Mancata esibizione dei libri contabili e conseguenze processuali

La conseguenza dell’inutilizzabilità nel processo da parte del contribuenti dei documenti non esibiti nella fase istruttoria amministrativa è collegata ad una specifica richiesta di esibizione dell’Ufficio accertatore che deve rispondere a determinati requisiti formali previsti dalla Legge.

sentenza corte di cassazioneCon la sentenza n. 27193 del 4 dicembre 2013 (ud. 10 ottobre 2013) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dell’art. 52, c. 5, del D.P.R.n.633/72, secondo cui

I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione afavore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa.

Per rifiuto di esibizione si intendono anche ladichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione“.

 

Nel caso specifico, in sede di accesso, dipendenti, in assenza del legale rappresentante della società, rifiutavano l’esibizione dei documenti, sia pure con la giustificazione di

“non sapere dove i documenti fossero custoditi”.

A fronte di invito, “negli anni successivi”, all’esibizione della documentazione giustificativa delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio, il contribuente affermava di avere esibito la documentazione richiesta (si legge in sentenza di secondo grado: “Il contribuente afferma di avere prontamente esibito la documentazione richiesta (ricevuta allegata)“).

 

Per la Corte,

“ricorreva il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa, previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5 norma che presuppone che ‘vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori, (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ed opera non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti in suo possesso, o li sottragga all’ispezione, non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.)”.

 

La Corte cita le sentenze di cassazione n. 4605/2008 e n.21768/2009, che seguono un orientamento più rigoroso rispetto a Cass. S.U. 45/2000, citata dalla parte ricorrente, e Cass. 1030/2000, secondo la quale

“In tema di contenzioso tributario, per superare la preclusione probatoria posta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 il quale stabilisce che non possono essere prese in considerazione, a favore del contribuente, i documenti che, in sede di accesso, non sono stati acquisiti, in quanto sottratti da questi al controllo, ed il quale non si rivela in contrasto con il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 19-bis – il quale in via generale consente la produzione innanzi alle Commissioni tributarie di documenti originariamente non prodotti dal contribuente – in quanto quest’ultima disposizione va intesa nel senso che il potere per il contribuente di produrre documenti sussiste sempre e solo nei limiti in cui egli non sia incorso in decadenza il contribuente può anche addurre la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione poi tardivamente prodotta, ma deve provare il proprio assunto”).

 

 

Sentenze della Cassazione relative alla mancata presentazione dei libri contabili in sede amministrativa

La disposizione dettata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, c. 5 (richiamato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, c. 1), prevede che

“i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione” (“per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”) “non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa”.

 

Sul punto, con sentenza n. 18921 del 16 settembre 2011 (ud. del 27 aprile 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che non è sufficiente una generica richiesta da parte degli accertatori affinché sia ritenuto sussistente il rifiuto del contribuente all’esibizione ed il conseguente divieto di utilizzo del medesimo materiale documentale in sede amministrativa e/o giurisdizionale.

 

Conseguentemente, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass., trib., 25 gennaio: 2010 n. 1344), l’applicazione del divieto

“presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio”. La disposizione, quindi, “trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. n. 9127 del 2006)”.

 

Sempre la Corte di Cassazione (sentenza n. 9127 dell’1 febbraio 2006, dep. il 19 aprile 2006) ha affermato che l’art. 52, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972 (richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973) va letto ed interpretato

“in coerenza ed alla luce del diritto alla difesa, scolpito nell’art. 24 della Costituzione, e del principio della capacità contributiva (art. 53 della Costituzione). Le norme costituzionali non impediscono certo di porre ragionevoli limiti al diritto alla prova, con conseguente tassazione di cespiti che il contribuente potrebbe dimostrare inesistenti; ma impongono di procedere ad un’interpretazione rigorosa di disposizioni quale il citato art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972.

Appare, in proposito, di particolare rilievo l’esigenza che vi sia stata un’attività di ricerca della documentazione da parte dell’Amministrazione ed un rifiuto da parte del contribuente (rifiuto cui è equiparata la dichiarazione di non possedere i documenti, o la sottrazione dolosa di essi al controllo).

