Continua la discussione sull'accertamento anticipato

l’accertamento anticipato è un tema molto discusso nelle aule dei giudici tributari: ecco un’analisi dei casi di particolare e motivata urgenza che permettono al Fisco di derogare alle norme dello Statuto del contribuente

Con la sentenza n.3142 del 12 febbraio 2014 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di accertamento anticipato urgente, per annualità in scadenza.

Nel caso in questione, la sentenza di appello ha riconosciuto natura perentoria al termine indicato nell’art. 12, c. 7, della L .n. 212/2000, in considerazione della espressa derogabilità dello stesso esclusivamente in caso di “particolare e motivata urgenza“.

 

La sentenza

La Corte, prende le mosse dal pronunciamento a SS.UU. ( n.18184/2013), secondo cui “i casi di particolare e motivata urgenza” che legittimano la inosservanza del termine si configurano come elemento esterno al contenuto motivazionale dell’atto impositivo che rimane circoscritto “ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione“.

Secondo la Corte, il Legislatore ha “voluto operare un bilanciamento tra l’interesse del contribuente a non vedere assoggettato il proprio patrimonio ad un pretesa fiscale che potrebbe rivelarsi infondata e l’interesse dell’Erario a non subire ritardi nella acquisizione delle proprie entrate tributarie, evitando mediante attuazione del principio di collaborazione tra privato ed PA, al primo gli oneri connessi allo svolgimento del giudizio da introdursi con la opposizione all’atto impositivo, ed alla seconda lo spreco di inutile attività provvedimentale con conseguenze sulla inefficienza dell’apparato organizzativo (non potendosi, peraltro, ritenere neppure estraneo al Legislatore il perseguimento del collaterale scopo dell’attivo dei processi). Il termine dilatorio in questione, pertanto, è posto nell’interesse di entrambe le parti del rapporto tributario ed una modifica dello stesso – nei limiti in cui è consentita dalla legge – viene a trovare giustificazione in relazione al preminente interesse riconosciuto dalla legge ad una delle due parti: nella specie la norma considera derogabile il termine, operando un giudizio di prevalenza a favore dell’interesse pubblico, laddove si verifichino ragioni che non consentano alla PA di attendere i sessanta giorni entro i quali il contribuente ha diritto di presentare osservazioni, chiarimenti e documenti.Tali ragioni derogatorie, in quanto pertinenti alla parte pubblica, debbono -secondo il criterio generale della distribuzione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.- essere allegate e dimostrate -in quanto circostanze di fatto- dalla Amministrazione finanziaria, non essendo applicabile il principio processuale di generale rilevabilità “ex officio” delle eccezioni di merito non rimesse dalla legge in via esclusiva alla iniziativa della parte (art. 112 c.p.c.), non venendo in questione nella specie la rilevabilità dei fatti costitutivi principali o secondari del diritto controverso, ma l’accertamento di un fatto presupposto invocato da una delle parti in causa per contraddire alla eccezione di invalidità del provvedimento impositivo”.

Tanto premesso, nella vicenda processuale in esame, “consistendo l’urgenza in un fatto impeditivo della osservanza del termine dilatorio e dunque un fatto impeditivo dell’adempimento di un obbligo di condotta che la legge pone a carico della parte pubblica del rapporto tributario, ne segue che, in applicazione del generale principio di responsabilità degli effetti delle condotte giuridicamente rilevanti, il fatto-urgenza allegato non deve essere stato determinato da condotte imputabili alla stessa Amministrazione finanziaria che lo invoca come “oggettiva impossibilità” di adempimento dell’obbligo di osservanza del termine di legge. Non è sufficiente, pertanto, ad assolvere all’onere che grava sulla Amministrazione finanziaria la mera allegazione dell’impedimento costituito dalla imminente scadenza del termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo, ma occorre altresì la prova che la circostanza in questione non sia stata determinata da fatto imputabile alla stessa PA, non essendo logicamente ipotizzabile una diversa interpretazione della norma tale da legittimare, in astratto, condotte elusive del termine dilatorio, volte a precostituire la ragione di urgenza mediante l’ingiustificato differimento dell’inizio o della chiusura delle operazioni di verifica fiscale”.

