Le intercettazioni telefoniche si possono usare nel processo tributario

la Cassazione ha confermato che le intercettazioni telefoniche (legittimamente assunte in sede penale e trasmesse all’Amministrazione Tributaria) possono entrare a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio che il giudice tributario di merito deve valutare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27196 del 22 dicembre 2014, ha ribadito che le intercettazioni telefoniche – legittimamente assunte in sede penale e trasmesse all’Amministrazione Tributaria – possono entrare a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio che il giudice tributario di merito deve valutare, così come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63; tale norma, infatti, non contrasta né con il principio di segretezza delle comunicazioni di cui all’art. 15 Cost., perché le intercettazioni sono state autorizzate da un giudice, né con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., perché, se è vero che il difensore non partecipa alla formazione della prova, è anche vero che nel processo tributario l’atto acquisito ha un minor valore probatorio rispetto a quello riconosciutogli nel processo penale.

Inoltre, a detta del Supremo Collegio (analogamente a quanto statuito con la precedente sentenza 7 febbraio 2013, n. 2916) il divieto, posto dall’art. 270 c.p.p., di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie.

In altre parole, circa l’utilizzo amministrativo-tributario delle risultanze delle intercettazioni telefoniche esperite in un procedimento penale, non possono essere eccepite l’inviolabilità del diritto di libertà e di segretezza delle comunicazioni e del diritto di difesa. Quanto al primo di tali diritti, il fatto che esso abbia sicuramente un rango costituzionale non impedisce che possa essere limitato “per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“, quale appunto l’autorizzazione dell’A.G. (Cost., articolo 15). Quanto al secondo, la norma applicabile in campo tributario (art. 63 cit.) non prevede limitazioni di efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto, in particolare, che il difensore del contribuente non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso; il contenuto di tale atto, d’altronde, costituisce semplice indizio nel processo tributario, ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, pro o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese.

In conclusione, l’assunto della sentenza in esame poggia essenzialmente sulle disposizioni vigenti in ambito amministrativo tributario, sia in campo I.V.A. che II.DD., di cui agli artt.63, c. 1, per. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e33, c. 3, per. 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 6001, così come da ultimo modificati dall’art. 23 del D.Lgs. n. 74/2000, laddove si dispone che la Guardia di Finanza, cooperando con l’ufficio, trasmette documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale. Ex pluribus, tenuto conto del fatto che la citata disposizione è posta esclusivamente a tutela del segreto istruttorio e, quindi, delle indagini penali, ne consegue che l’utilizzo amministrativo-tributario dei dati in questione senza la prescritta autorizzazione dell’A.G. non ne comporta l’inutilizzabilità in sede di accertamento2; l’autorizzazione, infatti, non è posta a tutela dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi e non è prevista per filtrare l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali, ma soltanto per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto.

Sul punto, la Corte di Cassazione (con le sentenze n. 15538 del 2002 e n. 15914 del 2001) ha a suo tempo ribadito che “l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria richiesta per la trasmissione agli uffici finanziari di documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza di essa, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi, dovendo, a fortiori, escludersi che possa derivare dalla eventuale incompetenza dell’organo inquirente che tale autorizzazione abbia concesso una qualsiasi conseguenza in ordine al suddetto atto impositivo, posto che l’autorizzazione de qua è stata introdotta – come sottolineato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 51 del 1992 – per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorie piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali”.

Pertanto, è evidente che un atto legittimamente assunto in sede penale e trasmesso all’amministrazione tributaria in conformità alla disposizione del citato art. 63, entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio e indiziario che il giudice tributario di merito deve valutare, dal momento che i suoi poteri d’indagine e di giudizio, definiti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, non incontrano i limiti posti al giudice penale, nella specie, dall’art. 270 c.p.p..

21 gennaio 2015

Nicola Monfreda

1 Le norme citate sono state introdotte nel nostro ordinamento dal D.P.R. n. 643 del 1982 e la ratio di tale istituto è stata rinvenuta nella necessità del coordinamento di due interessi in contrasto tra loro: quello processuale tendente a vietare la rivelazione di documenti e dati relativi alle indagini penali e quello prettamente fiscale, rivolto ad ottenere notizie utili all’accertamento di illeciti tributari eventualmente commessi dall’indagato.

A seguito della modifica apportata con l’art. 23 del D.Lgs. n. 74/2000, la richiesta di trasmissibilità e la conseguente autorizzazione sono possibili non solo senza bisogno di attendere il rinvio a giudizio dell’imputato, ma anche senza necessità di attendere la chiusura delle indagini, e l’Amministrazione finanziaria ben potrà chiedere la trasmissione di copia degli atti anche all’esaurimento del singolo atto (perquisizione, sequestro bancario…).

2 Cass. sentenze nn. 4306/2010, 11203/2007, 2450/2007, 22035/2006.