Ed è ovvio come simile procedura di richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di rifiuto (o occultamento) da parte del contribuente sia in concreto concepibile quasi esclusivamente in riferimento ai documenti di cui è obbligatoria la tenuta. In altre parole, la limitazione alla possibilità della prova è collegata ad uno specifico comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova stessa, e dunque fornisce validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che abbiano a riaffiorare nel corso del giudizio.

Ciò costituisce una giustificazione ragionevole della loro inutilizzabilità; del resto temperata dalla possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione (così come affermato da Cass. 28 gennaio 2002, n. 1030)”.

 

La stessa Corte di Cassazione (sentenza n. 22765 del 28 ottobre 2009, ud. del 5 giugno 2009) ha ritenuto che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il divieto di utilizzo di documenti non esibiti in sede di accesso, ispezione, verifica o esplicita richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria è subordinato al rifiuto a seguito di specifica domanda dei soggetti accertatori riferita a specifica documentazione.

Sebbene integrino la fattispecie sia il rifiuto dell’esibizione quanto la falsa dichiarazione di non possesso dei documenti anche ove riconducibile ad errore non scusabile, di diritto o di fatto, il tenore letterale della disposizione di cui all’art. 52, D.P.R. n. 633/1972 esclude dal novero delle ipotesi di divieto richieste generiche e non circostanziate o determinate.

 

Infatti,

“questa Corte ha più volte affermato che il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52) costituisce un limite all’esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto costituiscano il rifiuto di una documentazione specificamente richiesta dagli agenti accertatori”. 

 

La giurisprudenza della Corte ammette che il divieto di utilizzare documenti scatti

“non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché on al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa (Cass. 26 marzo 2009, n. 7269). Esige però, in conformità alla lettera della legge, che sussista una specifica richiesta degli agenti accertatori, non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di un qualcosa che non venga richiesto (Cass. 19 aprile 2006, n. 9127)”.

 

Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1344 del 25 gennaio 2010 (ud. del 19 novembre 2009) ha affermato che

“Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, (il quale esclude la possibilità di prendere in considerazione a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti – libri, scritture, registri, etc. – che non siano stati acquisiti durante gli accessi perchè il contribuente ha rifiutato di esibirli o perchè ha dichiarato di non possederli, o perché li ha comunque sottratti al controllo) presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio. La norma, pertanto, trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. n. 9127 del 2006), con la conseguenza che parte ricorrente avrebbe dovuto allegare (e in maniera autosufficiente, ossia riportando in ricorso gli atti e/o documenti dai quali tali circostanze emergevano) che vi era stata una specifica richiesta dell’amministrazione in ordine alla documentazione de qua e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione dichiarando di non possederla o comunque sottraendola al controllo, con uno specifico comportamento volto a sottrarsi alla prova”.

 

La Corte, sul punto, lamenta, invece, che la ricorrente si è limitata

“ad affermare in ricorso che dal p.v.c. risultava che la parte aveva dichiarato di non aver conservato gli estratti dei conti correnti, ma senza riportare l’atto per esteso, al fine di una valutazione complessiva”.

E la mancata presentazione degli atti richiesti in sede di verifica fiscale, con riserva di produrli successivamente in giudizio, equivale al rifiuto di esibizione.

E’ questo, in estrema sintesi, il pensiero espresso dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8109 del 23 maggio 2012 (ud. 31 gennaio 2012).

 

La (confessata) volontaria mancata esibizione (peraltro, non altrimenti giustificata) alla Guardia di Finanza,

in sede di verifica“, dei “documenti” (a spiegazione della quale non si è nemmeno adombrato un qualsivoglia “errore“, quand’anche “non sanabile“), giuridicamente integra il “rifiuto” di esibizione sanzionato dalla norma in quanto questa attesa la finalità perseguita di

“contemperare il diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, parimenti costituzionalizzato (art. 97 Cost.) e, quindi, non disinvoltamente sacrificabili in presenza di comportamenti che ne ostacolino ingiustificatamente la realizzazione”, come precisato nella richiamata decisione del 1995 della Corte “non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perchè, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l’effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente”.