Il principio espresso

Qualora, per contrastare la eccezione di nullità dell’avviso per violazione del termine di cui all’art. 12 co 7 legge n. 212/2000, formulata con i motivi di ricorso da contribuente, la Amministrazione finanziaria alleghi, quale fatto di “particolare e motivata urgenza “, di non aver potuto rispettare il termine dilatorio indicato, essendosi chiuse le operazioni di verifica in data successiva al sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento della imposta, l’oggetto della prova va individuato nella oggettiva impossibilità di adempimento all’obbligo ex lege e dunque grava sull’Amministrazione finanziaria, in conformità al principio di vicinanza del fatto da provare, l’onere di dimostrare che la imminente scadenza del termine di decadenza, che non ha consentito di adempiere all’obbligo di legge, sia dipesa da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza od inefficienza“.

Breve nota

Il tema è sicuramente caldo. Pochi giorni fa, con la sentenza n.1869 del 29 gennaio 2014, la Corte di Cassazione aveva ancora affrontato la questione relativa all’accertamento anticipato urgente, per annualità in scadenza. La Corte, in apertura, anche in questo caso, richiama il principio espresso a SS.UU., con la sentenza n.18184/2013, secondo cui “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio“. Tuttavia, la Corte, “ non essendo state neppure allegate specifiche ragioni d’urgenza, esonerative dall’osservanza del termine”, afferma che “ la ritenuta legittimità dell’atto impositivo non è conforme a diritto, non essendo rilevante che era in scadenza il termine di decadenza di cui all’art. 57 del dPR n. 633 del 1972, per la rettifica relativa all’Iva per lo stesso d’imposta, come affermato in seno al controricorso, senza dire che tale circostanza non chiarisce, comunque, le ragioni per le quali l’Ufficio non si è tempestivamente attivato, onde rispettare il termine dilatorio in esame e così consentire il doveroso dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, e che, opinando con l’Amministrazione, si verrebbero a convalidare, in via generalizzata, tutti gli atti in scadenza, in contrasto col principio, sopra enunciato, secondo cui il requisito dell’urgenza deve esser riferito alla concreta fattispecie e, cioè, al singolo rapporto tributario controverso”.

Ricordiamo che con la sentenza n. 20769 dell’ 11 settembre 2013 (ud 9 aprile 2013) la Corte di Cassazione aveva legittimato l’accertamento anticipato per annualità in scadenza.Ed invero, è del tutto pacifico in causa – avendone dato atto lo stesso studio legale ricorrente nel ricorso per cassazione, nel quale ha trascritto in parte qua l’atto impositivo – che l’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione indicava espressamente la ragione di urgenza che aveva indotto l’Ufficio a non rispettare il termine di sessanta giorni L. n. 212 del 2000, ex art. 12, co.. Tale ragione veniva, difatti, chiaramente evidenziata dall’Agenzia delle Entrate con riferimento all’imminente scadenza del termine di decadenza per l’accertamento in rettifica della dichiarazione IVA, per l’anno di imposta 2000, scadenza che si sarebbe verificata, infatti, il 31.12.05. Sicchè, la notifica dell’avviso di accertamento in data 27.12.05 – ossia prima dello spirare del termine di sessanta giorni dalla chiusura della verifica, avvenuta il 14.12.05 – era stata giustificata dall’Ufficio con l’esigenza di evitare la decadenza dal potere di accertare eventuali violazioni da parte del contribuente, con conseguente recupero a tassazione dell’imposta, in ipotesi, evasa, oltre alle sanzioni eventualmente applicabili. E non può revocarsi in dubbio che siffatta ratio di evitare la decadenza dal potere impositivo in parola – in quanto si iscrive nell’esigenza di carattere pubblicistico, connessa all’efficiente esercizio della potestà amministrativa nel fondamentale settore delle entrate tributarie (art. 97 Cost.), positivamente e congruamente vagliata, nella specie, dalla CTR – ben può giustificare la notifica dell’avviso di accertamento prima del decorso del predetto termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1 (Cass. 11944/12)”.

13 marzo 2014

Francesco Buetto