosure”) per attività detenute in Paesi in black list ossia in paesi a fiscalità privilegiata per i quali in Italia vige l’obbligo di comunicazione di tutte le operazioni intercorse tra le imprese residenti nel nostro Paese e quelle fiscalmente domiciliate in Stati e territori non appartenenti alla Comunità Europea.

La Voluntary Disclosure permette ai contribuenti che detengono attività finanziarie o patrimoniali all’estero non dichiarate all’amministrazione finanziaria, di sanare la loro posizione, anche penale, pagando le relative imposte e le sanzioni in misura ridotta; essi possono conferire alla società fiduciaria italiana un incarico, anche senza intestazione, dopo aver utilizzato la voluntary disclosure, per conservare le attività all’estero,: Facendo ciò risultano esonerati dalla compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi, restando a carico della fiduciaria italiana il calcolo delle imposte dovute e relativo versamento al fisco italiano.

La Voluntary disclosure è in sostanza una procedura di conciliazione fiscale tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, su base volontaria del contribuente stesso. Originariamente sorto in America intorno agli anni ’90, nel nostro Paese è stato recepito nel decreto legge 4/2014, convertito dalla legge n. 50/2014 (G.U. serie generale – n. 23/2014) recante norme in materia tributaria e contributiva.

Con l’istituto in esame il contribuente, oltre a pagare tasse e interessi sul pregresso, dichiara di voler rivelare all’amministrazione finanziaria tutti i suoi beni esteri detenuti in modo non legittimo.

Fattispecie

Le due controversie finite all’esame della Cassazione hanno riguardato alcuni correntisti italiani a cui è stato notificato un accertamento per capitali detenuti in Svizzera e non dichiarati nel quadro “RW” del modello Unico.

I giudici tributari di primo e secondo grado hanno accolto le ragioni dei ricorrenti riconoscendo la non sussistenza del reato di dichiarazione infedele a carico di un contribuente terzo e ordinando la distruzione della lista di nomi.

Preliminarmente la Suprema Corte ha ritenuto che la modalità di acquisizione dei documenti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi non determina l’obbligo per l’autorità italiana di indagare sulla provenienza e autenticità della documentazione trasmessa; non sussiste, altresì, un diritto del contribuente di essere informato preventivamente circa la procedura di cooperazione attivata nei suoi confronti (Sent causa C-276 del 22 ottobre 2013).

In sostanza, l’attività di verifica indicata dalla CTR non risulta imposta né evidenziata dalla Direttiva 77/799 la quale non prevede limitazioni all’utilizzabilità in uno Stato dei dati acquisiti da un altro Stato membro ”nemmeno sancendo un divieto a che uno Stato, entrato in possesso di dati relativi ad un cittadino di altro Stato, comunichi allo Stato cui appartiene il cittadino verificato gli elementi acquisiti in modo illegittimo se non per il caso in cui l’autorità dello Stato richiedente non è in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni”.

E’ stato sottolineato che il legislatore (legge n. 413/1991) ha abrogato il c.d. segreto bancario che si ricollega al caso in esame (Cass n. 16784/2009), e che il dovere di solidarietà di cui all’art. 53 Cost. giustifica l’utilizzabilità delle prove acquisite dall’amministrazione, trovando copertura nel quadro normativo nazionale ed europeo.

La Suprema Corte ha affermato la legittimità dell’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale italiana su impulso di quella francese in forza della direttiva 79/799 e che l’utilizzazione dei documenti provenienti dalla lista Falciani non determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente.

L’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento dell’evasione fiscale, può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dall’Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente.

Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco

Sarà compito del giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente.

Abbiamo a disposizione un’ottima applicazione per la valutazione del costo della Voluntary Disclosure

5 maggio 2015

Enzo Di Giacomo