 

E con la sentenza n. 27595 del 10 dicembre 2013 (ud. 13 novembre 2013) la Corte di Cassazione, tornando ad occuparsi di rifiuto di esibizione di documenti fiscali, ha osservato che è indubbio che la sanzione della inutilizzabilità dei documenti di cui sia stata rifiutata l’esibizione in sede di verifica, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, c. 5,

“non presuppone necessariamente che il rifiuto di esibizione sia stato doloso, ossia finalizzato ad impedire l’attività di accertamento, ben potendo tale sanzione applicarsi anche quando detto rifiuto sia dipeso da errore non scusabile, di diritto o di fatto, dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative o altro (in questo senso, si vedano le sentenze di questa Corte nn. 21768/09, 7269/09).

Tuttavia, perché sia preclusa la utilizzazione in sede amministrativa o contenziosa di un documento, è pur sempre necessario non solo, come precisato già nelle suddette sentenze di questa Corte, che esso sia stato richiesto in sede di verifica (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ma anche che alla richiesta di esibizione il contribuente fosse in condizione di corrispondere positivamente adottando l’ordinaria diligenza, ossia che il documento richiesto fosse in suo possesso o fosse da lui agevolmente e tempestivamente reperibile, in originale o in copia, presso chi lo possedeva”.

 

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno escluso che fossero inutilizzabili documenti la cui mancata esibizione in sede di verifica era dipesa dalla “manifesta difficoltà di reperimento”, espressione da intendere come equivalente a “difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza.

 

E con la sentenza n. 28271 del 18 dicembre 2013 (ud. 4 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che per costante giurisprudenza

“i documenti prodotti dal contribuente nel giudizio tributario in cui si controverta sull’IVA, dei quali abbia in precedenza rifiutato l’esibizione all’amministrazione finanziaria, non possono essere presi in considerazione ai fini del decidere, anche in assenza di una eccezione in tal senso dell’amministrazione resistente”

(cfr. Corte cass. Sez. U, sentenza n. 45 del 25/2/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 13511 del 26/5/2008; id. Sez, 5, Sentenza n. 7269 del 26/3/2009; id. Sez, 5, Sentenza n. 21768 del 14/10/2009; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10448 del 6/5/2013).

 

Né, prosegue la sentenza è

“necessario verificare la sussistenza di eventuali condizioni (forza maggiore; caso fortuito) non imputabili al contribuente che hanno determinato l’omessa esibizione dei registri contabili (circostanze peraltro neppure allegate dal resistente)”, né occorre “accertare l’elemento soggettivo della condotta omissiva del contribuente che, secondo un più risalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte, implicava oltre la coscienza e la volontà del rifiuto anche il dolo -costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento- rimanendo quindi esclusa la operatività del divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non esibiti, in caso di mera negligenza ed imperizia nella custodia e conservazione degli stessi (cfr. SU n. 45/2000, cit), orientamento successivamente corretto dalla più recente giurisprudenza che ha ritenuto applicabile il divieto – previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5 – di utilizzazione probatoria, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, dei libri, delle scritture e dei documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione ‘doloso’) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, anche per colpa semplice (cfr. 5 sez. n. 7269/2009; id. n. 21768/2009; id. n. 10448/2013, cit)”.

 

Per la Corte, la richiesta di esibizione dei documenti deve essere effettivamente conforme al modello legale definito legislativamente. E

“la conseguenza della inutilizzabilità nel giudizio tributario, a favore del contribuente, dei documenti non esibiti nella fase istruttoria amministrativa è ricollegata ad una specifica richiesta dell’Ufficio accertatore che deve rispondere a determinati requisiti formali (trasmissione dell’invito a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento; assegnazione di un termine non inferiore a gg. 15, prorogabile; avviso al contribuente delle conseguenze processuali determinate dalla mancata esibizione dei documenti; facoltà del contribuente di evitare tali conseguenze depositando i documenti in allegato al ricorso introduttivo dimostrando che la impossibilità di ottemperanza era dipesa da causa non imputabile): ne segue che una richiesta di esibizione di scritture, fatture od altri documenti commerciali e contabili formulata dall’Ufficio con modalità difformi dallo schema legale descritto è inidonea, in caso di inottemperanza del contribuente, a produrre gli effetti giuridici preclusivi previsti dalle norme tributarie”.

 

 

 

3 marzo 2014

Francesco Buetto